Testi Salesiani

Alcuni scritti



Scritti di don Bosco

Si riportano alcuni scritti del nostro Padre e Fondatore che i Capitoli generali 20°, 21° e 22° hanno ritenuto di particolare significato per vivere fedelmente la nostra vocazione.

Ai Soci Salesiani1
Le nostre Costituzioni, o figliuoli in Gesù Cristo dilettissimi, furono definitivamente approvate dalla Santa Sede il 3 aprile 1874. Questo fatto deve essere da noi salutato come uno dei più gloriosi per la nostra Congregazione, come quello che ci assicura che nell'osservanza delle nostre Regole noi ci appoggiamo a basi stabili, sicure, e, possiamo dire, anche infallibili, essendo infallibile il giudizio del Capo Supremo della Chiesa, che le ha sanzionate. Ma qualunque pregio porti seco, questa approvazione tornerebbe di poco frutto, se tali Regole non fossero conosciute e fedelmente osservate. Egli è appunto per fare in modo, che le medesime si possano comodamente da ciascuno conoscere, leggere, meditare, e quindi praticare, che giudico bene di presentarvele tradotte dal loro originale. [...] Credo poi cosa utile farvi notare alcune cose pratiche, le quali faciliteranno la conoscenza dello spirito, di cui le Regole sono informate, e vi aiuteranno ad osservarle con diligenza ed amore. Io parlo col linguaggio del cuore, ed espongo brevemente quello che l'esperienza mi fa giudicare opportuno per vostro profitto spirituale e per vantaggio di tutta la nostra Congregazione.

I voti

La prima volta che il Sommo Pontefice Pio IX parlò della Società Salesiana disse queste parole: “In una Congregazione o Società religiosa son necessari i voti, affinché tutti i membri siano da un vincolo di coscienza legati col Superiore, e il Superiore tenga sé e i suoi sudditi legati col Capo della Chiesa, e per conseguenza con Dio medesimo”. I nostri voti pertanto si possono chiamare altrettante funicelle spirituali, con cui ci consacriamo al Signore, e mettiamo in potere del Superiore la propria volontà, le sostanze, le nostre forze fisiche e morali, affinché fra tutti facciamo un cuor solo ed un'anima sola, per promuovere la maggior gloria di Dio, secondo le nostre Costituzioni, come appunto c'invita a fare la Chiesa, quando dice nelle sue preghiere: Affinché una sia la fede delle menti, e la pietà delle azioni. 1 Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales Torino 1t~35. [lntroduzione] pp. 3-46 passim. I voti sono un'offerta generosa con cui moltissimo si accresce il merito delle opere nostre. Sant'Anselmo insegna che un'opera buona senza voto è come il frutto d'una pianta. Chi la fa con voto, col frutto offre a Dio la stessa pianta. San Bonaventura rassomiglia l'opera fatta senza voto all'offerta del reddito, ma non del capitale. Col voto poi si offre a Dio e reddito e capitale. Di più insegnano unanimamente i santi Padri, che ogni azione fatta con voto ha doppio merito; uno è il merito dell'opera buona, l’altro è il merito d'aver eseguito il voto fatto.

L'atto poi dell'emissione dei voti religiosi, secondo quel che ci insegna San Tommaso, ci ricorda l'innocenza battesimale, cioè ci pone in uno stato come se avessimo allora ricevuto il battesimo. Sono anche soliti i Dottori di santa Chiesa a paragonare i voti religiosi al martirio, dicendo che tanto è il merito di chi emette i voti, come di chi riceve il martirio; perché, dicono, ciò che nei voti manca d'intensità è supplito dalla durata.

Ma se i voti religiosi aumentano in cotale guisa il merito delle nostre opere. e le rendono tanto care a Dio. dobbiamo darci massima sollecitudine per bene eseguirli. Chi non sentesi di osservarli, non deve emetterli, o almeno differirne la emissione, finché in cuor suo non sentasi ferma risoluzione di mantenerli. Altrimenti egli fa a Dio una promessa stolta ed infedele, la quale non può non dispiacergli: Imperciocché, dice lo Spirito Santo, dispiace a Dio la stolta ed infedele promessa2. Noi pertanto prepariamoci bene a quest'eroica consacrazione; ma quando l'avrem fatta, procuriamo di mantenerla anche a costo di lungo e grave sacrificio: Adempi le promesse fatte all'Altissimo Iddio3, cosi Egli stesso ci comanda.

Ubbidienza

Nella vera ubbidienza sta il complesso di tutte le virtù, dice San Girolamo. Tutta la perfezione religiosa consiste nella soppressione della propria volontà, vale a dire nella pratica dell'ubbidienza, cosi San Bonaventura. L'uomo ubbidiente, dice lo Spirito Santo, canterà la vittoria4. San Gregorio Magno conchiude che l'ubbidienza conduce al possesso di tutte le altre virtù, e tutte le conserva5.

Questa ubbidienza però deve essere secondo l'esempio del Salvatore, che la praticò nelle cose anche più difficili, fino alla morte di croce;s e, qualora tanto volesse la gloria di Dio, dobbiamo noi pure obbedire fino a dare la vita.

Si eseguiscano dunque bene sia gli ordini espressi de' Superiori, sia le regole della Congregazione e consuetudini speciali di ciascuna Casa. E succedendo qualche volta di cadere in fallo si sappia in bel modo domandarne scusa a chi si è disubbidito. Questo atto di umiltà giova immensamente ad avere il perdono del mancamento fatto, ad ottenerci grazia dal Signore per l'avvenire, ed a tenerci in guardia, perché non ripetiamo più quel fallo.

San Paolo Apostolo, mentre raccomanda questa virtù aggiunge: Siate ubbidienti ai vostri Superiori, e state sottomessi ai loro ordini, imperocché i Superiori devono vegliare, come se dovessero a Dio rendere conto del le cose che riguardano al bene

2 Qo5,3

  1. 3  Sal 49,14

  2. 4  Prv 21,28

  3. 5  Fil 2,8

 

delle anime vostre. Ubbidite volentieri e prontamente, affinché possano compiere l'uffizio di Superiori con gaudio, e non fra gemiti e sospiri6.

Notate bene che il sol o fare le cose che ci piacciono e tornano di gradimento, non è vera ubbidienza, ma è secondare l a propria volontà. La vera ubbidienza, che ci rende cari a Dio ed ai Superiori, consiste nel fare con buon animo qualunque cosa ci sia comandata dal le nostre Costituzioni, o dai nostri Superiori medesimi; imperocchè, scrive S Paolo, Dio ama l'allegro donatore7. Consiste altresì nel mostrarci arrendevoli, anche nel le cose più difficili, e contrarie al nostro amor proprio, e nel compierle coraggiosamente ancorché ci costi pena e sacrifizio. In questi casi l 'ubbidienza è più difficile, ma assai più meritoria, e ci conduce al possesso del regno de' cieli, secondo queste parole del divin Redentore: Il regno dei cieli si acquista colla forza, ed è preda di coloro, che usano violenza8.

Se voi eseguirete l 'obbedienza nel modo suindicato io vi posso accertare in nome del Signore che passerete in Congregazione una vita veramente tranquilla e felice. Ma nello stesso tempo vi devo notare che dal giorno, in cui vorrete fare non secondo l'obbedienza, ma secondo la volontà vostra, da quel giorno voi comincerete a non trovarvi più contenti del vostro stato. E se nelle varie Religioni si trovano anche dei malcontenti e di coloro cui la vita della Comunità riesce di peso, si osservi bene e si vedrà che ciò proviene dalla mancanza d'obbedienza e soggezione della propria volontà. Nel giorno del vostro malcontento riflettete a questo punto e sappiate rimediarvi.

Povertà

Se non lasciamo il mondo per amore, dovremo lasciarlo un giorno per forza. Coloro per altro, che nel corso del vivere mortale l o abbandonano con atto spontaneo, avranno un centuplo di grazie nella vita presente, e un premio eterno nella vita futura. Chi al contrario non sa risolversi a fare questo sacrificio volontariamente, dovrà farlo per forza in punto di morte, ma senza ricompensa, anzi coll'obbligo di rendere a Dio stretto conto di quelle sostanze, che per avventura avesse posseduto.

E' vero che l e nostre Costituzioni permettono il possesso e l'uso di tutti i diritti civili; ma entrando in Congregazione non si può più né amministrare né disporre delle cose proprie, se non col consenso del Superiore, e nei limiti da questo stabiliti, a segno che in Congregazione egli è considerato letteralmente come se nulla possedesse, essendosi fatto povero per divenire ricco con Gesù Cristo. Egli seguita l'esempio del Salvatore, che nacque nella povertà, visse nella privazione di tutte le cose, e mori spogliato in croce.

Ascoltiamo ciò che dice il divin Maestro: “Chi non rinuncia a tutto quello che possiede, non e degno di me, non può esser mio discepolo”.

Ad un cotale che voleva porsi alla sua sequela, “Va', disse, vendi prima quanto hai nel secolo, donalo ai poveri, di poi vieni, seguimi, ed avrai assicurato un tesoro in Cielo”.

  1. 6  Eb 13,17

  2. 7  2 Cor 19,7

  3. 8  Mt 11,12

 

Diceva a' suoi discepoli che non possedessero più di una veste, né si dessero pensiero di ciò che occorresse per campare la vita nel corso della loro predicazione. Di fatto non leggiamo che Gesù, i suoi Apostoli, o alcuno dei suoi discepoli, abbiano in particolare posseduto campagne, case, suppellettili, abiti, vettovaglie o simili.

E San Paolo dice chiaramente che i seguaci di Cristo, ovunque vadano, qualunque cosa facciano, devono essere contenti degli alimenti strettamente necessari per vivere, e degli abiti con cui coprirsi: Avendo gli alimenti, e di che coprirci, contentiamoci di questo9.

Tutto quello, che eccede alimento e vestimenta per noi è superfluo, e contrario alla vocazione religiosa. E' vero che talvolta dovremo tollerare qualche disagio nei viaggi, nei lavori, in tempo di sanità o di malattia; talora avremo vitto, vestito od altro che non sarà di nostro gusto; ma appunto in questi casi dobbiamo ricordarci, che abbiamo fatto professione di povertà, e che se vogliamo averne merito e premio dobbiamo sopportarne le conseguenze. Guardiamoci bene da un genere di povertà altamente biasimato da San Bernardo. Vi sono di quelli, egli dice, che si gloriano d'essere chiamati poveri, ma non vogliono i compagni della povertà. Altri poi sono contenti di essere poveri purché loro non manchi niente.

Se pertanto il nostro stato di povertà ci è cagione di qualche incomodo o sofferenza, rallegriamoci con S. Paolo, che si dichiara nel colmo di allegrezza in ogni sua tribolazione10. Oppure facciamo come gli Apostoli, che erano pieni di contentezza, quando ritornavano dal Sinedrio, perché colà erano stati fatti degni di patire disprezzi pel nome di Gesù11. Egli è appunto a questo genere di povertà, cui il divin Redentore non solo promette, ma assicura il Paradiso, dicendo: Beati i poveri di spirito, perché di questi è il regno dei cieli12. Anzi il vivere in tale stato, l’abitare volentieri una camera incomoda o fornita di suppellettili di poco rilievo, il portare abiti dimessi, l’usar cibi dozzinali onora grandemente chi ha fatto voto di povertà, perché lo rende simile a Gesù Cristo.

E' anche parte della povertà il non far guasti, I'aver cura dei libri, delle vestimenta, delle calzature; come pure il non aver vergogna di usar oggetti o portar abiti vecchi, o rattoppati, o già un po' logori.

Castità

La virtù sommamente necessaria, virtù grande, virtù angelica, cui fanno corona tutte le altre, è la virtù della castità. Chi possiede questa virtù può applicarsi le parole dello Spirito Santo che sono: E mi vennero insieme con lei tutti i beni13. Il Salvatore ci assicura che coloro, i quali posseggono questo inestimabile tesoro, anche nella vita mortale diventano simili agli Angeli di Dio14.

Ma questo candido giglio, questa rosa preziosa, questa perla inestimabile è assai insidiata dal nemico delle nostre anime, perché egli sa che, se riesce a rapircela,

9 1Tm6,8

  1. 10  2 Cor 7,4

  2. 11  At 5,41

  3. 12  Mt 5,3

  4. 13  Sap 7,11

  5. 14  Mt 22,30

possiamo dire che l'affare della nostra santificazione è rovinato. La luce si cangia in caligine, la fiamma in nero carbone, l'Angelo del cielo è mutato in Satanasso, quindi perduta ogni virtù. Qui, o miei cari, io credo fare cosa utilissima alle anime vostre, notandovi alcune cose, che, messe in pratica, vi apporteranno grande vantaggio, anzi parmi potervi assicurare che vi conserveranno questa e tutte le altre virtù. Ritenete adunque:

1. Non entrate in Congregazione, se non dopo esservi consigliati con persona prudente, che vi giudichi tali da poter conservare questa virtù.

2. Evitate la familiarità colle persone di altro sesso, né mai contraete amicizie particolari coi giovanetti dalla divina Provvidenza alle nostre cure affidati. Carità e buone maniere con tutti, ma non mai attaccamento sensibile con alcuno. O amar nessuno, o amar tutti egualmente, dice San Girolamo a questo riguardo.

3. Dopo le orazioni della sera andate subito a riposo, e non fate più conversazione con alcuno fino al mattino dopo la santa Messa.

4. Tenete a freno i sensi del corpo. Lo Spirito Santo dice chiaro che il corpo è l'oppressore dell’anima15. Perciò S. Paolo si sforzava di domarlo con severi castighi, sebbene fosse affranto dalle fatiche, e scriveva: Castigo il mio corpo e /o riduco in servitù16.

Una speciale temperanza vi raccomando nel mangiare e nel bere. Vino e castità non possono stare insieme.

5. Scogli terribili della castità sono i luoghi, le persone e le cose del secolo. Fuggitele con grande premura, e tenetevene lontani non solo col corpo, ma fin colla mente e col cuore. Io non mi ricordo d'aver letto, o di aver udito a raccontare, che un religioso siasi recato in patria sua e ne abbia riportato qualche vantaggio spirituale. Al contrario se ne annoveran migliaia e migliaia, che, non mostrandosene persuasi, vollero farne esperimento, ma ne provarono amaro disinganno, anzi non pochi rimasero vittime infelici della loro imprudenza e temerità.

6. Trionfante d'ogni vizio, e fedele custode della castità è l'osservanza esatta delle nostre sante regole, specialmente dei voti e delle pratiche di pietà. La religione cristiana può giustamente paragonarsi ad una città forte, secondo queste parole d'lsaia: Nostra città di fortezza è Sionne: sua muraglia e suo parapetto il Salvatore17. Or bene i voti e le regole d'una Comunità religiosa sono come piccoli forti avanzati. La muraglia, ossia bastioni della religione, sono i precetti di Dio e della sua Chiesa. Il demonio per farli violare mette in opera ogni industria ed inganno. Ma per indurre i religiosi a trasgredirli, procura prima di abbattere il parapetto e il forte avanzato, vale a dire le regole o Costituzioni del proprio Istituto. Quando il nemico dell'anima vuole sedurre un religioso e spingerlo a violare i divini precetti, comincia per fargli trascurare le cose più piccole, poi quelle di maggior importanza, dopo di che assai facilmente lo conduce alla violazione della legge del Signore, avverandosi quanto dice lo Spirito Santo: Chi disprezza le piccole cose, a poco a poco andrà in rovina18.

  1. 15  Sap 9,15

  2. 16  1 Cor 9,27

  3. 17  Is 26,1

  4. 18  Qo 19,1

 

Dunque, o cari figliuoli, siamo fedeli nell'osservanza esatta delle nostre regole, se vogliamo essere fedeli ai divini precetti, specialmente al sesto e al nono. Le nostre sollecitudini sian poi costantemente e con diligenza speciale di rette al l'osservanza esatta delle pratiche di pietà, che sono il fondamento e il sostegno di tutti gl'lstituti religiosi, e noi vivremo casti come Angeli.

Carità fraterna

Non si può amare Dio senza amare il prossimo. Lo stesso precetto, che c'impone l'amore verso Dio, c'impone anche l'amore verso il nostro simile. Leggiamo infatti nella prima lettera di S. Giovanni Evangelista queste parole: E questo comandamento ci è stato dato da Dio, che chi ama Dio, ami anche il proprio fratello. E nel luogo stesso il medesimo Apostolo ci avverte esser bugiardo chi dice d'amar Dio e poi odia suo fratello: Se uno dirà: /o amo Dio, e odierà suo fratello, egli è un bugiardo19.

Quando in una Comunità regna questo amor fraterno, e tutti i soci si amano vicendevolmente, ed ognun gode del bene dell'altro, come se fosse un bene proprio, allora quella casa diventa un Paradiso, e si prova la giustezza di queste parole del profeta Davide: Oh quanto buona, e dolce cosa ella è, che i fratelli siano sempre uniti20. Ma appena vi domini l'amor proprio e vi siano rotture o dissapori tra' soci, quella casa diventa presto come l'inferno. Molto si compiace il Signore di veder abitare nella sua casa i fratelli in unum, cioè uniti in una sola volontà di servire a Dio e di aiutarsi con carità gli uni gli altri. Questa è la lode che dà S. Luca agli antichi cristiani, cioè che tutti s’amavano così da sembrare che avessero un sol cuore ed un'anima sola21.

La cosa che molto nuoce nelle Comunità religiose è la mormorazione, direttamente contraria alla carità. Il sussurrone imbratterà l'anima sua e sarà odiato da Dio e dagli uomini22. Al contrario come edifica un religioso che dice bene del suo prossimo, e a suo tempo sa scusarne i difetti! Procurate voi pertanto di schivare ogni parola che sa di mormorazione, specialmente verso i vostri compagni e più ancora verso i vostri Superiori. E' anche mormorazione e peggio l'interpretar male le azioni virtuose, o dirle fatte con mala intenzione.

Guardatevi ancora dal riferire al compagno quello che altri di male ha detto di lui, poiché alle volte ne nascono disturbi e rancori tali, che durano per mesi ed anni. Oh che conto hanno da rendere a Dio i mormoratori nelle Comunità! Chi semina discordie viene in odio ed abominazione a Dio23. Se voi udite cosa contro qualche persona, praticate ciò che dice lo Spirito Santo: Hai udita una parola contro del prossimo tuo? Lasciala morire in te24.
Guardatevi dal pungere qualche fratello ancorché lo facciate per burla. Burle che dispiacciono al prossimo, o l'offendono sono contrarie alla carità. Piacerebbe a voi essere derisi e posti in canzone avanti agli altri, come voi ponete quel vostro fratello?

  1. 19  1 Gv 4,20.21

  2. 20  Sal 82,1

  3. 21  At 4,32

  4. 22  Qo 21,31

  5. 23  Prv 6,16.19

  6. 24  Qo 19,10

 

Procurate anche di fuggire le contese. Alle volte per bagattelle da mente sorgono certi contrasti, dai quali poi si passa a diverbi e ad ingiurie, che rompono l'unione ed offendono la carità in modo altamente deplorabile.

Di più, se amate la carità, procurate di essere affabili e mansueti con ogni genere di persone. La mansuetudine è virtù molto diletta da Gesù Cristo: Imparate da me, Egli disse, che sono mansueto25. Nel parlare e nel trattare usate dolcezza non solo co' Superiori, ma con tutti, e massimamente con coloro che per lo passato vi hanno offeso, o che al presente vi mirano di mal occhio. La carità sopporta tutto26: ond'è che non avrà mai vera carità chi non vuole tollerare i difetti altrui. Su questa terra non v'è uomo, per virtuoso che sia, il quale non abbia i suoi difetti. Se egli adunque vuole che gli altri sopportino i suoi, cominci a sopportare quelli degli altri, e cosi adempia la legge di Gesù Cristo, come scrive S. Paolo: Portate gli uni i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo27.

Veniamo alla pratica. Anzitutto frenate l'ira, tanto facile ad accendersi in certe occasioni di contrasto; e guardatevi dal dir parole spiacenti, e più dall'usar modi alteri ed aspri, poiché alle volte più dispiacciono i modi rozzi, che non le stesse parole ingiuriose.

Quando poi accadesse che il fratello che vi ha offeso venisse a cercarvi perdono, badate bene dal riceverlo con cera brusca o di rispondere con parole mozze; ma dimostrategli anzi belle maniere, affetto e benevolenza.

Se avvenisse all'incontro che voi aveste offeso altri, subito cercate di placarlo e di togliere dal suo cuore ogni rancore verso di voi. E, secondo l'avviso di S. Paolo, non tramonti il sole senza che di buon cuore voi abbiate perdonato qualunque risentimento, e vi siate riconciliati col fratello28. Anzi fatelo tosto che potete, sforzandovi di vincere la ripugnanza, che sentite nell'anima.

Non contentatevi di amare i vostri compagni colle sole parole; ma aiutateli con ogni sorta di servizi quanto potete, come raccomanda S. Giovanni, l’Apostolo della carità: Non amiamo in parole e colla lingua, ma coll'opera e con verità29.

E' carità ancora il condiscendere alle oneste domande; ma il miglior atto di carità è l'aver zelo del bene spirituale del prossimo. Quando vi si presenta l'occasione di far del bene non dite mai, questo non è uffizio mio, non me ne voglio immischiare; poiché questa è la risposta di Caino, il quale ebbe la sfrontatezza di rispondere al Signore, dicendo: Sono io forse il guardiano del mio fratello?30 Ciascuno è obbligato, potendo, a salvare il prossimo dalla rovina. Dio stesso comandò che ognuno debba aver cura del suo simile31. Cercate pertanto di aiutare tutti quanto potete, colle parole e colle opere, e special mente ancora colle orazioni.

E' di grande stimolo alla carità il mirare Gesù Cristo nella persona del prossimo, e il riflettere che il bene fatto ad un nostro simile il Divin Salvatore lo ritiene come fatto a

 

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Mt 11,29

1 Cor 13,7 Gal 6,2

Ef 4,26
1 Gv 4,18 Gn 4,9 Qo 17,12

se stesso secondo queste sue parole: In verità vi dico: Ogni volta che avete fatto qualche cosa per uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatta a me32.

Da tutto ciò che si è detto ben vedete quanto è necessaria e quanto è bella la virtù della carità! Praticatela adunque e ne avrete copiose benedizioni dal cielo.

Pratiche di pietà

Siccome il cibo alimenta il corpo e lo conserva, cosi le pratiche di pietà nutriscono l'anima e la rendono forte contro le tentazioni. Fino a tanto che noi saremo zelanti nell'osservanza delle pratiche di pietà, il nostro cuore sarà in buon'armonia con tutti, e vedremo il Salesiano allegro, e contento della sua vocazione. Al contrario comincerà a dubitar della sua vocazione, anzi a provare forti tentazioni, quando nel suo cuore cominci a farsi strada la negligenza nelle pratiche di pietà. La Storia ecclesiastica ci ammaestra, che tutti gli Ordini e tutte le Congregazioni religiose fiorirono e promossero il bene della religione fino a tanto che la pietà si mantenne in vigore tra loro; e al contrario ne abbiamo veduti non pochi a decadere, altri a cessare di esistere, ma quando? Quando si rallentò lo spirito di pietà, e ciascun membro si diede a pensare alle cose sue, non a quelle di Gesù Cristo, come di alcuni cristiani già lamentava S. Paolo33.

Se noi pertanto, o figliuoli, amiamo la gloria della nostra Congregazione, se desideriamo che si propaghi, e si conservi fiorente a vantaggio delle anime nostre e dei nostri fratelli, diamoci la massima sollecitudine di non mai trascurare la meditazione, la lettura spirituale, la visita quotidiana al SS. Sacramento, la Confessione settimanale, la Comunione frequente e divota, la recita del Rosario della B. Vergine, la piccola astinenza del venerdì e simili. Sebbene ciascuna di queste pratiche separatamente non sembri di grande necessità, tuttavia contribuisce efficacemente all'alto edifizio della nostra perfezione e della nostra salvezza. Se vuoi crescere e diventare grande agli occhi di Dio, dice S. Agostino, comincia dalle cose più piccole.

La parte poi fondamentale delle pratiche di pietà, quella che in certo modo tutte le abbraccia, consiste in fare ogni anno gli Esercizi spirituali, ed ogni mese l'Esercizio della buona morte.

Chi non può fare quest'ultimo Esercizio in comune, lo faccia separatamente, e a chi, per le occupazioni, non è dato d'impiegarvi l'intera giornata, ne impieghi una parte, rimandando ad altro giorno il lavoro che non è strettamente necessario, ma tutti da più a meno seguano questa regola:

1. Oltre la meditazione solita del mattino, si faccia ancora una mezz'ora di meditazione od una conferenza alla sera, e questa versi su qualcuno dei novissimi.

2. La Confessione, che da tutti si ha da fare in detto giorno, sia più accurata del solito, pensando che potrebbe essere l'ultima della vita, e si riceva la S. Comunione come se fosse per Viatico.

  1. 32  Mt 25,46

  2. 33  Fil 2,21

3. Si pensi, almeno per una mezz'ora, al progresso od al regresso nella virtù, che si è fatto nel mese decorso, specialmente in ciò che riguarda l'osservanza delle sante regole, e si prendano le risoluzioni opportune.

4. Si rileggano in quel giorno tutte od almeno in parte le regole della Congregazione.

5. Sarà anche bene in tal giorno scegliere un Santo od una Santa per protettore del mese che si incomincia.

Credo che si possa dire assicurata la salvezza di un religioso, se ogni mese si accosta ai santi Sacramenti, e aggiusta le partite di sua coscienza, come se dovesse di fatto da questa vita partire per l'eternità.

Se adunque amiamo l'onore della nostra Congregazione, se desideriamo la salvezza dell'anima, siamo osservanti delle nostre regole, siamo puntuali anche nelle più ordinarie, perché colui che teme Dio, non trascura niente di quanto può contribuire a sua maggior gloria34.

Dei rendiconti e della loro importanza

La confidenza verso i propri Superiori è una delle cose, che maggiormente giovano al buon andamento d'una Congregazione religiosa, ed alla pace e felicità de' singoli soci.

Per essa i sudditi aprono il loro cuore al Superiore, e quindi si trovano alleggerite le pene interne: cessano le ansietà, che si avrebbero nel compiere i propri doveri, ed i Superiori possono prendere i provvedimenti necessari, affinché si eviti ogni disgusto, ogni malcontento; possono altresì conoscere le forze fisiche e morali dei loro soggetti, ed in conseguenza dare loro gl'incarichi più adatti; e, qualora andasse introducendosi qualche disordine, possono subito scoprirlo e porvi riparo. Si è perciò stabilito che almeno una volta al mese ognuno conferisca col suo Superiore. A questo proposito, dicono le nostre Costituzioni che ciascuno deve manifestare con semplicità e con prontezza le mancanze esteriori commesse contro la santa regola, il profitto fatto nelle virtù, le difficoltà che incontra, e quanto altro si creda in bisogno di palesare, affinché possa riceverne consigli e conforto.

I punti principali su cui devono versare i rendiconti sono questi:

1. Sanità.
2. Studio o lavoro.
3. Se si possano disimpegnar bene le proprie occupazioni, e qual diligenza si metta in esse.
4. Se si abbia comodità d'adempiere le pratiche religiose, e qual diligenza si ponga in eseguirle.
5. Come si diporti nelle orazioni e nelle meditazioni.
6. Con quale frequenza e divozione si accosti ai santi Sacramenti.
7. Come si osservino i voti, e se non vi siano dubbi in fatto di vocazione. Ma si noti bene, che il rendiconto si raggira solamente in cose esterne e non di Confessione.
8. Se abbia dei dispiaceri o perturbazioni interne, o freddezza verso qualcuno.

34 Qo 7,19

9. Se conosce qualche disordine cui porre rimedio, specialmente quando si tratta d'impedire l'offesa di Dio.
Ecco qui alcune parole di San Francesco di Sales intorno ai rendiconti:
Ogni mese ognuno aprirà il suo cuore sommariamente e brevemente al Superiore, e con ogni semplicità e fedele confidenza gli aprirà tutti i segreti, colla medesima sincerità e candore con cui un figliuolo mostrerebbe alla madre le graffiature, livori e punture, che le vespe gli avessero fatto; ed in questo modo ciascuno darà conto non tanto dell'acquisto e progresso suo, quanto delle perdite e mancamenti negli esercizi dell'orazione della virtù e della vita spirituale; manifestando parimenti le tentazioni e pene interiori, non solo per consolarsi, ma anche per umiliarsi. Felici saranno quelli, che praticheranno ingenuamente e divotamente questo articolo, il quale in sé ha una parte della sacra infanzia spirituale, tanto raccomandata da Nostro Signore, dalla quale proviene ed è conservata la vera tranquillità dello spirito„.

Si raccomanda caldamente ai Direttori che non trascurino mai di ricevere simili rendiconti. Ogni confratello poi sappia che, se li farà bene, con tutta schiettezza ed umiltà, ne troverà un grande sollievo pel suo cuore, un aiuto potente per progredire nella virtù e la Congregazione intera avvantaggerà grandemente per questa pratica.

La cosa poi, in cui raccomando maggiore schiettezza, si è quella che riguarda la vocazione. Non si facciano misteri ai Superiori. Fra tutti, questo è il punto più importante; perché da esso dipende il filo della vita che si ha da tenere. Disgraziato colui, che nasconde i dubbi di sua vocazione, o prende risoluzione di uscire dalla Congregazione, senza essersi ben prima consigliato e senza il parere di chi dirige l'anima sua. Costui potrebbe mettere in pericolo l'eterna sua salute.

La prima ragione dell'importanza e necessità di procedere con questa schiettezza coi Superiori, è perché essi possano meglio governare e indirizzare i sudditi. Il Superiore è obbligato a reggerli e ad indirizzarli, perché questo è il suo ufficio, questo è esser Direttore e Superiore. Or s'egli non li conosce perché a lui non si aprono, ne avviene per conseguenza che egli non può dirigerli ed aiutarli coi suoi consigli e suggerimenti.

La seconda ragione, la quale dichiara meglio la precedente, è perché quanto maggior notizia avranno i Superiori di tutte le cose dei sudditi, con tanta maggior accuratezza ed amore li potranno aiutare, e custodire le anime loro dai diversi inconvenienti e pericoli, nei quali potrebbero incorrere mettendoli in questo o in quell'altro luogo, in questa o in quell'altra occasione.

La terza ragione della importanza della schiettezza e confidenza coi Superiori si è, perché questi possano meglio ordinare e provvedere quel che conviene al corpo universale della Congregazione, del cui bene ed onore, insieme con quello di ognuno, eglino sono obbligati ad aver cura. E quando uno si appalesa con essi, e loro dà interamente conto del suo stato, allora i Superiori avendo in ogni cosa di mira il suo onore, e senza alcuna sua taccia, possono aver riguardo al bene universale di tutto il corpo della Congregazione; ma, se uno non si appalesa bene con loro, esporrà forse a qualche pericolo l’onor suo e l'anima sua, ed anche l'onore della Comunità, che dipende dal suo.

Oh quanta contentezza e soddisfazione ha un religioso, il quale totalmente si è confidato col suo Superiore, e gli ha manifestate tutte le cose che turbano l'animo suo! Cosi quando poi lo mettono in qualche uffizio, può collocare tutta la sua fiducia in Dio, che lo aiuterà e libererà da qualunque inconveniente. Signore, egli potrà dire, io non mi

son posto da me in quest'ufficio, né in questo luogo; anzi proposi la mia insufficienza e le mie poche forze spirituali per questo peso: Voi, o Signore, mi ci avete posto e me l'avete comandato: Voi dunque supplite a quel che manca in me. Con questa fiducia dirà con S. Agostino: Signore, datemi quel che comandate, e comandatemi quel che volete; e gli pare cosi di aver posto Dio in obbligo di concedergli quel che gli domanda. Ma quell'altro, il quale non si appalesò, anzi lasciò di manifestare le sue debolezze, che consolazione potrà egli avere? Perciocché questo tale non lo manda Dio a far quella cosa, né ve lo mette l'ubbidienza, ma egli di sua propria volontà vi s'ingerisce e intromette; è intruso, non chiamato, né mandato, e le cose non gli riusciranno bene.

Cinque difetti da evitare

L'esperienza ha fatto conoscere cinque difetti, che si possono chiamare altrettanti tarli dell'osservanza religiosa, e la rovina delle Congregazioni, e sono: il prurito di riforma; l'egoismo individuale; la mormorazione; il trascurare i propri doveri e il dimenticarsi che lavoriamo pel Signore.

1. Fuggiam il prurito di riforma. Adoperiamoci di osservare le nostre regole, senza darci pensiero di migliorarle o di riformarle. “Se i Salesiani, disse il nostro grande benefattore Pio IX, senza pretendere di migliorare le loro Costituzioni, studieranno di osservarle con precisione, la loro Congregazione sarà ognor più fiorente”.

2. Rinunziamo all'egoismo individuale; quindi non cerchiamo mai il vantaggio privato di noi stessi, ma adoperiamoci con grande zelo pel bene comune della Congregazione. Dobbiamo amarci, aiutarci col consiglio e colla preghiera e promuover l’onor dei nostri confratelli, non come cosa di uno solo, ma come nobile ed essenziale retaggio di tutti.

3. Non mormorare dei Superiori, non disapprovare le loro disposizioni. Qualora vengaci a notizia cosa che a noi sembri materialmente o moralmente cattiva, si esponga umilmente ai Superiori. Essi sono da Dio incaricati a vegliare sopra le cose e sopra le persone; perciò essi e non altri dovranno rendere conto della loro direzione ed amministrazione.

4. Niuno trascuri la parte sua. I Salesiani considerati insieme formano un solo corpo, ossia la Congregazione. Se tutti i membri di questo corpo compiono il loro uffizio, ogni cosa procederà con ordine e con soddisfazione; altrimenti succederanno disordini, slogature, rotture, sfasciamento, ed in fine la rovina del corpo medesimo. Ciascuno pertanto compia l'uffizio che gli è affidato, ma lo compia con zelo, con umiltà e confidenza in Dio, e non si sgomenti se dovrà fare qualche sacrifizio a lui gravoso. Si consoli anzi che la sua fatica torna utile a quella Congregazione, al cui vantaggio ci siamo tutti consacrati.

5. In ogni nostro uffizio, in ogni nostro lavoro, pena o dispiacere, non dimentichiamo mai che, essendoci consacrati a Dio, per Lui solo dobbiamo faticare, e da Lui soltanto attendere la nostra mercede. Egli tiene minutissimo conto di ogni più piccola cosa fatta pel suo santo nome, ed è di fede, che a suo tempo ci compenserà con abbondante misura. ln fin di vita, quando ci presenteremo al suo divin tribunale, mirandoci con volto amorevole, Egli ci dirà: Bene sta, servo buono e fedele, perché nelpoco sei stato fedele, ti farò padrone delmolto; entra nelgaudio deltuo Signore35.

35 Mt 25,21 

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