Donboscoland

Al sepolcro in attesa della vita vera

Il giorno della sepoltura di Cristo la Chiesa si astiene dall'Eucaristia, fonte della sua stessa identità. Nelle parole di monsignor Vito Angiuli teologo del Congresso di Bari il significato di questo digiuno.


Al sepolcro in attesa della vita vera

da Teologo Borèl

del 26 marzo 2005

 Il masso che sigilla il sepolcro è l’ultimo rumore che risuona dopo la morte di Gesù. Eppure il silenzio che regna tra il Venerdì santo e il Sabato santo è abitato dall’attesa di qualcosa di nuovo e più grande. Monsignor Vito Angiuli, direttore dell’Istituto di scienze religiose di Bari e presidente della Commissione teologica del Congresso eucaristico nazionale di Bari, spiega il valore teologico e liturgico di questi due giorni in cui la Chiesa conserva e consuma solo il pane eucaristico consacrato il Giovedì santo. Oggi il digiuno eucaristico terminerà con la grande Veglia pasquale.

Monsignor Angiuli, qual è il significato di questo silenzio di riflessione?

«In questo giorno accostarsi alla tomba di Cristo vuol dire riconoscere che tutta la rivelazione del Dio-Amore si muove nella dialettica tra svelamento e velamento, tra manifestazione e nascondimento. Il silenzio del Sabato santo custodisce la Parola rivelata: se la croce è la manifestazione pubblica dell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, il sepolcro di Cristo è il luogo in cui l’amore si 'nasconde' in un silenzio che è carico di tutta la profondità del mistero di Dio e dell’uomo».

Un silenzio che comunica, quindi.

«Certo, esso è anche la risposta di Dio alle domande fondamentali che l’uomo si pone sul senso della vita e della storia. A chi, come André Malraux, è ancora in attesa 'del profeta che oserà gridare: non c’è il nulla', il credente deve annunciare con tutta la sua vita che il male, il dolore e la morte sono stati definitivamente sconfitti e che l’amore di Dio circonda tutta la vita. Questo annuncio cristiano contiene il segreto desiderio di ogni uomo».

Ciò significa che non si tratta di un messaggio per pochi privilegiati?

«Infatti. Va interpretato in tal senso il 'fremito di Dio', il 'desiderio dello Spirito' che serpeggia e, talvolta, divampa nel mondo contemporaneo e dà voce a quella 'preghiera laica' di Heideggger: 'Solo un Dio può salvarci'. Ma quale Dio? Il Dio Pan che ' rinasce' (per morire e rinascere ancora) o il Crocifisso-Risorto che risorge e non muore più, perché la morte non ha più alcun potere su di Lui?».

Se la Chiesa si costituisce attorno alla mensa eucaristica, quali sono i riferimenti in questo giorno in cui l’Eucaristia viene a mancare?

«A questo proposito vorrei richiamare un’osservazione del cardinale Ratzinger. Il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ricordando una pratica esistente fin dall’epoca apostolica, nel suo 'La comunione nella Chiesa', scrive che 'il digiuno eucaristico era frutto della spiritualità comunionale della Chiesa. È proprio la rinuncia alla comunione in uno dei giorni più santi dell’anno liturgico, trascorso senza Messa e senza comunione ai fedeli. Era un modo profondo di partecipare alla Passione del Signore: il lutto della sposa alla quale è tolto lo sposo'. Ci sono, infatti, momenti nei quali l’astenersi dalla mensa del Signore non implica un’esclusione dall’amore di Dio, ma è il segno di un desiderio della sua presenza più intenso».

Come vivere questa esperienza di digiuno?

«Rispondo ancora con le parole di Ratzinger: 'Esso potrebbe favorire un approfondimento del rapporto personale col Signore nel sacramento; potrebbe essere anche un atto di solidarietà con chi ha desiderio del sacramento, ma non lo può ricevere. Mi sembra che il problema dei divorziati risposati, ma anche quello dell’intercomunione (per esempio, nei matrimoni misti) risulterebbe molto meno gravoso se tale volontario digiuno spirituale riconoscesse ed esprimesse visibilmente che noi tutti dipendiamo da quel salvataggio dell’amore che il Signore ha compiuto nell’estrema solitudine della croce'».

Sullo sfondo dell’Anno dell’Eucaristia, che valore aggiunto per il Sabato santo?

«Varrebbe la pena oggi di meditare in particolare su alcuni passaggi dell’enciclica Ecclesia de Eucharistia. In essa il Papa sottolinea che 'quando si celebra l’Eucaristia presso la tomba di Gesù si torna in modo quasi tangibi le all’ora della croce e della glorificazione'. La celebrazione eucaristica riconduce il tempo all’evento della redenzione, al mistero della Croce e del sepolcro vuoto, a quel fatto che ha un valore storico e cosmico».

E in vista del Congresso eucaristico di Bari?

«A questo proposito il riferimento al Sabato santo acquista un particolare significato anche in vista del dialogo interconfessionale. La scelta della città di Bari come sede del Congresso è dovuta alla sua naturale vocazione ecumenica. Motivi storico-geografici e soprattutto la presenza delle reliquie di san Nicola, vescovo di Myra, nella Basilica a lui dedicata, fanno della città e della Puglia un punto di incontro tra la tradizione bizantina e quella latina».

In cosa si differenziano queste due sensibilità?

«L’Ortodossia, nelle sue diverse espressioni teologiche, liturgiche e artistiche, pone in particolare rilievo il mistero del Sabato santo. 'L’immagine della redenzione, in Occidente – ha recentemente scritto Olivier Clément –, è il Golgota. In Oriente, è la discesa di Cristo agli inferi'. Cristo spezza la porta di questo stato d’esistenza dove regnano la separazione e l’angoscia e stende la mano al primo Adamo».

Il sepolcro come condizione esistenziale?

«Nella visione orientale l’umanità decaduta si trova sepolta nell’inferno come modalità di esistenza, un inferno che non è creazione di Dio, ma espressione dello 'stato di separazione'. Come ha sottolineato Hans Urs von Balthasar, è forse una lacuna della teologia occidentale quella di non considerare da che cosa Cristo ci ha riscattati. Questo 'da che cosa' per l’Ortodossia è semplicemente l’inferno».

Matteo Liut

http://www.avvenire.it

Versione app: 3.13.5.5 (0d94227)