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Il coraggio di essere padri

Parlando ad un gruppo di fidanzati, di fronte alle perplessità di alcuni giovani a diventare «padri per sempre», mi è venuto naturale parlare di un padre insolito, di Giuseppe, una figura misteriosa, messa accanto a Maria per fare da padre a Gesù, padre per la gente di Nazareth ma non per il Bimbo nato dalla Vergine Maria.


Il coraggio di essere padri

da L'autore

del 12 gennaio 2008

Parlando ad un gruppo di fidanzati, di fronte alle perplessità di alcuni giovani a diventare «padri per sempre», mi è venuto naturale parlare di un padre insolito, di Giuseppe, una figura misteriosa, messa accanto a Maria per fare da padre a Gesù, padre per la gente di Nazareth ma non per il Bimbo nato dalla Vergine Maria.

Nel Vangelo appare un padre che non parla, che non dice nessuna parola, che sparisce nel niente, quando il Figlio avrebbe potuto fargli fare bella figura con i suoi miracoli e le sue parole. Una donna del popolo chiamerà beata sua madre; una parente, Elisabetta, la dirà benedetta tra le donne, ma Giuseppe non riceve elogi da nessuno, anzi per diminuirne il carisma, diranno di Gesù che era figlio di un carpentiere, di un falegname, di un uomo da poco.

Eppure Giuseppe «il giusto», ha parecchie cose da insegnare ai padri d’oggi. Proviamo a rileggere alcuni fatti della sua vita: su di lui hanno scritto in tanti, gli artisti si sono divertiti a dipingerlo vecchio, pochi lo hanno raffigurato giovane. E giovane lo era come giovane era Maria, alla quale ha portato in dote il suo lavoro, le sue mani di operaio che avrebbe intrecciato con quelle di Maria, che amava di un amore intenso, da «Cantico dei Cantici».

Non l’avesse amata, l’avrebbe rimandata come pubblica peccatrice, il giorno che ne aveva scoperto la misteriosa gravidanza.

Il silenzio di Dio ha messo alla prova la sua fede e il suo amore, gli ha suscitato mille dubbi anche dopo l’annuncio dell’Angelo, che gli rivelava la maternità divina di Maria: se è il Figlio di Dio, perché nasce in povertà, fuori della città, al margine come un delinquente? Perché deve scappare con la sposa e il Bimbo in terra straniera? Perché vivere da emigrante, che non conosce la lingua, che non ha denaro, perseguitato politico, esule in Egitto, dove il popolo ebraico era per nulla amato? E quando il Bimbo diventa adolescente, perché quella fuga a Gerusalemme, dove per tre giorni Giuseppe e Maria hanno sofferto l’angoscia di non sapere dov’era il loro Figlio?

Con quell’episodio Giuseppe scompare dalla vita di Gesù, il suo compito di essere «ombra del Padre» è terminato. È stato padre, fino a quando era stato opportuno essergli accanto, lasciando che Lui crescesse e seguisse la sua chiamata di Salvatore dell’umanità. Nel silenzio da cui era venuto, Giuseppe se n’è tornato poi al Padre con la gratitudine dell’uomo fortunato che ha gioito dell’amicizia sponsale di Maria, conoscendo i vertiginosi misteri di Dio, che gli si sono rivelati nella figura di Gesù. Giuseppe è diventato così esempio del padre che ama, che vive il suo ruolo accanto alla moglie, al figlio nell’ora della gioia e del dolore, del padre che è sicurezza, «una roccia» per la famiglia.

Chi riesce ad accumulare molti ricordi nella sua infanzia è salvo per sempre: certamente Gesù avrà serbato le memorie di questo padre, così vicino a lui nella sua infanzia, che lo ha condotto alla maturità, insegnandogli come ogni pio ebreo il lavoro, perché chi non lo fa, dice il Talmud, è come se facesse di suo figlio un brigante. Gesù non sarebbe mai stato un brigante, anche se finirà in croce come tale, ma l’aver avuto bisogno di un padre ce lo rende ancora più vicino a noi, al nostro bisogno di sentire Dio uno di noi, in grado di capirci e di aprirci alla grande Speranza!

Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano

don Vittorio Chiari

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