Nel mondo digitale di oggi, i giovani sono chiamati a non perdersi, ma a riscoprirsi. Tra connessioni e scelte, cresce una nuova umanità. Oggi parliamo di educare l'algoritmo
Arif Riyanto
Apriamo YouTube e troviamo esattamente il video che ci interessa. Su Instagram, i contenuti sembrano rispecchiare i nostri gusti. Su TikTok, dopo due scroll ci troviamo immersi in un flusso di video cuciti su misura per noi.
Non è magia: è algoritmo. Ma cosa significa davvero? E, soprattutto, siamo ancora noi a scegliere, o qualcuno (o qualcosa) sceglie per noi?
Un algoritmo è un insieme di istruzioni automatiche che organizza le informazioni. Nel mondo digitale, gli algoritmi decidono cosa ci viene mostrato, in quale ordine, con quale frequenza. Più interagiamo con un contenuto, più simili ne vedremo. Si chiama personalizzazione.
Ma questa personalizzazione ha un prezzo: vivere in una “bolla”. Una zona confortevole dove vediamo solo ciò che ci piace, pensiamo che tutti la pensino come noi e perdiamo il contatto con il mondo reale, complesso, faticoso, ma autentico.
Come ha scritto il filosofo coreano Byung-Chul Han:
“L’algoritmo non ci conosce davvero: ci riduce a ciò che abbiamo già cliccato”
(Nello sciame, 2015)
Il problema non è l’algoritmo in sé, ma l’illusione di libertà che crea. Pensiamo di scegliere, ma in realtà scegliamo tra opzioni già decise per noi. E intanto, le grandi piattaforme raccolgono dati, costruiscono profili, vendono pubblicità mirata.
In questo scenario, l’essere umano rischia di diventare prevedibile, governabile, ridotto a un “utente” e non più una persona. È ciò che padre Paolo Benanti definisce come crisi dell’autonomia digitale: quando non siamo più noi a dirigere la tecnologia, ma è lei a dirigere noi [fonte: https://www.paolobenanti.com/].
Ma c’è una buona notizia: l’algoritmo si educa. Si educa con le nostre scelte, con i nostri click, con ciò che cerchiamo, guardiamo, condividiamo.
Ecco alcuni esempi pratici:
Ogni interazione è un seme piantato nel terreno dell’algoritmo.
Essere cittadini nel mondo digitale significa anche fare scelte etiche:
Come giovani cristiani e salesiani, siamo chiamati a essere “lievito” anche nei social, a usare gli algoritmi per costruire comunità e non per isolarsi. Perché ogni scelta digitale è anche una scelta educativa e spirituale.
La rete ha bisogno di testimoni, non solo utenti. Di giovani che sanno portare parole nuove, immagini di speranza, racconti di bene. Come faceva Don Bosco, che parlava la lingua dei giovani del suo tempo, oggi siamo chiamati a parlare la lingua del digitale, ma con il cuore del Vangelo.
“Il Vangelo deve essere comunicato con linguaggi e strumenti nuovi. Il mondo digitale è una missione”
(Papa Francesco, Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali, 2019)
Alla fine, tutto si riduce a questa domanda: Chi mi sta formando oggi? Chi sta educando il mio pensiero, il mio cuore, il mio modo di vedere la realtà?
Se passiamo ore sui social, è lì che ci stiamo formando. E allora serve vigilanza, discernimento, senso critico. Perché solo così possiamo diventare protagonisti, non marionette.
Educare l’algoritmo significa educare noi stessi. È un cammino di libertà, responsabilità, creatività. Non basta “navigare bene”: bisogna seminare bene nel mare del web. Così il digitale può diventare terreno buono, in cui fioriscono relazioni, idee, sogni, fede.
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