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“Dio ha mandato il Figlio perché il mondo sia salvato”

Dio non salva più attraverso un'immagine, ma attraverso Se stesso nella persona del Figlio. Gesù innalzato sulla croce diventa strumento di salvezza per tutti quelli che credono in lui. L'evangelista afferma: “Bisogna che sia” così, questo è il volere di Dio annunciato dalle Scritture e profetizzato nella vicenda del Servo sofferente del Signore. IV DOMENICA DI QUARESIMA


“Dio ha mandato il Figlio perché il mondo sia salvato”

da Teologo Borèl

del 19 marzo 2009

ANNUNCIARE

“Dio ha mandato il Figlio perché il mondo sia salvato” Gv 3,14-21

 

I Vangeli ci presentano spesso dialoghi di Gesù con singoli personaggi. Spesso, poi, questi incontri diventano l’occasione per dare degli insegnamenti che si dirigono ad un pubblico molto più vasto.

E’ questo il caso del colloquio con Nicodemo, con cui si apre il cap. 3 del Vangelo di Giovanni. Questo “capo dei giudei”, parlando con Gesù, scopre che per entrare nel Regno di Dio è necessario ricevere il dono dello Spirito. Nel seguito, però, la figura di Nicodemo scompare e il dialogo diventa un monologo, un insegnamento sull’amore di Dio che, attraverso il sacrificio del Figlio, permette all’uomo l’ingresso nel Regno. Il sacrificio di Gesù è adombrato nell’episodio del serpente di bronzo (Num 21,5-9). Dio aveva punito le mormorazioni degli Israeliti nel deserto mandando in mezzo a loro dei serpenti velenosi. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore aveva dato loro un segno di salvezza: chi fosse stato morso e avesse guardato un serpente di bronzo innalzato su un’asta nell’accampamento, sarebbe rimasto in vita. Attraverso questo segno, Dio continuava a salvare il suo popolo (cfr. Sap 16,6-7) come l’aveva liberato dalle mani degli Egiziani.

L’evangelista, richiamando questo evento come profezia, mostra che l’amore di Dio è giunto ormai al culmine: Dio non salva più attraverso un’immagine, ma attraverso Se stesso nella persona del Figlio. Gesù innalzato sulla croce diventa strumento di salvezza per tutti quelli che credono in lui. L’evangelista afferma: “Bisogna che sia” così, questo è il volere di Dio annunciato dalle Scritture e profetizzato nella vicenda del Servo sofferente del Signore (cfr. Is 52,13). Una volontà che diventa principio di azione concreta; tre verbi ne caratterizzano il dinamismo: amare, dare, inviare. Dio decide di inviare il suo Figlio unico, di offrirlo in sacrificio come fece Abramo con il suo unigenito Isacco (Gen 22,2.12). Nel suo piano salvifico possiamo individuare un duplice movimento: uno discendente e uno ascendente. La discesa del Verbo dal seno del Padre è l’incarnazione, l’invio del Figlio nel mondo descritto nel Prologo del Vangelo di Giovanni (Gv 1,1- 18). C’è poi un movimento ascendente, il ritorno del Figlio al Padre, e questo corrisponde al suo “innalzamento” (il termine è ripetuto per tre volte e richiama i tre annunci della passione nei sinottici; cfr. Gv 3,14; 8,28; 12,32-34) che comprende la morte in croce, la resurrezione e l’ascensione. Lo scopo della missione è la salvezza del mondo e la vita eterna per chi crede in Gesù. E’ da notare che il verbo credere è al presente: chiunque crede in Gesù, già ora partecipa della salvezza e della vita eterna. La missione del Figlio, quindi, non ha di per sé lo scopo di condannare, ma quello di salvare. Tuttavia, la presenza di Gesù nel mondo produce inevitabilmente una separazione tra chi crede in Lui e sta dalla sua parte e chi non crede e si pone contro di Lui (cfr. Lc 11,23 e par.). Questa contrapposizione è tipica del Vangelo di Giovanni e corrisponde alla distinzione tra bene e male, tra luce e tenebre, tra salvezza e condanna. L’uomo, posto dall’evangelista di fronte allo scontro tra Gesù e il regno del male, è chiamato a reagire e a scegliere da che parte stare. Questa “scelta di campo” si attua per mezzo dell’agire. “Operare la verità”, infatti, è un impegno concreto di vita che orienta verso la luce. E quanto più una persona va verso la luce, cioè verso Gesù, tanto più si manifesta al mondo che “le sue opere sono state fatte in Dio”.

 

CELEBRARE

Annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta.

Ogni domenica, al termine del racconto dell’istituzione e della consacrazione, l’assemblea eucaristica è invitata a cantare: «Mistero della fede» a cui fa seguito l’acclamazione: «Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunciamo la tua morte Signore, nell’attesa della tua venuta», oppure: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta», oppure «Tu ci hai redenti con la tua Croce e risurrezione: salvaci, o Salvatore del mondo.». Nel momento in cui la Chiesa vive la gioia della presenza di Dio nel mistero eucaristico, è nello stesso tempo invitata a orientare lo sguardo verso il giorno del suo ritorno: «Nell’attesa del tua venuta».

Il mistero della fede proclamato con gioia è il pensiero di Dio, fino ad ora rimasto nascosto, ma ora definitivamente svelato e rivelato dalla luce della morte e risurrezione di Cristo (cfr. Ef 3,5ss; Rom 16,25-27).

Il senso di questa acclamazione, che domanderebbe per sua natura d’essere eseguita in canto, esorta la comunità cristiana ad acclamare con fede ciò che nel rito si è compiuto e ad attendere con speranza la sua piena realizzazione.

Così infatti esplicitano le parole dell’anamnesi: «Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza e gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta, ti offriamo… questo sacrificio vivo e santo» (Preghiera eucaristica III). Il tempo della Chiesa, di Pasqua in Pasqua, percorre i sentieri della storia, per giungere al pieno compimento del progetto di salvezza: il giorno in cui tutte le cose saranno ricapitolante in Cristo, quelle del cielo e quelle della terra (cfr. Col 1,16ss.).

In questa alternanza di presenza e attesa, di pregustazione e compimento si svolge il cammino della chiesa: essa cammina per i sentieri della storia, confortata dalla presenza del Signore Gesù, ma nello stesso tempo vive nell’attesa del compimento: quando anche noi saremo finalmente dove Lui è, alla destra del Padre. E così, mentre ci è dato la gioia di gustare i divini misteri, Dio suscita in noi il desiderio della patria eterna, dove ha innalzato l’uomo accanto a sé nella gloria. L’eucaristia è così conforto e desiderio, gioia e speranza. La liturgia ritma il tempo dell’attesa e ogni domenica invita a sollevare lo sguardo per celebrare il mistero della Pasqua e contemplare la speranza a cui siamo

chiamati.

 

TESTIMONIARE

Incontri lungo il cammino...

Da circa due anni svolgo un piccolo servizio presso la Mensa della Caritas; si tratta di un impegno settimanale che mi impegna ogni Mercoledì mattina per circa due ore durante le quali partecipo alla distribuzione di alimenti a nuclei familiari in difficoltà economiche.

Riassunta in così poche righe può sembrare un’esperienza poco significativa, ma non è così! Il contatto con le persone che frequentano la mensa lascia ogni volta qualcosa che non si misura ma che, certamente, arricchisce.

I volontari sono una prima risorsa di questa realtà: ricchezza inestimabile, varia, divertente, complicata, variopinta, ma certamente indispensabile. Qui viene il bello! Ognuno di noi volontari, compresa me, porta nel servizio la propria personalità con pregi e difetti, a volte con una preparazione un po’ improvvisata, seppure con una innegabile buona volontà. La pazienza profusa per organizzare e amalgamare queste personalità costituisce, certamente, una grande fatica per chi gestisce il servizio.

Fatica che si aggiunge alle difficoltà di far fronte alle richieste di accesso alla distribuzione di viveri, ogni volta più numerose e pressanti.

Proprio in questo si manifesta la grande valenza del servizio di distribuzione viveri: nella possibilità di agevolare famiglie in difficoltà economica offrendo, insieme a generi alimentari, anche un contatto umano ed una piccola rete di solidarietà.

Le realtà di coloro che accedono al servizio sono le più molteplici e, forse, non sempre si riesce a cogliere fino in fondo, in un contatto così breve, quelle che sono le reali difficoltà giornaliere di ciascuno.

Rimane comunque un momento di forte ascolto, anche delle piccole cose, e ciò costituisce indubbia ricchezza anche per gli operatori.

Tante cose si potranno migliorare e tante, mi sembra di aver capito, sono già state migliorate. Punto fermo di questo servizio, a mio parere, rimarrà la possibilità di svolgere un servizio assolutamente pratico condito con una piccola componente di umanità.

 

Una volontaria della mensa

... verso una vita nuova

La salvezza passa anche per i piccoli gesti di ciascuno, che non solo rendono un concreto servizio a chi è impoverito, ma costruiscono comunità. È soprattutto questo il valore del volontariato a favore dei più bisognosi, soprattutto se vissuto insieme. Questo può essere il tempo giusto per incominciare o, se già svolgiamo un servizio, per coinvolgere altri in questa avventura, attenti a valorizzare le capacità di ognuno.

 

PREGHIERA INTORNO ALLA MENSA

Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. (Gv 3,16-17).

Dio, Padre buono, in Gesù tu ci hai dato la risposta al nostro bisogno di vita e di gioia. Davanti alla croce del tuo Figlio noi sentiamo la misura del tuo amore e insieme la povertà della nostra risposta, ma in lui ci hai dato anche la certezza che tu ci accogli e ci perdoni. Grazie, Signore!

 

Conferenza Episcopale Italiana

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