Concludiamo oggi la nostra rubrica missionaria di ottobre. Anna ci racconta la sua esperienza in Nigeria, dove ha sperimentato che essere una missione significa dirsi: "io sono nessuno"...
del 26 ottobre 2018
Concludiamo oggi la nostra rubrica missionaria di ottobre. Anna ci racconta la sua esperienza in Nigeria, dove ha sperimentato che essere una missione significa dirsi: "io sono nessuno"...
Ci sono tante citazioni meravigliose con cui poter iniziare un articolo che parli dell'Africa, dell'amore per la missione e del dono gratuito, tante bellissime ed evocanti espressioni che mi possono aiutare a descrivere qualcosa di grande ed articolato. In questo momento però solo una è la frase che mi risuona costantemente nel profondo, che più di tutte trova in me una risposta sincera:"io sono nessuno" (Annalena Tonelli). Anch'io voglio essere nessuno, non per pretese di grandezza ma perchè credo che la missione sia preziosa quando fatta in punta di piedi, come aiuto silenzioso ma fermo, come presenza d'amore ma non di vincolo. Insieme ad Annalena, in un incontro di scuola di Mondialità (il cammino formativo missionario MGS) don Paolo Bolognani aveva usato l'espressione di "fare missione in punta di piedi". Ecco, queste sono secondo me le due perle che ci possono guidare nell'essere una vera missione, sana, nella vita degli altri.
Io sono arrivata in Nigeria nell’Ottobre del 2016, dopo essermi laureata qualche settimana prima in psicologia, per completare il mio periodo di tirocinio post-lauream, e sono stata improvvisamente travolta ma ben presto affascinata da un paese così lontano, complesso, grande, che probabilmente in sei mesi non sono riuscita a comprendere, ma che ho vissuto, ho respirato, ho amato.
Ho lavorato in una clinica per HIV e AIDS, con la psicologa del posto ci siamo occupate di test, sostegno psicologico, sportello informativo...e anche cucina, taxi per l'ospedale, baby sitting durante le visite, traduzioni con stregoni del posto! Il "Don Bosco Healt Centre" è riconosciuto in tutta la città per la precisione dei risultati e per la particolare cura con cui si fa carico dei pazienti, per la determinazione con cui cerca di combattere concretamente la discriminazione e lo stigma ad oggi ancora molto presenti legati al virus dell'HIV.
In quei pochi mesi ho toccato con mano la complessità dell'Africa e della sua povertà, che è una povertà del XXI secolo, che mi ha sempre dato l'idea di lasciare dei grandi vuoti. Ho avuto l'impressione che cercassero di stare al passo, cadendo mille volte, tralasciando passaggi fondamentali, per sentirsi al livello dei paesi sviluppati, perdendosi così la bellezza della cultura che hanno la fortuna di avere ancora ed i passaggi necessari che servono per costruire qualcosa di stabile e solido.
Sono tante le situazioni di contraddizione e di povertà che ho conosciuto, e tutte mi hanno sempre lasciato mille domande, che forse nascondevano un mio giudizio da donna europea. È stato un lungo percorso quello di accettare davvero con il cuore, ma pur sempre in maniera critica le situazioni che mi si presentavano; questo per me significava non giudicare dall'alto della mia istruzione, ma neanche accettare tutto con compassione e falsa benevolenza. Quando ho davvero compreso come farmi da parte in modo sano, non essere di ostacolo ma solo in ascolto, pronta al dialogo ed alla messa in discussione, allora tutto è completamente cambiato! Mi sono pienamente inserita e sono stati sei mesi meravigliosi!
È passato un po' di tempo ormai, ma ancora mi emoziono nel pensare alla Nigeria, ancora mi sembra di avere "a un passo dal possibile" il cancello aperto della casa di Akure e la strana sensazione con cui sono tornata, di vuoto, smarrimento, è diventata una dolce nostalgia costante, che mi accompagna in quello che faccio tutti i giorni.
Ho amato la Nigeria, in tanti modi diversi: quando sono arrivata ho amato la sua durezza e la fermezza con la quale sono stata costretta a scontrarmi;, man mano che i mesi passavano ho amato le persone, la clinica, gli odori, il rumore di Akure, notte e giorno, le stelle della notte che qui non vedo, e l'abbraccio delle cuoche, gratuito e stritolante. Nei mesi e in quest'anno in cui sono tornata, la Nigeria stessa mi ha fatto innamorare, e con questo non voglio dire che lì è la mia vita, ma che, nel dubbio di non sapere dove andare, cosa fare con precisione, nel buio in cui a volte mi sento di brancolare, quell’esperienza di dono è la fiamma che mi brucia dentro, che in tutto quel "non so", rimane fermo, senza forma, non definito, ma saldo.
Io non lo so se sono stata una missione per la vita degli altri in Nigeria, so che è stato arduo ogni singolo giorno. E’ stato difficile essere da sola, non capire tutto, essere diversa, amare e odiare allo stesso tempo la mia diversità, rendermi conto di vivere un grande regalo e avere paura di sprecarlo. È stato difficile ma fondamentale imparare a farmi da parte, perdere il punto di vista con cui ero arrivata: nel momento in cui ho capito che non era per me che ero lì, non era per un mio personale bene essere arrivata in Nigeria, quando ho compreso che non ero io al centro…allora la situazione è cambiata completamente. Quando avviene questa “conversione” tutto si districa, è più sereno, perchè non si vive più l'angoscia di dover comunque combattere per se stessi, per valere, per essere al centro. "Uscire dalla mia terra interiore, donare a piene mani", questo era il centro e il desiderio.
Credo di essere una missione quando lascio che il mio amore sia dato gratuitamente, quando lascio che quello che io posso dare, che con onestà è poco, sia dato completamente, del tutto, senza riserve, senza scegliere a chi.
Sono stata e sono una missione per la vita degli atri? Io non lo so.
La Nigeria è stata ed è una missione per la mia vita? Assolutamente sì.
Anna Mantesso
Versione app: 3.21.0 (103b857)