I doni dello Spirito Santo - 5

Il dono della fortezza, come sua principale funzione, aiuta a superare tutte le paure umane, iniettando nella volontà e nell'animo una fermezza divina, che rende intrepidi e coraggiosi nel realizzare la propria missione nella vita.

I doni dello Spirito Santo - 5

 

Educare gli adolescenti con il dono della «fortezza»

L’equilibrio di una definita «identità» personale viene acquista dall’adolescente di oggi con una certa fatica, per i forti condizionamenti psico-sociologici a cui è soggetto. Tuttavia l’identità che si matura ordinariamente nell’adolescenza è una specie di energia che si radica nella natura umana ed è anche per il credente un dono di Dio Creatore: è sintesi contemporanea di frutto di conquista e dono trascendente e gratuito. Tuttavia, pare che il processo di formazione della identità nell’età evolutiva venga oggi sottovalutato quanto allo sforzo di conquista, dal momento che la cultura attuale afferma nella prassi una tendenza che demonizza ogni sforzo, ogni impegno duraturo. Senza stabilità psicologica, nelle due dimensioni indicate, non ci potrà essere per i ragazzi cristiani una identità personale con le relative conseguenze di sfasamento e di confusione esistenziale.

In realtà l’acquisita identità dovrebbe permettere all’adolescente di incominciare a gestire con responsabilità la propria vita e realizzarla in una vocazione (umana e cristiana) così come viene indicato nella catechesi che il progetto catechistico italiano indica per questa età della crescita nella fede (cf il testo del catechismo Io ho scelto voi). La realizzazione di una vocazione suppone l’assunzione di principi operativi che unificano, sostengono ed elevano le realtà umana; in questa prospettiva, la «fortezza» (virtù cardinale che sostiene la forza della vita) va coniugata nel ragazzo credente con la «forza» che è il «dono dello Spirito», sigillato in lui dalla «confermazione».

La «forza della vita» viene sostenuta dalla «forza della fede»: insieme, queste due «forze», assicurano la realizzazione del «proprio cammino vocazionale». Perciò l’educazione alla vita di fede suppone la formazione di quelle attitudini relative alla forza della vita che cresce e che chiede agli adolescenti di orientarsi a realizzazioni umane ben riuscite. Questi attitudini creano la docilità allo Spirito nelle azioni più ordinarie e i credenti si lasciano spingere come vele spiegate secondo una rotta stabilita. Si alimenta così il cammino con le energie di questa «forza», rendendo le virtù umane facili, stabili e attraenti, portandole a maturazione come frutti saporosi per se stessi e per gli altri.

 

Le «ambivalenze» della vita adolescenziale

La sintesi («forza della vita e forza della fede») di una sintesi vitale nel credente non appare oggi facile. Non è facile per i ragazzi di questa età affrontare fino in fondo l’esperienza del vivere in tutta la sua pienezza, perché la loro identità appare abbastanza fragile e poco rassicurata; non è facile per loro accettare una verità che è dono, ma che deve diventare anche compito che impegna nelle scelte e richiede spesso rinunce e sacrifici; non è facile che si aprano per loro orizzonti sempre più vasti, intrappolati come sono nella cultura del «presentismo» e nella soddisfazione immediata del principio del comodo e del piacere.

Ai ragazzi bisogna far intravedere allora la necessità di percorrere un itinerario, un cammino che segue la legge del seme: l’albero maestoso e sicuro è già tutto nel suo inizio, nel piccolo seme carico di futuro e di potenza incontenibile; si tratta di farlo crescere, secondo tappe precise e ben collegate. E non lasciare che tutto avvenga in maniera spontanea e incontrollata.

Si tratta di incominciare a guardare in profondità se stessi e prendere coscienza della propria vita, attraverso una comprensione più profonda delle esigenze della quotidianità.

Questa vita è un «luogo» (il terreno in cui è collocato il seme) in cui l’adolescente deve lavorare per far crescere il seme (la propria esistenza) alla piena maturità dei frutti. È, comunque, il Signore che mette dentro al ragazzo il seme della vita con la sua forza intrinseca che spinge in avanti alla sua realizzazione.

Si tratta di un processo dinamico, mediato da esperienze, quelle piacevoli e quelle dure, che hanno il potere di sorprendere, di far sentire esigenze più profonde e quindi di sollecitare a cercare risposte e inventare soluzioni.

È in questa sete di novità e di auto-realizzazione che viene data all’adolescente l’occasione di incontrare Dio. Ma lo incontra solo chi si apre ad una vita più vera e chi cerca una felicità non fittizia; chi vuole cioè sperimentare la salvezza piena. Questa scoperta di significati nuovi nei fatti della vita e nella novità delle esperienze personali trovano un singolare accompagnamento e una risposta autentica e aperta al futuro nella particolare storia della salvezza che Dio ha realizzato con Israele e continua a realizzare con ogni credente che accetta i doni del suo Spirito. Il catechismo citato fa riferimento a questa «storia salvifica», con un paragrafo che porta il titolo «Il coraggio di fare un cammino».

Il dono della fortezza aiuta a realizzare questo progetto fortificando contro il timore di non farcela, aiutando a superare le difficoltà che si frappongono ambivalentemente nella vita quotidiana, illuminando la mente davanti ai pericoli da evitare, dando le energie necessarie contro i pericoli di cedere alle fatiche che si presentano nella esecuzione della propria vocazione. E questo vale non solo per le difficoltà ordinarie, ma anche e soprattutto – per chi si lascia guidare da questa forza – per compiere cose straordinarie, come diventare «persone di carattere», «uomini o donne forti e decise nel fare il bene», «testimoni autentici che non si lasciano smuovere dalle avversità», «martiri della fede… anche anonimi».

Questa forza aiuta a non cedere davanti ai pericoli più gravi; fa superare le fatiche più onerose; permette di sopportare le pene più dolorose. E tutto questo in modo «ordinario», «costante», «eroico».

Così, il dono della fortezza, come sua principale funzione, aiuta a superare tutte le paure umane, iniettando nella volontà e nell’animo una fermezza divina, che rende intrepidi e coraggiosi nel realizzare la propria missione nella vita. Senza il dono della fortezza non si fanno molti progressi nella vita spirituale e quindi nella realizzazione della propria vocazione cristiana.

 

 

Indicazioni metodologiche e pedagogiche

Con gli adolescenti, passare dai principi teologici e antropologici ai fatti concreti che li impegnano nel proprio quotidiano non è facile e comunque esistono occasioni (e bisogna crearle nelle strutture comunitarie) sia dal punto di vista pedagogico che pastorale, per poter insistere su certe possibilità, orientando a riflettere sui fatti concreti, piuttosto che insistere su tante parole.

* Un primo filone che dovrebbe essere perseguito è quello di saper orientare, man mano che il ragazzo cresce:

a sapersi assumere le proprie responsabilità umane e cristiane (nella vita della fede e negli ambienti della propria esperienza quotidiana). Senza questa «capacità personale» messa in esercizio non ci può essere crescita, maturazione, orientamento, sviluppo delle proprie possibilità. Il rischio di tanti adolescenti di oggi è che, essendo aiutati in tutto e per tutto, senza «essere messi alla prova», non crescano nelle varie dimensione della vita (se non quella fisica…!), rimanendo perciò come «bambini» incapaci, una volta immersi nella vita, a sapersi gestire in proprio. Questa realtà appare abbastanza evidente sia nella vita di famiglia (una lunghissima e garantita presenza senza responsabilità) che nella comunità cristiana («adulti» bisognosi di essere continuamente invitati ad eseguire…, senza saper prendere iniziative e assumersi delle responsabilità…;

 – a sviluppare la propria identità, attraverso tutti gli aiuti che gli educatori mettono a loro disposizione e che orientano allo scopo. «Si sa che la visione che il soggetto ha di sé è proporzionale alla sua visione del mondo e viceversa. La considerazione positiva degli altri, e del mondo che lo circonda, conduce il soggetto a maturare un senso di sicurezza e di fiducia nella vita. Questo senso stesso è imprenscindibile perché egli possa instaurare rapporti sereni con l’esterno. Il rischio che corre la nostra generazione e che la condiziona in modo negativo è la forte soggettivizzazione che si sostanzia di fatto in una identità debole, carente di coesione interiore con la conseguente dispersione di energie»1. Questo non porta a formarsi una piattaforma umana sicura, permeata della «forza della vita» che cresce, e su cui si deve innestare il dono della «fortezza» dato dallo Spirito;

a scoprire (attraverso analisi, confronti e prospettive…!) e a seguire gli orientamenti che portano ad una propria stabile vocazione2;

a mettere a frutto, senza remore o paure varie, i doni ricevuti per non farli inutilmente marcire, come insegna la parabola dei talenti! Ma gradualmente metterli a frutto nelle semplici e piccole esperienze di impegno di ogni giorno, per sapersi poi esprimere in un progetto più stabile di vita. Infatti oggi l’adolescente non ha di fronte a sé una chiara prospettiva che spinge a crescere, e spesso si attarda in scelte parziali e provvisorie. Diventa difficile, quindi, per loro, ipotizzare un futuro da poter scegliere e attrezzarsi di sufficiente forza per superare le difficoltà che la vita prima o poi inevitabilmente prospetta…;

«invitarli ad assumersi le responsabilità di dare rilevanza pubblica e incidenza storica alla fede loro donata dalla Chiesa»3. Ogni esperienza pastorale che la comunità mette in atto con gli adolescenti deve muoversi su questo doppio binario; quello che corre all’interno della comunità o dell’associazione e quello si rivolge al contesto storico-geografico in cui egli è chiamati ad inserirsi.

Occorre iniziare i giovani alla vita come risposta ad una vocazione, aiutandoli a vedere che il loro cammino di sequela di Cristo va realizzato concretamente in uno stato di vita, senza timore di fare proposte esigenti.

* Un secondo filone da perseguire, soprattutto in dimensione psico-pedagogica, è quello che impegna gli animatori-educatori degli adolescenti a far sviluppare in loro il dono della fortezza: che significa educare una serie di atteggiamenti profondi che sono conseguenti all’acquisizione della identità personale: il coraggio, la costanza, la tenacia, la forza interiore, la capacità di tenuta, la resistenza allo sforzo, la sofferenza alla persistenza nei propositi.

Si tratta di andare oggi controcorrente perché essi si misurano, purtroppo, con quel tentativo sottile e manipolatore che spegne ogni desiderio, che smorza ogni domanda. Le loro esigenze sono selezionate e indotte, non provengono dalla scoperta della propria identità; a problemi veri vengono date solo soluzioni di superficie; per domande che si portano dentro una invocazione più profonda non si aprono prospettive di trascendenza…

La fortezza, cristianamente, è il dono che più è apparso evidente nel giorno della Pentecoste, quando gli Apostoli divennero franchi nel parlare e pronti nell’affrontare i rischi, schietti di fronte al popolo e all’autorità.

Allora gli educatori e i catechisti degli adolescenti devono sapere che questo dono impegna a non essere dubbiosi, a non assumere atteggiamenti di ambiguità, ma invita ad imparare ad essere chiari e espliciti nelle valutazioni e nelle proposte, ma con la forza dell’amorevolezza. La fortezza insegna a non cedere al conformismo dilagante, ma impegna ad assumere nei suoi confronti una giusta critica e una precisa resistenza dovuta ai significati personali da dare alle varie esperienze offerte. Il dono della fortezza insegna che per ottenere risultati apprezzabili si richiede uno sforzo lungo, che «un cambiamento» non è sempre la soluzione ai dubbi e alle prove, che è vera quella fedeltà che contiene in sé gioie sempre nuove e maggiori.

Dal punto di vista della fede cristiana, gli adolescenti vanno anche aiutati a comprendere il valore e il significato stesso della fedeltà nelle prove della vita, per infonderla e per educare ad essa. Da ogni parte si lamenta la loro fragilità, l’estrema incostanza, la concezione immediata che tutto va acquisito in forma facile o altrimenti si abbandona, che la persona si sente padrona della propria libertà, fino a non sostenere più gli impegni presi. D’altra parte, abbiamo esempi mirabili di vita cristiana che, per fedeltà, hanno portato all’offerta della vita nel quotidiano, e perché no, anche nel martirio serenamente accettato.

In questa prospettiva è necessario portarli alla considerazione, dunque, che i frutti che sono conseguenti al dono della fortezza, cristianamente vissuta, sono la longanimità e la pazienza. La prima perché non permette che si provi tedio e noia né stanchezza nell’attesa o nella pratica del bene. E questo non pare evidente nella vita di tanti nostri ragazzi. La «pazienza», poi, non è la virtù dei deboli, ma costituisce la forza dell’attesa che non fa demordere davanti agli ostacoli, perché non permette lo scoraggiamento davanti alle difficoltà e alla sopportazione del male.

* Un terzo filone, più a livello pedagogico, è quello di evidenziare i vizi contrari al dono della fortezza: timidezza o rispetto umano, incostanza e pusillanimità naturale… Sono limiti psicologici e morali che possono derivare dall’amore del proprio successo e delle proprie comodità, che frenano davanti ad iniziative da prendere, che fanno retrocedere per il timore di umiliazioni e di sofferenze.

Come il dono del consiglio accompagna quello della fortezza, spronando a intraprendere dei progetti anche grandi, così la prudenza umana e la timidezza si fanno compagnia, appoggiandosi l’una all’altra e suggerendo mille pretesti per giustificarsi a vicenda. Guardando alla vita di tanti giovani di oggi c’è da pensare veramente di quante omissioni rende colpevoli la paura di agire.

La fortezza dello Spirito, plasmando interiormente il cristiano, porta a maturità le energie del battesimo, e tende a rinvigorire una più convincente testimonianza cristiana all’interno della Chiesa per «meglio compaginarla» nella nascita di innumerevoli carismi; e di fronte al mondo dove il credente è chiamato a dare la sua testimonianza di vita. Il sigillo con cui lo Spirito suggella questa energia, non è un segno invisibile da custodire gelosamente nel cuore, ma da manifestare agli altri per dire la propria appartenenza a Cristo.

 

Giuseppe Morante

 

 

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