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#3 - Sentinelle del mattino

“Se c'è una cosa che ho imparato da questa "esperienza" e che sto tutt'ora imparando è non dare nulla per scontato: godermi ogni giorno e trovare qualcosa di positivo in ogni giornata, anche perché penso sia l'unico modo per non mollare.”


#3 - Chiamato a guardare in alto


 

Rubrica a cura di Laura Giulian

 

Questo viaggio, che stiamo percorrendo, ricorda, come un parente “alla lontana”, le tre cantiche del Sommo Poeta. Abbiamo attraversato, coi nostri ragazzi, l’Inferno, l’abisso che spaventa e che, senza una guida affianco, atterra, intrappola e non permette di proseguire oltre. Il Purgatorio è un po’ la seconda tappa di questo viaggio e la parola che più lo rappresenta è: pazienza. È conoscere un nuovo modo di contare il tempo, ma è anche il tempo in cui Dio attende la nostra libertà. È proprio nel tempo che cresce e si manifesta una personalità nuova in noi. È il lavoro ciclico e salvifico di chi cade, si rialza, scopre, capisce, sceglie, sbaglia ancora. Al momento opportuno, però, spiccherà il volo.
L’abilità del paziente è riconoscere quello che c’è. Nella vita, non si viaggia da ciò che è male a ciò che è bene; grano e zizzania crescono sempre insieme. La grande sfida è sfoltire il male e coltivare solo il Bene, solo così l’Inferno è ri-attraversabile perché si è consapevoli della prospettiva di bene già intravista. La sentinella del mattino vive riconoscendo il Bene che c’è nell’intreccio tra luce e tenebra.
La prima cosa che Dante nota appena uscito dall’Inferno è la luce, il cielo, “tosto ch’io uscì fuor de l’aura morta”. Anche i nostri ragazzi hanno raccontato di come di fronte al buio hanno sentito il bisogno di alzare lo sguardo, “Chiamato a guardare in alto” (Os 11,7). Si sono commossi e meravigliati di fronte alla bellezza del reale. Quando alzo lo sguardo scopro di essere, di esistere.

 

Quest’anno mi ha insegnato molte cose. Mi ha insegnato che non sono una persona sedentaria, non sono fatta per stare chiusa in casa tutto il giorno, tutti i giorni, ma ho un bisogno quasi patologico di uscire, di vedere il cielo, di vedere le strade che ormai conosco come le mie tasche, per provare un minimo di quella vita che si è spenta completamente nei mesi che mi hanno costretta a casa. Il cielo. Credo sia la cosa che mi è mancata di più. Nell’ultimo periodo ho iniziato a camminare guardando in alto, i cambiamenti che lentamente avvengono sopra di noi. Ho iniziato a respirare a pieni polmoni pedalando in bicicletta al tramonto, quando il cielo si tinge di rosa e tutto sta per cambiare. Guardare in alto è sopravvalutato ormai, tutti abbiamo fretta di andare da qualche parte e il tragitto ci sembra solo una perdita di tempo che ci farà arrivare in ritardo. Eppure, fa bene al cuore prendersi ogni tanto qualche istante per guardarsi intorno, per alzare lo sguardo e vedere quel particolare di un edificio che sempre avevamo avuto davanti e che mai abbiamo avuto il tempo di osservare. Soffermarsi sulle piccole cose fa bene. Fa bene prendersi una pausa dalla frenesia e fermarsi nel caos che ci circonda, estraniarsi dal mondo, riuscire finalmente a sentirsi di nuovo noi stessi.”

 

Si sono accorti, come in quel in principio, che la vita è buona, “e vide che era cosa buona”. Questo esercizio non solo fa alzare lo sguardo, ma riapre gli occhi, fa ri-partire ogni giorno con una buona notizia. È alzarsi e tenere lo sguardo fisso su Venere, la stella del mattino. È la promessa che in mezzo alle ombre c’è e ci sarà sempre anche la luce, ogni mattino, in ogni inizio. Davanti a questo spettacolo può cominciare una vita nuova, “a li occhi miei ricominciò diletto”.

 

Allora, pur in mezzo alle rovine delle nostre città, delle nostre giornate bombardate, delle nostre routine mandate all’aria, i nostri ragazzi, con speranza e coraggio, si sono chiesti: come si riparte? Attorno a cosa ricostruire? Solo attorno all’essenziale si può edificare la novità e l’essenziale sono e restano le relazioni. All’unanimità hanno riconosciuto queste come il cuore pulsante. Con questo sguardo più attento sulla realtà che li circonda, desiderano ripartire da se stessi e dalle loro amicizie. “Quest’anno mi ha insegnato che le persone vere, quelle su cui puoi contare ciecamente, non sono quelle che vedi ogni giorno o che senti in continuazione, ma sono quelle che, nonostante la distanza e l’assenza, sono in grado di riprendere dove si era interrotto tutto e di esserci quando hai bisogno, sempre”. Desiderano ritornare a fare aperitivo non per lo spritz in sé, ma per il gusto di poterlo condividere con qualcuno in carne ed ossa. Lo desiderano quanto lo temono. C’è sempre la tenebra mescolata alla luce, dopo tanto buio la luce fa male agli occhi. Desiderano esserci per cambiare, non solo per esserci solamente. Non sanno bene come dare corpo a questo slancio; lo intuiscono, lo dicono, ma non sanno come agirlo, ne hanno quasi paura. Desiderano provare a combattere lo scoraggiamento iniziando col riconoscere la bellezza che cresce. È una lotta dura; la propria stanza, il divano, il letto, spesso prendono il sopravvento e inghiottono ogni guizzo di vita. La depressione, la rassegnazione, lo scoraggiamento sono demoni potenti con cui stanno facendo i conti. Riconoscere la bellezza è già il primo atto di coraggio, il primo passo per ritornare ad uscire di casa a testa alta, da viventi.

 

“Se c'è una cosa che ho imparato da questa "esperienza" e che sto tutt'ora imparando è non dare nulla per scontato: godermi ogni giorno e trovare qualcosa di positivo in ogni giornata, anche perché penso sia l'unico modo per non mollare.”

 

 

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