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CAPO XVI

Chi mirava il Savio nella sua compo¬≠stezza esteriore ci trovava tanta naturalezza che avrebbe facilmente detto essere stato così creato dal Signore. Ma quelli che lo conobbero da vicino, od ebbero cura della sua educazione, possono assicurare che vi era grande sforzo umano coadiuvato dalla grazia di Dio.


CAPO XVI

da Spiritualità Salesiana

del 05 maggio 2009

Mortificazioni in tutti i sensi esterni.

 

Chi mirava il Savio nella sua compo­stezza esteriore ci trovava tanta naturalezza che avrebbe facilmente detto essere stato così creato dal Signore. Ma quelli che lo conobbero da vicino, od ebbero cura della sua educazione, possono assicurare che vi era grande sforzo umano coadiuvato dalla grazia di Dio.

I suoi occhi erano vivacissimi, ed egli doveva farsi non piccola violenza per te­nerli raccolti. Da prima, egli ripeté più volte con un amico, quando mi son fatto una legge di voler assolutamente dominare gli occhi miei, incontrai non poca fatica: e talvolta ebbi a patire grave male di capo. La riservatezza de’ suoi sguardi fu tale che di tutti quelli che lo conobbero niuno si ricorda di averlo veduto a dare una sola occhiata, la quale eccedesse i limiti della più rigorosa modestia. Gli occhi, egli so­leva dire, sono due finestre. Per le finestre passa ciò che si fa passare. E noi per que­ste finestre possiamo far passare un angelo, oppure il demonio colle sue corna e con­durre l’uno e l’altro ad essere padroni del nostro cuore.

Un giorno avvenne che un giovanetto estraneo alla casa inconsideratamente portò seco un giornale sopra cui erano figure sconce ed irreligiose. Una turba di ragazzi lo circonda per vedere le maraviglie di quelle figure, che avrebbero fatto ribrezzo ai turchi ed ai pagani medesimi. Corre pure il Savio, pensandosi di lontano, che colà si facesse vedere qualche immagine divota.

Ma quando ne fu vicino fece atto di sor­presa, poi quasi ridendo prese il foglio, e lo fece in minuti pezzi. Rimasero i suoi compagni pieni di stupore, sicché l'uno guar­dava l'altro senza parlare.

Egli allora parlò così: poveri noi! il Si­gnore ci ha dato gli occhi per contemplare la bellezza delle cose da lui create, e voi ve ne servite per mirare tali sconcezze in­ventate dalla malizia degli uomini a danno dell’anima nostra? Avete forse dimenticato quello che tante volte fu predicato? Il Sal­vatore ci dice, che dando un solo sguardo cattivo macchiamo di colpa l’anima nostra; e voi pascete i vostri occhi sopra oggetti di questa fatta?

Noi, rispose uno, andavamo osservando quelle figure per ridere.

Si, sì, per ridere, intanto vi preparate per andare all’inferno ridendo.... ma riderete ancora se aveste la sventura di ca­dervi?

Ma noi, ripigliò un altro, non ci vediamo tanto male in quelle figure.

Peggio ancora; il non vedere tanto male in guardar simili sconcezze è segno che i vostri occhi sono già abituati a rimirarle; e queste abitudini non vi scusano dal male, ma vi rendono più colpevoli.

O Giobbe, o Giobbe ! tu eri vecchio, tu eri un santo, tu eri oppresso da una malattia per cui giacevi sdraiato sopra un letamaio; nulladimeno facesti un patto co’ tuoi occhi di non dar loro la minima libertà intorno alle cose invereconde!

A quelle parole tutti si tacquero e niuno più osò di fargli alcun rimprovero, nep­pure altra osservazione.

Alla modestia degli occhi era congiunta una grande riservatezza nel parlare.

O per torto o per ragione quando alcuno parlava, egli taceva e più volte troncava la propria parola per dar campo ad altri di parlare. I suoi maestri e gli altri suoi superiori vanno tutti d’accordo nell’asse­rire, che non ebbero mai alcun motivo di soltanto avvisarlo d’aver detto anche una sola parola fuori di proposito nello studio, nella scuola, nella chiesa o mentre aveva luogo l’adempimento di qualche dovere di studio o di pietà. Anzi in quelle stesse oc­casioni che riceveva qualche oltraggio, sa­peva moderare la lingua e la bile.

Un giorno egli aveva avvisato un com­pagno di una cattiva abitudine. Costui in­vece di accogliere con gratitudine la fatta ammonizione si lasciò trasportare a brutali eccessi. Lo copri di villanie, di poi lo per­cosse con pugni e calci. Il Savio avrebbe potuto far valere la sua ragione coi fatti, poiché era maggiore di età e di forza. Egli per altro non fece altra vendetta se non quella dei cristiani. Divenne bensì tutto rosso nella faccia, ma frenando l’impeto della collera si limitò a queste parole: Io ti perdono; hai fatto male; non trattar con altri in simile guisa.

Che diremo poi della mortificazione degli altri sensi del corpo? Mi restringo ad ac­cennare soltanto alcuni fatti.

In tempo d’inverno egli pativa i geloni alle mani. Ma comunque ne sentisse do­lore, non fu mai udito a fare parola o dar segno di lamento. Piuttosto pareva che ne avesse piacere. Più sono grossi i geloni, egli diceva, e più faranno bene alla sanità, volendo indicare la sanità dell’anima. Molti suoi compagni asseriscono, che nei crudi freddi invernali egli soleva andare a scuola a passo lento e ciò pel desiderio di patire e fare penitenza in ogni cosa che gliene porgesse occasione. Più volte il vidi, de­pone un suo compagno, nel più rigido in­verno squarciarsi la pelle ed anche la carne con aghi e con punte di penna, affinché tali lacerazioni convertendosi in piaghe lo rendessero più simile al suo Divin Maestro.

Nella comunità di giovani se ne incontrano di quelli che non sono mai contenti di nulla. Ora si lamentano della funzioni religiose, ora della disciplina, ora del riposo, o degli apprestamenti di tavola; in tutto trovano di che dsapprovare.

Costoro sono una vera croce pei superiori; perché il malcontento di uno solo si comunica agli altri compagni, talvolta con non piccolo danno della comunità. La condotta del Savio era totalmente opposta a costoro.

Non mai il suo labbro proferiva voce di lamento né pel caldo dell’estate, né pel freddo dell’inverno. Facesse bello o cattivo tempo egli era sempre ugualmente allegro. Checché gli si fosse apprestato a mensa mostravasi in tutto soddisfatto. Anzi, con un’arte ammirabile trovava ivi un mezzo onde mortificarsi. Quando una cosa era censurata da altri, perché troppo cotta o troppo cruda, meno o molto salata, egli all’opposto mostravasi contento, dicendo essere quello appunto il suo gusto.

Era sua pratica ordinaria trattenersi in refettorio dopo i suoi compagni, raccogliere i minuzzoli di pane lasciati sopra la tavola o dispersi sul pavimento, e quindi mangiarseli come cosa saporita. Ad alcuni che ne facevano le maraviglie egli copriva il suo spirito di penitenza dicendo: le pagnotte non si mangiano intere e se sono ridotte in bricciole è già un lavoro fatto pei denti.

Ogni rimasuglio di minestra, di pietanza, o di altra qualità di cibo era da lui colto e mangiato. Né ciò faceva per ghiottoneria, perciocché spesso egli donava la medesima sua porzione agli altri compagni.

Interrogato perché si desse tanta solle­citudine per raccogliere quegli avanzi che avrebbero mosso taluno a schifo, egli ri­spondeva: Quanto abbiamo nel mondo, tutto è dono prezioso fattoci da Dio: ma di tutti i doni, dopo la sua santa grazia; il più grande è l’alimento con cui ci conserva la vita. Perciò la più piccola parte di questo dono merita la nostra gratitudine, ed è veramente degno di essere custodito colla più scrupo­losa diligenza.

Il pulire le scarpe, spazzolare abiti ai compagni, prestare agli infermi i più bassi uffizi, scopare e fare altri simili lavori era per lui un gradito passatempo. Ciascuno faccia quel che può, soleva dire: Io non sono capace di far cose grandi, ma quello che posso, voglio farlo a maggior gloria di Dio; e spero che Iddio nella sua infinita bontà vorrà gradire queste miserabili mie offerte.

Mangiar cose contrarie al suo gusto, evi­tare quelle che gli sarebbero piaciute: do­mare gli sguardi anche nelle cose indiffe­renti; trattenersi ove sentisse ingrato odore; rinnegare la sua volontà; sopportare con perfetta rassegnazione ogni cosa che avesse prodotto afflizione al suo corpo od al suo spirito sono atti di virtù che da Domenico esercitavansi ogni giorno, e possiamo an­che dire ogni momento di sua vita.

Taccio pertanto moltissimi altri fatti di questo genere che tutti concorrono a dimo­strare quanto in Domenico fosse grande lo spirito di penitenza, di carità e di morti­ficazione in tutti i sensi della persona, e nel tempo stesso quanto fosse industriosa la sua virtù nel saper approfittare delle grandi e piccole occasioni, anzi delle stesse cose indifferenti per santificarsi ed accre­scersi il merito davanti al Signore.

 

san Giovanni Bosco

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