Sport

Calcio, fede e riscatto

La vita di Tijjani Noslin

Lo sport da sempre è veicolo di messaggi positivi. Ascoltiamo oggi quanto conta la fede per un giovane giunto in serie A quando poco tempo fa faceva il rider.


"Tijjani è una preghiera, Noslin la speranza". Inizia così un aritcolo apparso sul Corriere della Sera pochi giorni fa, intervistando la giovane promessa del calcio approdata al Verona. E prosegue: "gli occhi di questo ragazzo nato per correre sono un «credo»" 

A gennaio, l’Hellas l’ha ingaggiato dal Fortuna Sittard, un balzo dall’Eredivisie alla Serie A. Ha spaventato la Juve con un gol da scattista. Ha sbalordito con una rete portentosa (per quanto vana) e una grande prova con il Milan. 

Dall'intervista fatta emergono alcuni punti salienti sulla vita di questo giovane, mosso dalla passione per il calcio e dalla fede.

Lei è arrivato qua con tanta «fame». Questo è quel che serve?
«L’esempio viene dalla mia infanzia, ho conosciuto molte persone che volevano la mia stessa cosa: giocare tra i professionisti. Ho lottato tutta la vita per farcela e ci sono riuscito quando avevo 21 anni. So che cosa significa essere dall’altra parte, lavorare duramente tutti i giorni. Mi dico sempre che non voglio tornare indietro. Voglio dare tutto quello che ho fino alla fine della mia carriera. E poi guardare indietro e vedere che è stata una bella storia».

Mentre cercava di diventare un calciatore professionista, ha anche lavorato come rider per Subway, grande catena di fast food. Quali erano le sue speranze e di che cosa aveva paura, allora?
«Lavoravo anche quando c’era la pioggia o nevicava. Preparavo i panini e facevo le consegne in scooter e in macchina, o in bici. Aprivo e chiudevo il negozio. Ho sempre pensato che non volevo farlo per sempre, volevo diventare un professionista. A volte ho avuto paura che non ce l’avrei fatta, ma la fede in Dio mi ha aiutato nel viaggio».

Parlando di fede, lei quando segna indica il cielo e ringrazia: è molto credente?
«Lo sono fortemente, conosco bene la strada che ho fatto. Se sai la mia storia, da dove vengo, penso che tu possa capire che Dio è reale. Per questo lo ringrazio ogni volta che segno un gol. E lo farò sempre».

Che cosa significa la fede per lei?
«Dedizione. Ed è lo stesso nel calcio. Hai bisogno di concentrarti, di disciplina, sono cose che impari strada facendo: ad avere fede, a credere e a non mollare mai. È la cosa più importante per me».

Sono gli stessi principi che occorrono al Verona per arrivare alla salvezza?
«Sì, è questo: continuare ad avere disciplina, concentrazione, non mollare mai. Come credere che sarei diventato un giocatore professionista quando ero un rider: questo ha significato avere fede per me. Molte persone non credono più a vent’anni, ma quando inizi a perdere la fede non vai più avanti».

Lei sorride sempre, è felice, non l’abbiamo mai vista triste. Come ci riesce?
«Lo faccio perché sono così. E chi mi sta vicino mi dice che non devo cambiare. Sorrido sempre perché so da dove arrivo. Non voglio essere un ragazzo arrogante, sono una persona normale come tutti. Siamo tutti uguali, camminiamo allo stesso modo. Io voglio essere me stesso e per questo sorrido».

Quando prega, per chi e cosa lo fa?
«Per la mia famiglia, per le persone intorno a me e per ringraziare Dio per dove sono arrivato finora. Per il calcio. Per esempio, prima di una partita, prego sempre di poter aiutare la mia squadra. Prego perché nessuno si infortuni, non ci siano ammonizioni o espulsioni. E, ovviamente, spero di poter segnare un gol o fare un assist».

Chi sono i riferimenti più importanti nella sua vita?
«Dio e mia mamma. Lei è tutto per me. Ovunque vada, dall’Olanda a Verona, viene con me, mi sostiene sempre, mi aiuta a rimanere sulla strada giusta. Spero di poterla ripagare con il calcio».

Ci parla del rapporto che ha con lei?
«È stata sempre comprensiva con me. Da bambino potevo giocare a calcio senza smettere. Ero sempre in strada con il pallone, non ero mai a casa se non per mangiare qualcosa e poi per uscire di nuovo e riprendere finché non ero stanco. Fino a tardi, fino alle dieci o alle undici di sera... Lei ha sempre saputo chi ero, non era preoccupata per me. Mi ha anche aiutato molto a credere in Dio, ad avere fede. Ad essere dove sono oggi. Mi ha insegnato la dedizione, mi ha supportato e aiutato. Ha creduto in me, è stata la mia prima sostenitrice. Sapeva che ce l’avrei fatta e che sarei diventato un giocatore professionista».

Il sogno di Tijjani Noslin?
«Oggi è restare in Serie A con il Verona. Ho sempre sognato, poi, di disputare un Mondiale o un Europeo con l’Olanda e di giocare in Champions. Vedremo fino a dove riuscirò ad arrivare. Questo nel calcio. Nella vita il sogno è di essere sempre me stesso, penso che sia la cosa più importante. Vorrei aiutare le persone e farlo anche attraverso l’esempio della mia storia. Vorrei aiutarle a credere che nulla è impossibile».

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Tratto da: corrieredelveneto.corriere.it

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