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Emozioniamo? da Giovani per i Giovani

Qualche anno fa, la pubblicità di un celebre spumante iniziava (e finiva) così... È davvero necessario tenere sempre acceso il bisogno di qualcosa che ci faccia emozionare, per godere a pieno della vita?


Emozioniamo? da Giovani per i Giovani

da GxG Magazine

del 10 febbraio 2009

Cavalcando le emozioni

Belle le emozioni! Ricordo sempre, vividamente, il primo giro in bicicletta senza le ruotine laterali o la prima partita di campionato, il primo giorno di scuola, il primo bacio... non si possono certo mettere da parte! Sono emozioni speciali che conserviamo con cura, che hanno reso quei momenti davvero vissuti e non subiti; vivi e custoditi con cura, che tutt'ora ci fanno vivere.

 

Davvero, in quest'era di comunicazioni, è sempre più importante saper condividere non solo contenuti, ma gli stati d'animo e le emozioni contestuali che stanno a monte. Anche nella comunicazione scritta e nel web fanno la loro comparsa elementi che sopperiscono a questo bisogno: le emoticons. Sono segni grafici che rendono più veloce ed efficace il concetto che si vuole esprimere e a volte sono sufficienti solamente per trasmettere una sensazione, supplendo all'espressione del viso o al contesto che inevitabilmente manca in un contesto scritto. A volte può addirittura capitare che si voglia trasmettere solo una sensazione, quasi diventi più importante a volte far capire come ci si sente :-) piuttosto che far capire le proprie idee :-?

 

Tutto intorno a te

Non solo i canali letterari allargano questa dimensione che si fa sempre più vicina e insistente. Un esempio lo si può trovare spesso (da intendersi: non sempre comunque e dovunque) nel cinema:  ritmo sostenutissimo, scene mozzafiato o sempre più forti… altrimenti un film che lascia un po' di spazio per capire cosa succede, potrebbe rischiare di sembrare noioso. Anche nella pubblicità si possono leggere esperienze simili: l'essere (o avere) qualcosa che solleva sopra ciò che è comune, il cambio di prospettiva porta gli oggetti a diventare motivo di emozione. Anche nei passatempi, nello sport e nel divertimento, è sempre più frequente la ricerca di qualcosa di forte, di estremo, magari un po' oltre le possibilità, che possa dare ogni volta qualcosa di diverso alla mia vita, non importa se poi magari piace o meno oppure realizza qualche desiderio particolare o mi fa semplicemente sentire partecipe di qualcosa che conta (magari solo per altri). Non può certo mancare una manifestazione anche nel sociale, basta pensare alle scene di politica “urlata” composta di slogan forti che prendono posizione senza progetti e risposte alternative, una partecipazione di massa trascinata senza alcuna criticità e spesso senza conoscenza o approfondimenti sul tema discusso, quasi l'importante fosse solo esserci.

 

Diventa importante cercare la densità di emozioni provate, vissute sempre più spesso, più forti e più significative, fino a farle diventare quasi una esperienza continua, ininterrotta, minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Ma che succede se sostituendosi pian piano ai sentimenti, ai contenuti, al tempo, le emozioni  diventano riferimento e standard di vita?

 

Amore per l'emozione?

Affetto è custodire e tener vivo dentro di sé un qualcosa: un episodio, una persona cara, una situazione importante; è il desiderio di bene nella propria mente e nel proprio cuore, per sé e per l'“altro” a cui è offerto il nostro affetto. Molto spesso, tutto ciò è stato veicolato da una emozione, perché è proprio essa che mette in contatto me stesso con ciò che è diverso da me, aiutandomi a fare esperienza di entrambi.

 

Se comincia a interessarmi solo l'emozione, ciò che la veicola perde pian piano di senso, fino quasi ad annullarsi. Ci si rende presto conto che non posso farne a meno: posso magari eliminare l'interesse, ma non posso prescindere dal mezzo, o la persona, che veicola l'emozione. L'amico, lo sport, l'uscire con gli amici, un abbraccio, un bacio... tutto questo diventa solo funzionale, fine a se stesso. Il desiderio di soddisfare la sete di emozione rischia di diventare così forte da non consentire di guardare oltre e il momento tanto cercato diventa oggetto di un desiderio smodato, che cerca di eliminare ogni tipo di “concorrenza”, inclusa la mia capacità e voglia di accogliere e custodire le emozioni stesse; non riuscire più a considerare le persone vicine a me e a non lasciarmi nemmeno il tempo e lo spazio per capirmi, per stare bene con me stesso.

 

Usare un po' anche la testa...

Se da sole le emozioni non soddisfano dei bisogni, la soluzione sembrerebbe essere quella di mettere da parte l'istinto e le emozioni e di accendere l'uso della ragione. Un passo alla volta però, per non cadere nello stesso errore. Distinguere, scomporre tutte le componenti dell'esperienza umana, portano ad una sostanziale negazione del “fare esperienza”. Nel contesto sociale in cui viviamo si nota molto questo conflitto tra le due parti quasi fosse uno scontro per contrasti, più che due dimensioni complementari. L'esclusione dell'una o dell'altra porterebbe da un verso ad una affettività senza progettualità, senza storia; dall'altro lato un vivere in uno schema rigido che esclude i sentimenti. Mi faccio aiutare da questo breve estratto di un bel libro di C.S. Lewis, in cui mette bene in luce proprio questo senso di unità e continuità di vita.

 

Ramson, l' umano protagonista del racconto, giunto su Malacandra, un pianeta misterioso che sta imparando a conoscere, si ferma a discutere con Hyoi, un abitante hross, civiltà di pascatori cantori e poeti. E' incuriosito dalla tranquillità e dall'armonia ed equilibrio con cui vivono tutti gli abitanti, domandando perché non vi siano frequenti trasgressioni... «Un piacere è completo solo quando è ricordato. Tu parli, huomo, come se il piacere fosse una cosa e il ricordo un'altra. E' tutto la stessa cosa. I séroni possono dirlo meglio di quello che io faccio adesso. Non meglio di quello che io posso dire in un poema. Ciò che tu chiami ricordo è l'ultima parte del piacere, come il crah è l'ultima parte del poema. Quando tu e io ci siamo incontrati, l'incontro è finito molto presto, non era niente. Ora è diventato qualcosa perché lo ricordiamo. Ma noi sappiamo ancora molto poco di esso. Che cosa sarà quando io sarò disteso per morire, ciò che produrrà in me durante tutti i miei giorni fino a quel momento, tutto questo è il vero incontro. L'altro è solo il principio. Tu dici che avete poeti nel vostro mondo. Non vi insegnano nulla?»[1] Sembra quasi dire: non sai che c'è molto di più della bellezza fugace e il brivido di un solo momento?

 

Mi capisco solo io?!?

Diventare unità di misura di tutto ciò che ci circonda: questo è un rischio grosso. Tutto si riduce a un “sentire” e a un “sentirsi” istantaneo, di minuto in minuto diverso da se stesso. In tal modo non si riesce però a prendere in mano la propria vita: non ci sono progetti o desideri grandi per cui lottare o impegnarsi in quanto anche questi sono viziati dal sentire momentaneo. Non ci sono nemmeno relazioni significative da vivere perché si diventa incapaci di considerare l'altro, se non ancor una volta in termini funzionali, di emozione o profitto (in ogni caso emotivo).

 

Bello vivere l'emozione di un bacio! Ma se non è più importante il perché di quel bacio, ma solo l'emozione che esso procura, mi affeziono al bacio e non alla persona che ho davanti. In questo caso poi, si può intuire perché l’amore (o ciò che si reputa tale) possa essere deludente, non realizzante e faccia così soffrire: ho semplicemente dimenticato che eravamo in due, che il momento andava condiviso. Una condizione di insoddisfazione e, infine, di triste solitudine.

 

C'è un tempo da vivere!

Quanto importanti possono essere gli altri impegni rispetto a questo “dolce far niente”? Certo non si parla né di ozio, né di trascurare tutto il resto. Si parla solo di quel tipo di affetto vero, sincero, che alcuni chiamano amicizia. Anche dieci minuti di niente con un amico possono diventare dieci minuti di tutto. Proprio perché il bene più prezioso è il tempo vissuto, fatto anche di emozione certo, ma custodita e abitata a lungo.

E ci capita di capirlo quando l’emozione è svanita, quando ci rendiamo conto che è stato come aprire una bottiglia di coca-cola, superfrizzante adesso, ma già svampita domani. Capendo, forse troppo tardi, che abbiamo sacrificato quei bei dieci minuti di vita, per un po’ di bollicine...

Coccolando le emozioni e maturando negli affetti, c'è un tempo da vivere, e da godere a pieno!

 

Arianna Vanin elwoodina@msn.com

Luca Magarotto luca.magarotto@gmail.com

 

 

 

Per un’ottica di fede…

 

Una via di conoscenza…

Sentire e con-sentire con chi ci sta a fianco costituisce una via di conoscenza che si struttura spesso in ricordo e memoria, ci costituisce come uomini, nell’intima identità di noi stessi. Così “affetto” è custodire e tener vivo dentro di sé un qualcosa: un episodio, una persona cara, una situazione importante; è il desiderio di bene nella propria mente e nel proprio cuore, per sé e per l'“altro” a cui è offerto il nostro affetto. Molto spesso, tutto ciò è stato veicolato da una “emozione”, perché è proprio essa che mette in contatto me stesso con ciò che è diverso da me, aiutandomi a fare esperienza di entrambi.

 

…che va educata

L’emozione tuttavia ha uno statuto ambiguo, se da un lato può “costruire”, dall’altro ha in sé le potenzialità per de-costruire, fino a distruggere. Porta in se le ambivalenze dell’umano e la sua irrimediabile fragilità. Inutile sarebbe una tirata retorica sulla estenuazione postmoderna di emozione e desiderio, già prima abbiamo ricordato l’onnipresenza dell’“emotivo” nella nostra cultura. Capita che il desiderio di soddisfare la sete di emozione rischia di diventare così forte da non consentire di guardare oltre e il momento tanto cercato diventa oggetto di un desiderio smodato, che cerca di eliminare ogni tipo di “concorrenza”, inclusa la mia capacità e voglia di accogliere e custodire le emozioni stesse; non riuscire più a considerare le persone vicine a me e a non lasciarmi nemmeno il tempo e lo spazio per capirle e capirmi in relazione a loro.

 

Una voce autorevole

Un vecchio documento della congregazione per l’educazione cattolica, ci aiuta  far luce su alcuni aspetti dell’amore umano e con esso delle emozioni. Al n. 22 si legge: «Nella visione cristiana dell'uomo, si riconosce al corpo una particolare funzione, perché esso contribuisce a rivelare il senso della vita e della vocazione umana».

La corporeità non è altro se non il luogo delle emozioni di cui fin’ora si è detto, è il modo specifico di esistere e di operare proprio dello spirito umano. Il corpo spiega l’uomo, così come l’emozione, a patto che questo “esprimere la persona” sia inteso quale segno che trasmette efficacemente nel mondo visibile il mistero invisibile nascosto da Dio nell'eternità.

Poco oltre emerge, come già prima nella nostra indagine “fenomenologica”, l’urgenza dell’educare le emozioni: «(n.35) Nella prospettiva antropologica cristiana l'educazione affettivo-sessuale deve considerare la totalità della persona ed esigere quindi l'integrazione degli elementi biologici, psicologici, sociali e spirituali. Questa integrazione è diventata più difficile, perché anche il credente porta le conseguenze del peccato d'origine. Una vera "formazione" non si limita all'informazione dell'intelligenza, ma deve prestare particolare attenzione all'educazione della volontà, dei sentimenti e delle emozioni. Per tendere, infatti, verso la maturazione della vita affettivo-sessuale, è necessario il dominio di sé, il quale presuppone virtù quali il pudore, la temperanza, il rispetto di sé e degli altri, l'apertura al prossimo. Tutto ciò non è possibile se non in forza della salvezza che viene da Gesù Cristo»[2].

 

 

 

[1] Clive Staples Lewis, Lontano dal pianeta silenzioso, (ed.or. Out of the Silent Planet, 1938), Mondadori, Milano, 1979, p.93

[2] Congregazione per l’educazione cattolica, Orientamenti educativi sull’amore umano,  1 novembre 1983.

 

Per un approfondimento di fede cristiana sulle emozioni, vedi:

-              U. Folena, L’affettività in piazza, in Orientamenti pastorali 1 (2006), 48-56

-              C.A. Bernard, Teologia affettiva, San Paolo, Milano 1985, in cui c’è un capitolo intitolato Verso l’integrazione affettiva, con alcune pagine dedicate al passaggio Dall’emozione al sentimento, 247-271.

-              Allo scopo di una solida fondazione di una fenomenologia e teologia dell’indicibile emozione del sacro, il libro migliore, però molto impegnativo, sarebbe P.A. Sequeri, Estetica e teologia. L'indicibile emozione del sacro: R. Otto, A. Schönberg, M. Heidegger, Glossa, Milano 1993.

 

 

 

Lorenzo Teston lorenzo.teston@gmail.com

 

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