Affidarsi

Affidarsi a una persona significa, in fin dei conti, affidarsi a una storia, che diventa la nostra. Fidarsi di una persona significa credere in una storia, buttarcisi dentro, riconoscerla come significativa, «affidabile», degna di fiducia. Non è facile discernere quelle che lo sono veramente e quelle che sono sono abbagli, infatuazioni...

Affidarsi

da Quaderni Cannibali

del 09 novembre 2005

Chiediamocelo con schiettezza e coraggio: di chi ci si può fidare?

O meglio: a chi ci si può affidare? Mi posso affidare? Possiamo provare un istante a fermarci per porre a noi stessi questa domanda. Che cosa ci viene in mente? Un oggetto? Un animale? Non credo. Credo invece che ci venga in mente una persona (o più d’una, magari).

 

Però un piccolo sospetto in fondo al cuore resta sempre.

Magari facendo il suo nome dentro di noi c’è una piccola voce che ci suggerisce: “ma ti potrai fidare fino in fondo di lui/lei? Mi sarà fedele radicalmente?”. Sentiamo anche che dare retta a questo domanda ci porterebbe a un dubbio svilente, inutile, capace di generare in noi solo un sospetto, una chiusura. E invece noi abbiamo un bisogno radicale di aprirci di fidarci, di affidarci.

 

Ma che tipo di esperienza facciamo quando ci affidiamo?

In realtà l’esperienza dell’affidamento per noi è originaria: nasciamo affidati alle cure di qualcuno che ci accoglie, normalmente nostra madre (per questo lo scrittore svedese Goran Tunstrom ha scritto giustamente che «quando le mamme muoiono, si perde uno dei punti cardinali. Si perde il ritmo del respiro, si perde una radura»). Poi ci si desta lentamente al mondo delle persone e degli oggetti, dei volti e degli ambienti.

 

Aprire gli occhi per vedere significa compiere un piccolo grande gesto di fiducia, di affidamento: è una apertura! Tutti i gesti di affidamento e di fiducia si radicano in questa apertura fondamentale e persino non chiaramente cosciente, che ciascuno di noi si porta dentro sin dal nostro inizio come iscritto nel nostro essere.

 

E’ insomma originario e originante: se io incontro una persona e sento di sorriderle, non è solamente perché è buona educazione farlo o perché mi sta simpatica, ma innanzitutto è perché io sono radicalmente un’apertura sulla realtà. Se così non fosse nessuno potrebbe starmi simpatico e la buona educazione non avrebbe senso. Ha la propria radice in questa apertura radicale originaria lo «sguardo poetico» e il desiderio di dire il reale in parole, immagini, suoni: Rimani tesa volontà di dire. / Tua resti sempre / e forte / la nominazione delle cose (Mario Luzi).

 

Ma attenzione!

Proprio perché l’affidarsi è originario, fa appello e riferimento a una pienezza ultima. L’affidarsi è un richiamo, la traccia di una indigenza radicale che è (e cerca) una pienezza altrettanto radicale, come ha scritto Luzi:

 

Di che è mancanza questa mancanza,

cuore,

che a un tratto ne sei pieno?

di che? Rotta la diga

t’inonda e ti sommerge

la piena della tua indigenza...

Viene,

forse viene,

da oltre te

un richiamo

 

Quando penso che mi posso affidare veramente, sento che questa fiducia non è a tempo, a scadenza limitata. Deve coinvolgere il mio essere tutto intero fino in fondo e fino alla fine. So che la mia capacità di fedeltà (come quella degli altri) è limitata, ma so che questa cosa in qualche modo, per essere vera, deve coinvolgere il mio destino ultimo, il senso della mia esistenza. Lo intuiamo, ad esempio, nella poesia che Bartolo Cattafi scrisse poco prima della sua morte dal titolo In te:

 

In te in te confido

tutto ho rubato al mondo

sei il Cubo la Sfera il Centro

me ne sto tranquillo

tutto t’è stato ammonticchiato dentro

 

Noi abbiamo bisogno di questo.

 

Un rischio, a questo punto, però, sarebbe quello di un possibile fraintendimento: scambiare l’affidarsi per un sentimento.

No: l’affidarsi è una esperienza, è un fatto, non uno mero «stato d’animo». Gli stati d’animo sono a rischio di fraintendimento. Spesso si confonde la fiducia come un fatto di “provare”, “sentire”. Tutto ciò è molto importante, ma non indispensabile. Quando, ad esempio, Blaise Pascal dice che la fede è una scommessa implicitamente sta dicendo che essa non ha niente a che fare con un cuore riscaldato dalla certezza di un abbraccio. Questo abbraccio è una esperienza possibile, ma non indispensabile. Ci si può fidare anche “ciecamente”, decidere di farlo, fare esperienza di una scelta. E’ esperienza di molti che lo stato d’animo di fiducia e consolazione non tarda poi a sopravvenire, ma lo stato d’animo non si identifica con l’affidarsi vero e proprio, che può essere ben più nudo ed essenziale.

 

Ma, detto tutto questo, ci si rende conto di un ulteriore necessario passaggio. Non ci si fida in astratto di una persona, in fin dei conti, ma di una storia. Solo alle storie e alle persone in esse inserite si può dar fiducia. Se ci fidiamo di qualcuno, persino se egli fosse Dio, allora significa che con lui abbiamo una storia in corso, lo sviluppo di una esperienza vitale. Affidarsi a una persona significa, in fin dei conti, affidarsi a una storia, che diventa la nostra. Fidarsi di una persona significa credere in una storia, buttarcisi dentro, riconoscerla come significativa, «affidabile», degna di fiducia. Non è facile discernere quelle che lo sono veramente e quelle che sono sono abbagli, infatuazioni.

 

Ma questo è anche il ruolo della critica letteraria. Davanti alle storie e alle esperienze che il genio dell’arte ci propone sono possibili due atteggiamenti: o ci si crede (e allora esse si dispiegano nella loro potenza rappresentativa ed evocativa) o non ci si crede (e allora la pagina e la vita restano mute e dure). La visione dell’artista, il mondo da lui ri-costruito in maniera più o meno verosimile (e ciò poco importa) richiede una fiducia di base. Si avvia così un gioco di interpretazioni e significati, ma anche di giudizi e scelte. La critica non è un puro discettare di qualità stilistiche o di generi, perchè ha il compito di scegliere quali storie siano «degne di fede», e quali siano gli effetti di questo affidamento.

 

Leggere (ma anche vedere un film) significa dunque entrare con «fede» in un mondo diverso rispetto al nostro per comprendere a fondo il senso proprio della nostra vita. Non avere «fede poetica» significherebbe, alla fine, narcotizzare il reale, spegnerlo, renderlo piatto, superficiale, scarno, secco.

 

Una vita senza storie e senza fede nelle storie sarebbe ben povera. Lo sappiamo bene: più una persona è ricca interiormente, più ha storie significative da raccontare e più è disponibile ad ascoltarne alla ricerca di «storie affidabili».

Antonio Spadaro S.I.

http://www.bombacarta.com

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