Lui è un militare. Sa che cosa significa comandare e obbedire. Gli hanno sempre detto che lui non deve pensare, sono i suoi superiori che pensano per lui. Lui deve eseguire. Ma il centurione ha un cuore...
del 15 novembre 2007
¬´Entrato in Cafarnao,
gli venne incontro un centurione
che lo scongiurava:
“Signore, il mio servo giace in casa
paralizzato e soffre terribilmente”.
Gesù gli rispose: “Io verrò e lo curerò”.
Ma il centurione riprese:
“Signore, io non son degno
che tu entri sotto il mio tetto,
dì soltanto una parola
e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io,
che sono un subalterno, ho soldati sotto di me
e dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro;
Vieni, ed egli viene, e al mio servo:
Fa’ questo, ed egli lo fa”.
 
 
Lui è un militare. Sa che cosa significa comandare e obbedire. Gli hanno sempre detto che lui non deve pensare, sono i suoi superiori che pensano per lui. Lui deve eseguire. Ci mancherebbe anche che i soldati si mettessero a votare su come difendersi o attaccare, su che cosa è necessario fare per conquistare una postazione invece che un’altra. Io dico a uno fa questo e lui lo fa, a un altro scatta e vieni qui e lui corre. Ho obbedito anch’io per tanti anni e ora so comandare.
Ma il centurione ha un cuore, ha una famiglia, ha un servo, forse un figlio che gli muore. La vita non è così schematica: al cuore non si comanda, agli affetti non si può dire di tacere, a una morte non si può reagire attaccando o difendendo, comandando o distruggendo. Il tuo cuore è a pezzi e non c’è più niente che puoi fare. Puoi rendere la tua faccia dura come la pietra, ma il tuo cuore sanguina. Allora il centurione cerca al di fuori della sua sicurezza una speranza. Ha visto Gesù tante volte, lo ha dovuto pedinare per lavoro, spesso lo hanno mandato a sedare tumulti, a fare deterrenza, perché dove passava Lui la vita non procedeva troppo tranquilla. Suscitava speranze là dove c’era assuefazione e la speranza mette movimento, attiva le coscienze, turba la quiete del dormitorio anche nella lontana provincia di Palestina.
Il centurione doveva vigilare, sedare, contenere. Ma la speranza che Gesù gli faceva nascere in cuore era grande anche per lui. Abituato a comandare e a mettere sull’attenti, a dirimere le questioni con la forza, a puntare tutto sulla strategia, sulla repressione, sul potere e spesso la violenza, il terrore, la paura, si trovava davanti un uomo, Gesù, inerme, dolce, calmo, sorridente eppure persuasivo, ascoltato, seguito, ammirato, osannato, soprattutto amato.
Per questo appunto quando vede il suo servo in pericolo di vita pensa immediatamente a Gesù e va da lui. Non fa più il calmiere di tumulti, ma si mette umilmente in fila e chiede: Se vuoi, puoi guarirmi il servo, se vuoi puoi ridare pace a questo mio cuore, se vuoi, so che a te non è impossibile niente. Hai una forza nel tuo mondo come io credo di avere con i miei soldati, sei una sicurezza per me come io con il mio lavoro lo voglio essere per gli altri. Ho studiato e insegnato tante strategie, ma davanti a questa morte falliscono tutte, non mi dicono più niente. Ho qualcosa nella mia travagliata esistenza che non posso controllare, solo tu hai la chiave della mia vita. Ti metto a nudo il mio cuore, è tuo: Sollevalo, dagli speranza, fallo cantare ancora d’amore per mio figlio. E Gesù ne legge in profondità l’abbandono fiducioso. Tuo figlio vive, il tuo servo è guarito, la tua vita può tornare a cantare a partire dalla fede profonda che hai. Quando ti senti crescere dentro questa sete sai ora dove trovare la sorgente, lascia perdere le tattiche di mimetizzazione, abbandona le cisterne screpolate e le paludi, e lascia sgorgare questa sorgente limpida che il mio Spirito fa nascere dentro di te.
mons. Domenico Sigalini
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