Una data fondamentale per l’oratorio di don Bosco è l’8 dicembre del 1841. E’ il giorno dell’incontro tra Bartolomeo Garelli, Giuseppe Comotti e don Bosco. Se siamo familiari con questo episodio abbiamo forse l’impressione che più di tanto non possa dirci; a volte siamo tentati di pensare che sia soltanto una storia di don Bosco, giusto per far risalire l’oratorio ad una data importante. Sta di fatto che gli storici della congregazione hanno di fatto cercato di ritrovare tracce nei documenti di questo famigerato Garelli ma aimè non se ne è ancora trovata traccia, e forse non se ne troverà più.
Una data fondamentale per l’oratorio di don Bosco è l’8 dicembre del 1841. E’ il giorno dell’incontro tra Bartolomeo Garelli, Giuseppe Comotti e don Bosco. Se siamo familiari con questo episodio abbiamo forse l’impressione che più di tanto non possa dirci; a volte siamo tentati di pensare che sia soltanto una storia di don Bosco, giusto per far risalire l’oratorio ad una data importante. Sta di fatto che gli storici della congregazione hanno di fatto cercato di ritrovare tracce nei documenti di questo famigerato Garelli ma aimè non se ne è ancora trovata traccia, e forse non se ne troverà più.
Tuttavia, rimanendo fedeli al testo delle memorie dell’oratorio, possiamo chiederci se sia possibile approfondire gli altri elementi della scena descritta, per farla risaltare più vivida e magari ricavarne qualche significato ulteriore, che possa arricchire la nostra comprensione. Quello che vorrei proporvi è di andare alla scoperta del Comotti, il sacrestano. Ecco qui brevemente il racconto delle Memorie:
I1 giorno solenne all’Immacolata Concezione di Maria (8 dicembre 1841) all’ora stabilita era in atto di vestirmi dei sacri paramentali per celebrare la santa messa. Il cherico di sacristia, Giuseppe Comotti, vedendo un giovanetto in un canto lo invita di venirmi a servire la messa. Non so, egli rispose tutto mortificato.
Segue il tentativo di “spolveramento” del Comotti alla testa del Garelli, visto che l’oggetto usato era la pertica dello spolverio, quell’asta usata per togliere la polvere alle statue e ai luoghi difficilmente accessibili nella chiesa. Segue l’intervento di don Bosco:
Che fate, gridai ad alta voce, perché battere costui in cotal guisa, che ha fatto?
Così il Comotti, dopo aver chiamato il Garelli “Bestione”, gli corre dietro chiamandolo “Tuder” che significa ragazzo in piemontese. Una prima trasformazione che avvien nel linguaggio ed echeggia il sogno dei nove anni, dove i giovani diventarono bestie e poi ancora giovani. Ecco che avviene il dialogo tra Garelli e don Bosco.
L’altro si approssimò tremante e lagrimante per le busse ricevute. Hai già udita la messa? gli dissi colla amorevolezza a me possibile.
Probabilmente sappiamo il seguente dialogo a memoria o poco ci manca, avendolo visto il film, scenette, commenti e libri. Una prima riflessione che vorrei fare è questa: questo episodio più che l’incontro tra Garelli e don Bosco è l’incontro tra Comotti, Garelli e don Bosco. Non so voi, ma in testa ho sempre avuto la figura del “sacrestano” e mai il nome e cognome di Giuseppe Comotti. Questo è comprensibile, nel senso che non è una cosa molto bella essere ricordati per aver scacciato un ragazzo di chiesa; tuttavia è don Bosco stesso che ci procura il nome del chierico: non è forse così? la storia si ricorderà di te, di me, quando senza pensare avremo fatto prevalere la violenza, soprattutto in un luogo sacro come la chiesa. Don Bosco è spietato, a mio avviso, nell’inserire il nome di Giuseppe; tuttavia è probabile che anche in questo stia il messaggio dell’episodio. L’ignoranza del chierico Comotti, che pure sapeva le cose di religione, è ignoranza del cuore, l’incapacità di tradurre, e probabilmente di sperimentare lui per primo, la misericordia e la carità che la religione cristiana celebra in Gesù. Certo, il Garelli dalla sua aveva una radicata ignoranza religiosa, non sapendo nemmeno come fare il segno della croce. Per questo, tenendo presente il Comotti e il Garelli, penso si possa dare più risalto alla figura di don Bosco in questo giorno che è il Natale dell’oratorio: l’oratorio nasce come un ponte tra l’ignoranza affettiva e quella religiosa. Don Bosco è il servitore, il sacerdote, il costruttore di questo ponte, reso possibile dall’incarnazione di Gesù. Infatti al centro della scena di questo incontro c’è la santa messa. Proviamo a immaginarcela, dal ritorno del Garelli in poi:
L’altro si approssimò tremante e lagrimante per le busse ricevute. Hai già udita la messa? gli dissi colla amorevolezza a me possibile.
—No, rispose l’altro. (Garelli)
— Vieni adunque ad ascoltarla; dopo ho piacere di parlarti di un affare, che ti farà piacere. Me lo promise.
Don Bosco avrà celebrato messa, mentre Garelli ascoltava e plausibilmente Comotti serviva messa. Nella messa, i tre sono ri-uniti: ciascuno nel ruolo in cui può partecipare. Don Bosco è il sacerdote, il mediatore. Egli alza la voce con Comotti per correggerlo e riportarlo sulla via dell’amorevolezza con il fratello, tanto quanto ha toni pacati e dolci con Garelli per invitarlo però a impegnarsi e conoscere meglio Dio. Che fine avrà fatto Comotti? Forse è ancora tra noi, in noi: è la nostra durezza di cuore che diventa clericalismo, diremmo forse oggi. Tuttavia l’oratorio inizia così e con questa tensione può restare ancora vivo e attuale: don Bosco ancora ci aiuti a creare ponti, tra i Garelli e i Comotti di oggi.
di Marco Baù sdb
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