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Avete paura dell’uomo nero?

“Avete paura dell’uomo nero?”, grida il bambino, in piedi da solo da un’estremità del grande campo d’erba. “No!”, rispondono urlando gli altri bambini, schierati in linea dalla parte opposta. “Volete vederlo?” replica il bambino; “Sì”, gridano gli altri. Tutti iniziano a correre, a scappare. Chi viene preso diventa un altro uomo nero. E chi riesce a scappare da tutti e vince, rimane un uomo… bianco?


Avete paura dell’uomo nero?

 

di Anita Marton

 

 

“Avete paura dell’uomo nero?”, grida il bambino, in piedi da solo da un’estremità del grande campo d’erba.

“No!”, rispondono urlando gli altri bambini, schierati in linea dalla parte opposta.

“Volete vederlo?” replica il bambino; “Sì”, gridano gli altri. Tutti iniziano a correre, a scappare. Chi viene preso diventa un altro uomo nero. E chi riesce a scappare da tutti e vince, rimane un uomo… bianco?  

 

“L’uomo nero” è una canzone di Brunori Sas, cantautore calabrese, con la quale ha vinto nel 2018 il Premio Amnesty International Italia. Mi sono chiesta se questo uomo nero sia lo stesso del gioco che tutti abbiamo fatto da piccoli.  Quando il bambino urlava “Avete paura dell’uomo nero”, com’è che ve lo immaginavate, questo uomo nero? Un grande e grosso omone africano? Un losco figuro vestito di nero? Io me lo immaginavo come uno di quei mostri che di solito si annidano sotto i letti dei bambini che del buio hanno paura, e che escono quando tutte le luci sono spente, per turbare il sonno e i sogni. L’uomo nero era come un enorme, imponente fantasma, nero come la pece, con le braccia tozze e fini, ma capaci di afferrare qualsiasi mio arto uscisse da sotto le coperte. Chissà a chi o a cosa ha pensato l’inventore di questo gioco, quando gli è venuto in mente che per far prendere paura ai bambini sarebbe stato efficace un non meglio identificato “uomo nero”. 

 

Bisogna avere paura dell’uomo nero? Brunori dice di sì. Brunori canta, con una semplice concretezza, che del vero “uomo nero” – e non quello del gioco – bisogna aver paura, bisogna evitarlo, l’“uomo nero”, starne alla larga il più possibile. Se ci guardiamo attorno, è facile riconoscerlo: Hai notato che l’uomo nero spesso ha un debole per i cani, pubblica foto coi suoi bambini vestito in abiti militari? […] Hai notato che gli argomenti sono sempre più o meno quelli: rubano, sporcano, puzzano e allora, olio di ricino e manganelli? Hai notato che parla ancora di razza pura, di razza ariana, ma poi spesso è un po’ meno ortodosso quando si tratta di una puttana? Hai notato che l’uomo nero spesso ha un debole per la casa? “A casa nostra, a casa loro, tutta una vita casa e lavoro”. Ed è un maniaco della famiglia, soprattutto quella cristiana, per cui ama il prossimo suo solo se è carne di razza italiana.

 

Questo è l’”uomo nero”. Un uomo la cui pelle può essere di qualsiasi colore, quello che di nero c’è in lui sono il suo cuore e la sua mente. Un pesante drappo scuro è calato davanti ai suoi occhi, che rifiutano di guardare oltre la punta del naso, impassibili di fronte al mondo e alla semplice realtà della vita. Bianchi, neri, gialli, mulatti, albini, alti, bassi, magri, grassi, donne, uomini, bambini e bambine, ragazzi, ragazze. È così semplice: siamo tutti uguali. Non riuscivo a capire, quindi, come mai tutto questo parlare delle persone di colore: non hanno anche loro gli stessi diritti miei? Che c’entra la pelle? C’entra, in realtà, perché io, donna bianca, non sono mai stata discriminata per il colore della mia pelle, nessuno mi ha mai fatto pesare il fatto di essere bianca, nessuno ha mai fiatato. Eccolo: il privilegio dell’uomo bianco. C’è chi, invece, viene emarginato e additato solo perché nella sua pelle c’è un po’ di melanina in più. Nelle nostre società - sì, anche qui in Italia -, il diverso, lo straniero è continuamente additato come il delinquente, il ladro, lo sporco, il povero. Pensiamoci. A volte, vedendo per strada qualcuno con la pelle di un colore diverso dal nostro, ci aggrappiamo alla borsa, cambiamo lato della strada, ci preoccupiamo. Mi succede. E ogni volta che mi viene la paura dell’uomo nero, l’“uomo nero”, quello davvero nero, si annida nel mio cuore, come canta Brunori. Ed hai notato che l'uomo nero semina anche nel mio cervello quando piuttosto che aprire la porta la chiudo a chiave col chiavistello, quando ho temuto per la mia vita seduto su un autobus di Milano solo perché un ragazzino arabo si è messo a pregare dicendo il corano?

 

Da qualche anno, accanto al mio letto, è appeso un cartoncino che mi è stato regalato dalla mia professoressa di religione delle superiori. Vi è riportata una poesia, ispirata al discorso tenuto da Martin Luther King nel 1963, il famoso “I have a dream”. Una strofa sempre mi colpisce: “Io sogno che un giorno il nero di questo paese e ogni uomo di colore del mondo intero saranno giudicati in base al loro valore personale, anziché per il colore della pelle e che tutti gli uomini rispetteranno la dignità dell’essere umano.”

Chi tace acconsente, si dice. Non tacciamo, allora. Informiamoci, parliamo, capiamo perché nel mondo ancora oggi c’è chi viene trattato diversamente di fronte alla giustizia solo a causa del colore della sua pelle. Questa, come tutte le discriminazioni, non fa altro che creare un esercito di “uomini neri”, quelli di fronte ai quali i bambini dovrebbero scappare. E con loro, anche noi.  

 

E io, io che pensavo che fosse tutto una passeggiata, che bastasse cantare canzoni per dare al mondo una sistemata. Io che sorseggio l'ennesimo amaro seduto a un tavolo sui Navigli pensando “In fondo va tutto bene, mi basta solo non fare figli”.

E invece no.

E invece no.

 


immagine di copertina di Bott Scarry

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