Ricorre oggi la memoria della beata suor Maria Troncatti, FMA e missionaria: infermiera durante la prima Guerra Mondiale, partì poi per l’Ecuador, dove si spese interamente al servizio delle popolazioni della selva, nell’evangelizzazione e nella promozione umana.
Devo essere missionaria”
Nata a Còrteno Golgi (provincia e diocesi di Brescia) il 16 febbraio 1883, fu battezzata nella chiesa parrocchiale il giorno successivo.
Nella vita familiare e nella parrocchia si distinse per il vivace apprendimento delle verità di fede e nella partecipazione diligente all'istruzione catechistica. Fu ammessa alla Prima Comunione all'età di sei anni. Da quel giorno sarà assidua alla Santa Messa e nell'accostarsi alla comunione, secondo la frequenza consentita dalle norme del tempo.
Appena maggiorenne, entrò nell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice ed emise la professione religiosa il 17 settembre 1908. In occasione della prima guerra mondiale fu inviata a corsi preparatori per l'assistenza infermieristica e prestò la sua opera di crocerossina nell'Ospedale militare di Varazze, in Liguria, cercando di alleviare con premure materne le sofferenze fisiche e morali dei giovani reduci dal fronte.
Nel 1922, in risposta alla sua generosa offerta missionaria, fu destinata nella selva amazzonica dell'Ecuador per iniziare l'opera di evangelizzazione fra gli indigeni shuar.
L'attività di suor Maria nella missione è molteplice: dall'assistenza agli ammalati alla creazione di piccoli ambulatori-farmacie, ai soccorsi di emergenza anche con interventi chirurgici; da tutto trae spunto per parlare di Dio, Padre buono che accoglie e perdona; della Vergine Maria, madre tenera e sollecita; del paradiso che ci attende.
La preoccupazione per la salvezza eterna di ogni persona è sempre prevalente nel suo spirito di apostola. Una convinzione solida la accompagna costantemente: di essere inserita lei, piccola creatura, limitata benché operosa, nel grande disegno dell’amore di Dio che salva, e nella multiforme azione evangelizzatrice della Chiesa universale.
L'attenzione privilegiata di Sr. Maria si rivolge soprattutto ai bambini e alle giovani donne, spesso penalizzate da una serie di pregiudizi ancestrali. E sarà un grande avvenimento nella selva quando per la prima volta, nel 1930, due giovani shuar celebreranno il matrimonio cristiano per scelta libera e propria, non più predeterminata da contratti delle famiglie. I bambini, flagellati da frequenti epidemie, trovano in suor Maria la madrecita buena, la abuelita che li cura, li conforta e soffre con loro quando il male non perdona. L'opera missionaria condotta nel nome della Vergine Ausiliatrice e di don Bosco si diffonde nella selva grazie all'appoggio costante dei Padri salesiani.
Centri missionari fiorenti a Macas, Sucúa, Sevilla Don Bosco, sono testimoni dello zelo di suor Maria, che dal 1947 inizia a Sucúa un piccolo ospedale. Nella sua opera promozionale fra le giovani giunge ad organizzare corsi per la preparazione di infermiere e per la formazione al matrimonio e alla famiglia (cucito, culinaria, igiene, puericultura, ecc.). E sarà una grande gioia per suor Maria il giorno in cui – nel 1961 - potrà inaugurare nell'ospedale un nuovo padiglione, destinato alla maternità.
L'amore di suor Maria per la popolazione shuar moltiplica il suo spirito d'iniziativa, che non si arrende di fronte a nessuna difficoltà e si irrobustisce alla continua preghiera, da cui trae la forza per un’eroica costanza nell’apostolato.
Ella non esita ad offrire allo Sposo Divino la propria vita per la pacificazione tra shuar e coloni, dopo che un incendio doloso, seguito a diversi episodi di minaccia, distrusse buona parte della missione, mandando in fumo sacrifici di molti anni. L'offerta fu accetta.
A distanza di poche settimane, il 5 agosto 1969 partendo per gli esercizi spirituali, il piccolo aereo che la trasportava precipitò nel momento del decollo; fu l'unica vittima.
Intorno alla sua bara il comune compianto la rievoca come santa: per i tratti del suo instancabile donarsi, del suo disinvolto eroismo.
In vista della sua beatificazione, la Postulazione della Causa ha sottoposto al giudizio della Congregazione delle Cause dei Santi la presunta guarigione miracolosa, avvenuta in diocesi di Portoviejo (Provincia di Manabí, Ecuador), della signora Josefa Yolanda Solórzano Pisco, la quale, nell’aprile 2002 iniziò ad avvertire dei sintomi di malessere, che furono interpretati come una normale affezione influenzale. Il malessere andò progressivamente accentuandosi e l’inferma, nel frattempo ricoverata in ospedale, si trovò in pochi giorni in uno stato generale di prostrazione, accompagnato da cefalee, dolori addominali, vomiti, inappetenza e pallore diffuso. Nei giorni successivi si manifestarono ulteriori problemi, quali ematomi intensi e diffusi, strato febbrile incontrollabile e frequenti deliri: il processo degenerativo appariva irreversibile, al punto che la paziente entrò in coma.
In questo contesto, parenti e amici di Yolanda ottennero le sue dimissioni dall’ospedale, affinché ella “potesse morire nella propria casa”. Qui un sacerdote salesiano presentò loro la figura della Serva di Dio, esortando i presenti a pregare per chiedere, mediante la sua intercessione, la guarigione dell’inferma. All’alba del 10 maggio 2002 tutti notarono in Yolanda un palpito di iniziale ripresa. Quello fu il primo passo di una ripresa nel recupero della coscienza e nella normalizzazione dei segni vitali, dalla scomparsa dell’ittero alla normale ripresa della respirazione, dall’attenuarsi dei diffusi dolori articolari all’uso della parola.
Appare evidente la concomitanza cronologica e il nesso tra l’invocazione alla Serva di Dio e la guarigione di Josefa Yolanda Solórzano Pisco, che attualmente gode di buona salute ed è in grado di gestire una normale vita relazionale.
Tratto da: causesanti.va
Versione app: 3.21.0 (103b857)