Testi Salesiani

22. DOPO IL MARCHESE, LA MARCHESA


22. DOPO IL MARCHESE, LA MARCHESA 

 

« Non posso permettere che lei si ammazzi » 

Le tante voci che correvano su don Bosco cominciarono a turbare la marchesa Barolo. Il fatto che più la inquietava era che il Municipio di Torino disapprovava i miei progetti. 

Un giorno, entrata nella mia camera, cominciò a parlarmi cosi: 

- Sono molto contenta di ciò che sta facendo per le mie opere. La ringrazio di essersi molto impegnata per insegnare alle ragazze la musica, i canti sacri, il canto gregoriano, l'aritmetica e persino il sistema metrico decimale. 

- Non deve ringraziarmi. I preti devono lavorare perché è un loro preciso dovere. Penserà Dio a pagare tutto. Non parliamone più. 

- Devo dirle anche altro. Sono addolorata perché l'enormità del suo lavoro sta rovinando la sua salute. Non è possibile che lei diriga le mie opere e contemporaneamente si dedichi ai ragazzi abbandonati. Ora poi il numero di questi ragazzi è cresciuto in maniera spropositata. Io le propongo di fare soltanto ciò che è suo stretto dovere: dirigere l'Ospedaletto. La smetta di andare nelle carceri, al Cottolengo. E soprattutto, per un po' di tempo non pensi più ai ragazzi. Cosa mi risponde? 

- Signora Marchesa, finora Dio mi ha aiutato, e credo che continuerà a farlo. Non si preoccupi per le tante cose che ci sono da fare. Tra me, don Pacchiotti e don Borel faremo tutto. 

- Ma io non posso permettere che lei si ammazzi. Che lo voglia o non lo voglia, i troppi impegni recano danno alla sua 

salute e alle mie opere. E poi è ora che prenda coscienza delle voci che corrono sulla sua salute mentale, dell'opposizione delle autorità nei riguardi del suo Oratorio. Tutti elementi che mi costringono a farle una proposta precisa. 

- Quale, signora Marchesa? 

- Lei deve scegliere: o l'Oratorio o il Rifugio. Ci pensi con calma poi mi risponderà. 

- La mia risposta è pronta da molto tempo. Lei ha denaro, e può trovare molti preti da mettere al mio posto. I miei ragazzi, invece, non hanno nessuno. Se li abbandono, per loro 

è finita. Accetto quindi il suo licenziamento, anche se vorrei continuare a fare ciò che posso per il Rifugio. Mi dedicherò a tempo pieno ai ragazzi abbandonati. 

- Ma senza stipendio come farà a vivere? 

- Dio mi ha sempre aiutato e mi aiuterà ancora. 

 

« Le do un consiglio come se fossi sua madre » 

- Ma lei ha la salute rovinata, è esaurito. Se va via di qui finirà ingolfato nei debiti. Allora tornerà da me. Ma io fin d'ora le dico chiaro e netto che per i suoi ragazzi non le darò un soldo. Accetti un consiglio che le do come se fossi sua madre. Io continuerò ad assegnarle il suo stipendio, l'aumenterò se vuole. Lei prende questo denaro e se ne va. Dove vuole, in riposo assoluto. Per uno, tre, cinque anni se occorre. Quando sarà pienamente ristabilito tornerà qui al Rifugio, e io le darò il bentornato. Se rifiuta questo consiglio, per il suo bene, sarò costretta a licenziarlo. Ci pensi bene. 

- Le ripeto che ci ho già pensato, signora Marchesa. La mia vita è consacrata al bene della gioventù. La ringrazio delle offerte generose che mi fa, ma non posso lasciare la strada che la divina Provvidenza mi ha tracciato. 

- Concludendo, lei preferisce i suoi vagabondi alle mie opere. Se è così oggi stesso la farò sostituire. 

Le feci notare che un licenziamento così improvviso avrebbe potuto far sospettare motivi disonorevoli per me e per lei. Era meglio agire con calma, conservare quella carità di cui dovremo un giorno rendere conto al tribunale di Dio. 

- Va bene - concluse. - Fra tre mesi, se non avrà cambiato parere, le troverò un sostituto come direttore dell'Ospedaletto. 

Accettai, abbandonandomi nelle mani di Dio. 

La voce che don Bosco era diventato matto, intanto, si diffondeva sempre più. I miei amici soffrivano. Gli altri ridevano. Tutti stavano lontani da me. L'Arcivescovo non interveniva. Don Cafasso consigliava di aspettare. Don Borel taceva. Tutti i miei collaboratori mi lasciavano solo in mezzo a quattrocento ragazzi. 

 

Non uno, ma due preti in manicomio 

Alcune persone ragguardevoli decisero, in quei frangenti, di prendersi cura della mia salute. Una di esse propose: 

- Don Bosco ha delle fissazioni. Se non affronta una buona cura lo condurranno inevitabilmente alla pazzia. Conduciamolo al manicomio. Là, coi dovuti riguardi, i medici faranno ciò che la medicina prescrive.

Due preti furono incaricati di venirmi a prendere con una carrozza e di condurmi al manicomio. Arrivarono, mi salutarono con cortesia. Poi mi domandarono notizie sulla salute, sul 

l'Oratorio, sulla grande casa e la chiesa che io prevedevo come futura sede della mia opera. Alla fine sospirarono profondamente, e mormorarono: 

- E’ proprio vero. 

Mi indicarono la carrozza e mi invitarono a fare una passeggiata con loro. Dissero: 

- Un po' d'aria ti farà bene. Avremo tempo di chiacchierare un po' insieme. 

Mi accorsi subito dello « scherzo » che mi volevano fare, e senza far finta di niente li accompagnai alla carrozza. Insistetti perché entrassero essi per primi. Quando furono dentro, invece di seguirli, chiusi velocemente lo sportello, e dissi al cocchiere: - Al manicomio, presto! Questi due preti vi sono aspettati.

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