La testimonianza del 25enne. «Lo spinello è punibile. Litri e litri, no»
La testimonianza del 25enne. «Lo spinello è punibile. Litri e litri, no»
«Ho iniziato a bere in modo quasi casuale, all’età di 15 anni, con qualche birra alle feste. L’alcol mi dava euforia, mi disinibivo e superavo ogni paura. Poi mi ha preso la mano, ed è diventato la stampella per ogni problema. Bevevo tutti i giorni, non importa cosa. Da ultimo sono passato ai superalcolici. Cominciavo alle 7 del mattino». Andrea S. ha 25 anni, è ancora molto giovane ma la sua adolescenza è stata segnata dall’alcolismo. Se a 15 anni ha iniziato a conoscere i primi cocktail, dai 17 ha iniziato ad assumerli con frequenza giornaliera.
La sua è una famiglia facoltosa, abita in via Garibaldi, ma i genitori hanno passato la maggior parte della sua adolescenza in trasferta per lavoro. «E prima di partire mi lasciavano i soldi per il weekend, per mangiare o comprarmi qualcosa. Io li spendevo tutti in alcol. Come tanti miei coetanei. Iniziare a bere da minorenni per le nuove generazioni è la normalità. Fate un giro in largo Saluzzo, il venerdì o il sabato sera, e guardate l’età media».
La pandemia e le conseguenti limitazioni hanno sicuramente accentuato l’abuso di alcol, soprattutto tra i giovanissimi, ma il problema esiste da diverso tempo: «Già dieci anni fa era così, solo che l’alcol è l’unica droga socialmente accettata. Se un ragazzo fuma una canna è penalmente perseguibile, se beve 5 bottiglie di vodka no. Per questo è più facile cascarci, quasi quanto è difficile uscirne». Superare l’ostacolo dell’età invece è sempre stato facile: «Mandavamo avanti le ragazze, con un po’ di trucco era facile scambiarle per maggiorenni. Oppure entrava quello più grande e ordinava per tutti. Funzionava sempre. E io reggevo il bicchiere alla grande. Fu una fregatura. Avevo una predisposizione naturale, questione di enzimi. Ci davo sotto davvero. Quanto mi scolavo? Non glielo dico. Tanto, tantissimo». Dal divertimento eccessivo e limitato al weekend, si passa però in breve tempo alla dipendenza: «A 17 ho perso mio padre, un colpo durissimo. In quel momento cambiò tutto e l’alcol divenne una necessità quotidiana. Bevevo solo vodka perché è trasparente, la travasavo in bottiglie d’acqua illudendomi che nessuno se ne accorgesse. Anche a scuola».
Andrea inizia a bere da solo, si nasconde, mente. Arriva a consumare tutti i giorni due o tre bottiglie. A salvarlo è la sua ragazza, Paola: «Decidi, mi disse, o me o l’alcol. Capii di aver toccato il fondo. Non ricordavo quasi mai cosa fosse accaduto il giorno prima e all’università non superavo un esame».
A 23 anni si iscrive in una comunità, ma dopo 6 mesi ha una ricaduta e decide di mollare. Ma la ragazza no. Chiama un’associazione di Torino e lo iscrive al club degli alcolisti anonimi. «Lo svezzamento è stato difficile, non tanto per l’astinenza fisica, quella passa in pochi giorni, ma per quella mentale. Ogni volta che uscivo ero una prova. Basta un bicchiere per rovinare tutto».
All’interno dell’associazione però, tra colloqui individuali e di gruppo, trova la sua dimensione: «Avevo paura e invece ho trovato gente come me. La condivisione aiuta molto. Per uscirne occorre controllo e amore per se stessi. Chi fa uso di alcol invece si disprezza, beve per dimenticarsi. Adesso il mio motto è: “Per 24 ore”, e si va avanti così».
Oggi Andrea è pulito, sta per laurearsi in psicologia e non tocca un bicchiere da un anno. E la sua ragazza è incinta: «Non provo più quell’eccessiva sensibilità alle frustrazioni. Ho dei problemi, come tutti, ma ho imparato ad affrontarli. Quel che conta è dipanare tutte le matasse che fanno da premessa all’alcolismo. Ora voglio solo essere un padre esemplare».
di Nicolò Fagone La Zita
tratto da torino.corriere.it
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