Sei osservazioni sul caso Charamsa

Alcune considerazioni di carattere generale che non riguardano ciò che Charamsa è, ma ciò che ha detto...

Sei osservazioni sul caso Charamsa

 

Sul Corriere della Sera dello scorso sabato 3 ottobre è stata pubblicata l’intervista a monsignor Krzysztof Charamsa, docente di prestigiose università pontificie come la Pontificia Università Gregoriana e perfino ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede, in cui il prelato dichiara non solo di essere omosessuale, e di avere un compagno, ma che oramai la Chiesa deve prendere coscienza di questa realtà, adeguarsi e modificare il proprio insegnamento.

Charamsa, dichiara altresì che non si possono più attendere altri cinquant’anni per modificare la dottrina della Chiesa sul punto, anche per rimediare all’omofobia della Chiesa stessa; la Chiesa, cioè, sempre secondo Charamsa, deve non solo accettare l’esistenza dell’omosessualità, ma accettare anche che vi siano numerosi sacerdoti omosessuali e che questi possano avere dei compagni e creare una famiglia, poiché «ogni persona ha diritto all’amore e quell’amore deve essere protetto dalla società, dalle leggi. Ma soprattutto deve essere curato dalla Chiesa».

 

Il caso che molto sta facendo discutere tutto il mondo, non può che generare delle perplessità e lasciare spazio ad alcune considerazioni di carattere generale che, tuttavia, è bene precisarlo con chiarezza, non riguardano ciò che Charamsa è, ma soltanto ciò che Charamsa ha fatto, ha detto e pensa.

 

In primo luogo: non sorprende tanto che un omosessuale possa essere sacerdote, quanto piuttosto che un sacerdote che ricopre un ruolo all’interno della Congregazione per la Dottrina della Fede, che della dottrina teologica e morale dovrebbe essere la custode per propria natura e funzione, possa non condividere la dottrina morale e teologica della Chiesa; sarebbe come posizionare il capitalista Donald Trump a capo del Politbjuro sovietico o il rivoluzionario Lenin a capo di una multinazionale come la Coca-Cola.

 

In secondo luogo: le esternazioni di Charamsa lasciano intendere che egli non sia a conoscenza della effettiva dottrina teologica e morale cattolica. L’unione di uomo e donna, infatti, è l’unica possibile per la dottrina teologica e morale della Chiesa poiché in essa e solo in essa uomo e donna si rendono protagonisti della compartecipazione alla creazione divina per il tramite dell’apertura alla vita.

Addirittura, secondo Edith Stein, nella relazione tra uomo e donna, e solo in questa, si riflette l’immagine della relazione trinitaria: «Il fatto che l’uomo sia stato creato per primo, manifesta una certa priorità d’ordine. E il motivo per cui non fosse bene per lui essere solo, lo dobbiamo trarre dalla parola stessa di Dio. Questi fece l’uomo a sua immagine. Ma Dio è uno e trino: come dal Padre procede il Figlio, e dal Figlio e dal Padre lo spirito, così la donna è uscita dall’uomo, e da ambedue discendono i posteri».

Ciò nonostante, la discriminazione e la violenza verbale e fisica nei confronti delle persone omosessuali, sono per la Chiesa sempre e comunque condannati e condannabili. Sul punto si potrebbe riflettere a lungo, ma su tutti gli esempi possibili si consideri ciò che scrive, a firma del Prefetto Cardinale Joseph Ratzinger, proprio la Congregazione per la Dottrina della Fede allorquando chiarisce che l’omosessualità, o meglio l’atto omosessuale deve essere condannato poiché contrario al disegno divino sulla creazione, ma la persona omosessuale e la sua dignità devono sempre essere tutelate e difese: «Scegliere un’attività sessuale con una persona dello stesso sesso equivale ad annullare il ricco simbolismo e il significato, per non parlare dei fini, del disegno del Creatore a riguardo della realtà sessuale. L’attività omosessuale non esprime un’unione complementare, capace di trasmettere la vita, e pertanto contraddice la vocazione a un’esistenza vissuta in quella forma di auto-donazione che, secondo il Vangelo, è l’essenza stessa della vita cristiana […]. È contraria alla sapienza creatrice di Dio […]. Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della Chiesa, ovunque si verifichino. Essi rivelano una mancanza di rispetto per gli altri, lesiva dei principi elementari su cui si basa una sana convivenza civile. La dignità propria di ogni persona dev’essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni».

 

In terzo luogo: Charamsa declama un fantomatico diritto all’amore la cui natura è così eterea da essere impercettibile con la ragione stessa. Che vuol dire diritto all’amore? Verso chi si dovrebbe esercitare? Se qualcuno non trova un compagno o una compagna e volesse esercitare questo presunto diritto all’amore la società avrebbe il dovere di “accoppiarlo” con qualcuno? E con chi?

 

In quarto luogo: l’amore non è un bene giuridico, proprio a causa della natura del diritto che, in quanto tale, è contraddistinto dall’essere coercibile (il debitore non vuole pagare, e il diritto mette a disposizione del creditore tutti gli strumenti per ottenere coercitivamente ciò che gli spetta). L’amore, come del resto l’amicizia o come l’odio, e diversamente da quanto ritiene ingenuamente Charamsa, non è coercibile e perciò non è giuridificabile, sia esso omosessuale, eterosessuale o altro, non potendo rappresentare quindi un motivo legittimante per il riconoscimento di nessuna unione.

 

In quinto luogo: un membro della Congregazione per la Dottrina della Fede dovrebbe sapere fin troppo bene che tentare di mutare la dottrina della Chiesa significa ritrovarsi sull’uscio della Chiesa stessa, non già perché essa può mettere alla porta, ma perché si rischia di farlo da soli. Quando si fuoriesce dall’elegante e sobrio salotto dell’ortodossia, infatti, ci si ritrova già nel trasandato e sguaiato cortile dell’eresia. Chi non accoglie la Chiesa e la sua dottrina, del resto, non può accogliere Dio, come precisa, con abilità scultorea, Cipriano di Cartagine per il quale «non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre». Nel caso di specie, si potrebbe ritenere che il pensiero di Charamsa spoletti tra lo gnosticismo e il modernismo, due cancri dottrinali fin troppo ben conosciuti dalla Chiesa per non essere anche prontamente ri-conosciuti e risolti con la rimozione del sospetto eretico da tutti i propri incarichi.

 

In sesto luogo: se da un lato non si può non biasimare Charamsa per ciò che ha fatto e detto e non già per ciò che ha dichiarato di essere, da un altro lato occorre anche essere pronti a ri-accoglierlo nel seno e nel senso della Chiesa, poiché se essa pratica la giustizia e punisce chi erra, in caso di sincero, autentico e profondo pentimento, la Chiesa pratica anche e soprattutto la misericordia.

Del resto, questo insegna proprio la sua storia.

Allorquando l’ardente San Pier Damiani scrisse nell’XI secolo il suo “Libro gomorriano” in cui chiedeva una riforma morale del clero denunciando tutti i vizi e i diversi e variegati peccati che ne oscuravano la santità e l’aderenza al Vangelo, sollecitando il Papa Leone IX ad adottare i più duri provvedimenti, proprio il Pontefice così rispose: «Gli ecclesiastici della cui vita schifosissima la tua saggezza ha trattato con accenti di compassione, ma al tempo stesso con grande raziocinio, davvero non hanno nulla da pretendere nel lotto della Sua eredità, dalla quale si discostano essi stessi dedicandosi a godimenti sfrenati […]. E questo tipo di ecclesiastici rivela, se non con le parole, con la prova dei loro comportamenti di non essere ciò che sono creduti. In che modo, infatti, può essere, o esser definito, ecclesiastico, uno che a suo arbitrio non ha esitato a macchiare e macchiarsi accarezzandosi o accarezzando ad altri i genitali, o in maniera folle avendo rapporti intercosciali o anali? […]. Al tempo stesso bisogna stare attenti a porre un qualche temperamento alla pur giusta severità […]. Vanno espulsi da tutti i livelli dell’ordine ecclesiastico, sia in base alle scritture canoniche, sia in base al nostro personale giudizio. Ma Noi, volendo operare più umanamente, facendo fiducia nella misericordia divina, ordiniamo che vengano riammessi ai gradi che possedevano al momento di cadere in peccato se metteranno freno ai loro piaceri ed espieranno con una dura penitenza le malefatte commesse».

 

Infine, un’ultima osservazione sembra necessaria: Charamsa ritiene che la Chiesa debba essere più tollerante dimenticando così la preziosa lezione che un filosofo laico e progressista come il suo conterraneo polacco Leszek Ko≈Çakowski ha fornito sul punto: «La Chiesa considera moralmente illecite le pratiche omosessuali richiamandosi al Vecchio e al Nuovo Testamento, alla propria tradizione e alla proprio interpretazione teologica della sessualità. Se la Chiesa volesse tornare alla proibizione legale dell’omosessualità, potrebbe venire accusata di colpevole intolleranza. Le organizzazioni degli omosessuali, però, pretendono che la Chiesa revochi il suo insegnamento, il che è una manifestazione di intolleranza colpevole in senso opposto. In Inghilterra si sono verificati casi di dimostrazioni e di attacchi alle chiese su questo argomento. Chi è qui l’intollerante? Se alcuni omosessuali ritengono che la Chiesa sbagli, ne escano pure, tanto non rischiano nulla; ma quando pretendono di imporre aggressivamente e chiassosamente la propria opinione alla Chiesa, non difendono la tolleranza, bensì propagano l’intolleranza. La tolleranza è efficace quando viene praticata da entrambe le parti».

 

 

Aldo Vitale

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