Chiara, la nostra prima figlia, è arrivata in un momento opportuno, quando ho smesso di voler possedere me stessa, il mio tempo, la voglia di avere un figlio e un lavoro.
tratto da federicadivito.com
Chiara è sempre stata Chiara.
Pensavo di aspettare un maschio, ma nei miei sogni compariva sempre una bambina e ora che ce l’ho di fronte ai miei occhi ricordo quanto quella bambina fosse simile a te, piccola anima mia.
Non solo è sempre stata femmina nei miei sogni, ma è sempre stata Chiara da quando io e il papà abbiamo saputo della sua esistenza. O forse anche da prima, da sempre.
I nostri occhi emozionati durante l’ecografia morfologica – quando finalmente ti sei fatta conoscere per quella che sei – si sono incontrati e non abbiamo potuto fare altro che esclamare “doveva essere Chiara, per forza.”
Il libro di Chiara Corbella, “Siamo nati e non moriremo mai più”, o meglio, la sua stessa vita, hanno toccato la nostra storia molto tempo prima dell’esistenza della bambina che oggi chiamiamo Chiara.
La mia testimone di nozze, la mia Amica, una Sorella, in un tempo di forte indecisione della sua vita ha deciso di ritirarsi un po’ di giorni dalle “suorine” di Assisi, come affettuosamente le chiamiamo noi. Lì ha avuto l’occasione di leggere quel libro e non è più stata la stessa.
Una luce così potente ha invaso il suo sguardo e mentre mi parlava di quel libro, di quell’Incontro, ho provato il sentimento che più si avvicina all’ammirazione. Sono rimasta folgorata quanto lei dall’ordine delle sue idee, dalla sicurezza ritrovata, dalla motivazione e dal coraggio che ancora oggi investono la sua vita, rendendomene giornalmente una privilegiata testimone.
Lo lessi poco dopo. E il mio primo desiderio fu quello di poter trasferire quella gioia a chi mi stava più a cuore: Tommaso. A essere sincera non riesco a scegliere le parole giuste per parlare di quel libro. Non esistono parole per descrivere quanto vicina a noi possa essere la Vita Eterna. Ma so che chi lo ha scritto ha saputo farlo. Non con le parole, ma solo narrando fatti, così concreti da renderci attori di quella storia.
Ha dato vigore e fortezza alla nostra storia di fidanzati, che ha vissuto momenti bui e deboli, rendendoci capaci di attingere a quella vita che da quel momento si era fatta carico di tutte le nostre mancanze e insicurezze. È lì sulla nostra libreria, accanto alla foto del matrimonio, la mia dedica segna la data 18 luglio 2015.
Poi ci siamo sposati. E ricordo che dentro di me – forse un po’ ingenuamente, ma oggi dico con una profonda conoscenza di quello che eravamo stati prima di presentarci all’altare – pensavo “il peggio è passato”. Perché sì, chi come noi si è conosciuto da giovanissimo affronta passi faticosi e quel tipo di fidanzamento lungo non è sempre un idillio. Noi l’abbiamo vissuto più tardi il nostro momento magico, ma sempre con una certa consapevolezza. Siamo fatti così. E quel passo sapevo avrebbe segnato qualcosa di bello, che non significa facile o perfetto, ma Bello.
Dopo il matrimonio, la magia e l’euforia, c’è stato un tempo in cui mi sono scontrata con le mie pretese e più precisamente con me stessa. Avevo una bella scaletta in testa: torno dal viaggio di nozze e ho due opzioni. O rimango subito incinta oppure trovo lavoro. Forse leggendomi penserete “ma che discorso è?”, ora provo a spiegarvelo.
Durante la mia adolescenza mi sono rinchiusa in una sorta di iperattività in cui fermarmi, pensare, riflettere e scontrarmi con quella che sono io era vietato. Quell’io mi faceva molta paura. Con il fidanzamento e il matrimonio avevo intuito quale bellezza fosse celata in dentro di me, ma la paura di stare da sola in una casa nuova e in una città altrettanto nuova in fondo mi metteva una certa ansia.
Allora la gravidanza avrebbe riempito quel vuoto – non so, ma mi ero immaginata che la pancia piena avrebbe significato non ritrovarmi sola con me stessa. E il lavoro avrebbe dovuto avere lo stesso effetto.
Poi due anni massimo a Milano e via di corsa a trovare una vita perfetta a Perugia, pensavo. Dovevo solo impiegare quei due anni con un figlio o col lavoro.
Insomma, quel figlio non arrivava, e non ridete se state pensando che in fondo sono rimasta incinta solo dopo dieci mesi, perché per me questo significava vivere quei dieci mesi con me stessa – ed era un tempo infinito per me.
E che miracolo sono stati quei dieci mesi, a guardarli ora. Avevamo bisogno di essere in due e io di essere sola. Senza parenti e senza alcun viso familiare accanto a me. Solo così avrei imparato a sopportare quel silenzio dentro di me senza andare nel panico. Quel silenzio che è stato la terra fertile per ciò che ho imparato ad amare: mio marito, lo spazio fisico in cui viviamo, tutti i miei lavori – non lavori, la mia scrittura, chi ha imparato ad apprezzarla. E Chiara.
Ricordo quanto fosse frustrante per me scoprire che di lavoro non ne avevo visto neanche l’ombra e che forse non eravamo in grado di avere quel figlio che avrebbe dovuto riempirmi.
Ma imparavo a poco a poco e sentivo presente Chi sapeva quanto fosse importante quella lezione. Non mi sentivo abbandonata, perché in quel tempo Dio ci ha regalato la possibilità di conoscerci e di conoscere. E ci ha donato anche una figlioccia, che ho visto come un segno della nostra genitorialità. Non come me l’ero immaginata, ma bellissima.
Quest’ultimo evento ha aperto in me e in noi quella porta all’apertura alla Vita. Che non significa “facciamo figli senza pensarci troppo”, ma accogliamo quello che ci è stato detto il giorno del matrimonio “Siete disposti ad accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarvi?”, da zero a chissà.
Il marito di Chiara Corbella, i suoi parenti e amici organizzano tutti gli anni in giro per l’Italia degli incontri. Tommaso e io avevamo sempre desiderato partecipare, ma quando erano organizzati a Milano e dintorni eravamo a Perugia e viceversa. Queste due mete erano quelle in cui speravamo. Non casualmente il mese prima di scoprire della nostra Chiara hanno fatto un incontro vicino casa nostra a cui finalmente avremmo potuto partecipare. Che gioia immensa è stato quell’incontro non so dirvelo. Non possedevo più me stessa, il mio tempo, la voglia di avere figli o un lavoro e quando il possesso scompare fa spazio al dono, alla gratitudine, alla vita.
La pace, la sicurezza, il coraggio… eccoli nascere dentro di noi. E dentro di noi c’eri te, amore nostro. Piccola anima che ti sei fatta trovare nel momento opportuno e che ogni giorno ci dà la possibilità di rimanere aperti alla Vita senza pretendere, senza indugiare, a volte timorosi, ma sempre con speranza.
Quel 26 maggio 2018 non lo scorderò, perché una vita donata è una vita che non muore mai e come potrei mai avere paura di me stessa se quella fiamma di Eternità che ti ha creata è la stessa che fa Luce dentro di me?
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