All’udienza generale, il Papa parla della “contestazione radicale” di chi prega senza vedersi all'apparenza esaudito e ricorda che anche nel Vangelo molte delle invocazioni trovano risposta più avanti nel tempo.
Se Dio è Padre “perché non ascolta” la preghiera di una mamma per un figlio malato o di tanti “perché cessi una guerra”? Da questa domanda parte la catechesi di Papa Francesco nell’udienza generale del 26 maggio 2021, dedicata ancora alla preghiera cristiana. Seguendo la traccia del Catechismo della Chiesa Cattolica, il Papa affronta “una contestazione radicale alla preghiera”, che deriva da una osservazione comune: “noi preghiamo, domandiamo, eppure a volte le nostre preghiere sembrano rimanere inascoltate”.
Francesco trova la risposta nel “Padre nostro”, dove le domande che Gesù ci insegna a fare “chiedono che si realizzi non il nostro progetto, ma la sua volontà nei confronti del mondo”. E poi nelle preghiere a Gesù e al Padre descritte nei Vangeli, dove a volte la risposta ad un dramma personale “non è immediata”, ma “differita nel tempo”. Il Papa riconosce che se “il motivo per cui abbiamo pregato era nobile, come può essere l’intercessione per la salute di un malato, o perché cessi una guerra, il non esaudimento ci appare scandaloso”.
Cita lo Yemen, la Siria, "Paesi che sono in guerra da anni", "preghiamo e non finiscono". Per questo, sottolinea il Catechismo al numero 2734, “alcuni smettono perfino di pregare perché, pensano, la loro supplica non è esaudita”. E ci chiediamo, se Lui “ha assicurato di dare cose buone ai figli che gliele chiedono, perché non risponde alle nostre richieste?".
“Tutti noi abbiamo esperienza di questo: abbiamo pregato, pregato, per la malattia di questo amico, di questo papà, di questa mamma e poi se n’è andato. Ma Dio non ci ha esauditi!”
Il Catechismo, spiega Francesco, “ci mette in guardia dal rischio di non vivere un’autentica esperienza di fede, ma di trasformare la relazione con Dio in qualcosa di magico”. Ma "la preghiera non è una bacchetta magica: è un dialogo con il Signore".
In effetti, quando preghiamo possiamo cadere nel rischio di non essere noi a servire Dio, ma di pretendere che sia Lui a servire noi. Ecco allora una preghiera che sempre reclama, che vuole indirizzare gli avvenimenti secondo il nostro disegno, che non ammette altri progetti se non i nostri desideri.
Per questo Gesù ci mette sulle labbra il “Padre nostro”, “una preghiera di sole domande”, ricorda il Pontefice, “ma le prime che pronunciamo sono tutte dalla parte di Dio”. E “chiedono che si realizzi non il nostro progetto, ma la sua volontà nei confronti del mondo”. Meglio lasciar fare a Lui: per questo diciamo: “Sia fatta la tua volontà”. L’apostolo Paolo, inoltre, nella Lettera ai Romani, “ci ricorda che noi non sappiamo nemmeno cosa sia conveniente domandare”. Noi, chiarisce Papa Francesco "domandiamo per le nostre necessità, i nostri bisogni, le cose che noi vogliamo", mentre l'umiltà "è il primo atteggiamento per andare a pregare". Prima della preghiera, prepariamoci a chiedere "che Dio mi dia quello che conviene di più: Lui sa".
Quando preghiamo dobbiamo essere umili, perché le nostre parole siano effettivamente delle preghiere e non un vaniloquio che Dio respinge. Si può anche pregare per motivi sbagliati: ad esempio, per sconfiggere il nemico in guerra, senza domandarsi che cosa pensa Dio di quella guerra.
Infatti tra quelli che scrivono “Dio è con noi”, prosegue Papa Francesco “pochi si preoccupano di verificare se loro sono effettivamente con Dio. Nella preghiera, è Dio che deve convertire noi, non siamo noi che dobbiamo convertire Dio”. Ma, sottolinea “rimane lo scandalo: quando gli uomini pregano con cuore sincero, quando domandano beni che corrispondono al Regno di Dio, quando una mamma prega per il figlio malato, perché a volte sembra che Dio non ascolti?”. E qui il Papa invita a meditare i Vangeli, che “sono pieni di preghiere”.
Tante persone ferite nel corpo e nello spirito gli chiedono di essere guarite; c’è chi lo prega per un amico che non cammina più; ci sono padri e madri che gli portano figli e figlie malati... Sono tutte preghiere impregnate di sofferenza. È un immenso coro che invoca: “Abbi pietà di noi!”.
“A volte – chiarisce il Pontefice - la risposta di Gesù è immediata, invece in qualche altro caso essa è differita nel tempo”. Ricorda la donna cananea “che supplica Gesù per la figlia: questa donna deve insistere a lungo per essere esaudita", ma va avanti con coraggio nella preghiera, e il paralitico portato dai suoi quattro amici: “Inizialmente Gesù perdona i suoi peccati e solo in un secondo tempo lo guarisce nel corpo”. Dunque, “in qualche occasione la soluzione del dramma non è immediata”. E questo accade anche nella vita di ognuno di noi.
“Quante volte abbiamo chiesto una grazia, un miracolo, diciamolo così, e non è accaduto nulla. Poi, con il tempo, le cose si sono sistemate ma secondo il modo di Dio, il modo divino, non secondo quello che noi volevamo in quel momento. Il tempo di Dio non è il nostro tempo”
Esemplare è la guarigione della figlia di Giairo, raccontata dall’evangelista Marco, in un brano letto all’inizio dell’udienza. C’è un padre che chiede l’aiuto di Gesù per sua figlia che sta morendo. “Il Maestro accetta subito, ma mentre vanno verso casa succede un’altra guarigione, e poi giunge la notizia che la bambina è morta. Sembra la fine, invece Gesù dice al padre: ‘Non temere, soltanto abbi fede!’ “
“Continua ad avere fede”: è la fede che sostiene la preghiera. E infatti, Gesù risveglierà quella bambina dal sonno della morte. Ma per un certo tempo, Giairo ha dovuto camminare nel buio, con la sola fiammella della fede. Signore, dammi la fede! Che la mia fede cresca! Chiedere questa grazia, di avere fede. Gesù, nel Vangelo, dice che la fede sposta le montagne. Ma, avere la fede sul serio. Gesù, davanti alla fede dei suoi poveri, dei suoi uomini, cade vinto, sente una tenerezza speciale, davanti a quella fede. E ascolta.
Anche “la preghiera che Gesù rivolge al Padre nel Getsemani sembra rimanere inascoltata” conclude Papa Francesco, perché il Figlio “dovrà bere fino in fondo il calice della passione. Ma il Sabato Santo non è il capitolo finale, perché il terzo giorno c’è la risurrezione: il Male è signore del penultimo giorno, mai dell’ultimo”.
Il momento dove è più buia la notte, proprio prima dell’aurora. Lì, nel penultimo giorno c’è la tentazione dove il Male ci fa capire che ha vinto: “Hai visto?, ho vinto io!”. Il Male è signore del penultimo giorno: l’ultimo giorno c’è la risurrezione. Ma il Male mai è signore dell’ultimo giorno: Dio è il Signore dell’ultimo giorno.
Perchè quello appartiene solo a Dio, “ed è il giorno in cui si compiranno tutti gli aneliti umani di salvezza”.
“Impariamo questa pazienza umile di aspettare la grazia del Signore, aspettare l’ultimo giorno. Tante volte, il penultimo è molto brutto, perché le sofferenze umane sono brutte. Ma il Signore c’è. E l’ultimo (giorno) Lui risolve tutto”
Di Alessandro Di Bussolo
Tratto da Vaticannews.va
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