Testi Salesiani

4. VACANZE


4. VACANZE 

 

Nei campi a mietere il grano 

Le vacanze sono in genere un grosso pericolo per i chierici. 

Ai miei tempi lo erano ancora di più, perché duravano quattro mesi e mezzo. 

Cercavo di occupare il tempo a leggere e a scrivere, ma non riuscendo ad impormi un certo orario, sovente non concludevo niente. Ammazzavo il tempo in lavori manuali. Lavoravo con il tornio, la pialla, la forgia, tagliavo e cucivo abiti, confezionavo scarpe. Nella mia casa di Morialdo ci sono ancora uno scrittoio, una tavola da pranzo e alcune sedie, «capolavori» fabbricati in quelle vacanze. 

Poi impugnavo la falce ed entravo nei prati a falciare l’erba, nei campi a mietere il grano. Scendevo in cantina a preparare le botti, a pigiare l’uva, a spillare il vino nuovo. Solo nei giorni festivi potevo tornare ad occuparmi dei ragazzi. Molti toccavano i 16-17 anni, e non sapevano niente della fede. Provavo molto piacere a fare loro catechismo. 

A ragazzetti di tutte le età, veramente smaniosi di imparare, insegnavo a leggere e a scrivere. La scuola era gratuita, ma le condizioni che mettevo erano assiduità, attenzione e confessione mensile. Alcuni non accettavano, e si ritiravano. Ma non fu un danno: gli altri capivano che non si trattava di una cosa da nulla, e s’impegnavano seriamente. 

 

«Popolare, popolare, popolare» 

Con l’approvazione del mio parroco, cominciai a fare prediche e discorsi. Nel paese di Alfiano, nelle vacanze del 1838, predicai alla festa della Madonna del Rosario. Dopo il primo anno di teologia parlai nella chiesa di Castelnuovo: era la festa di San Bartolomeo apostolo. A Capriglio predicai per la Natività della Madonna. 

Non so quale nutrimento spirituale ricevesse la gente dalle mie prediche. Dappertutto mi applaudivano, e finii per lasciarmi guidare dalla vanità. Ma un giorno ricevetti una buona lezione. 

Avevo appena finito di predicare sulla Natività della Madonna, e volli sentire il parere di una persona che aveva l’aspetto intelligente. Mi coprì di elogi che non finivano più: 

- La sua predica sulle anime del Purgatorio è stata splendida! 

E io avevo parlato sulla grandezza della Madonna… 

Ad Alfiano ho voluto sentire il parere del parroco, don Giuseppe Pelato, persona di profonda fede e di molta esperienza. 

- Mi dica schiettamente cosa pensa della mia predica. 

- Molto bella, ordinata. L’ha esposta in buona lingua e con molti pensieri scelti dalla Bibbia. Continuando così, diventerà un predicatore molto ricercato. 

- Ma la gente avrà capito? 

- Poco. Ha capito mio fratello prete e pochissimi altri. 

- Eppure erano pensieri facili. 

- Sembrano facili a lei, ma per la gente sono troppo elevati. Ragionare toccando di passaggio pensieri della Bibbia e avvenimenti della storia ecclesiastica è bello, ma la gente non segue. 

- Cosa mi consiglia di fare? 

- Bisogna abbandonare la lingua e lo stile dei classici, parlare in dialetto o anche in italiano se si vuole, ma in maniera popolare, popolare, popolare. Invece di fare ragionamenti, raccontare esempi, fare paragoni semplici e pratici. Si ricordi che la gente segue poco, e che le verità della fede bisogna esporle nella maniera più facile possibile. 

Quel consiglio paterno mi servì per tutta la vita. 

Conservo ancora, per mia vergogna, quei primi discorsi. 

Quando li prendo in mano, non vedo altro che vanità e desiderio di essere «alla moda». Dio misericordioso mi ha mandato quella preziosissima lezione, che mi servì nelle prediche, nei catechismi, nello scrivere libri.

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