“Alcol snaturato”: il problema di sentirsi infinito

L'abuso di alcol tra i giovani ha messo in allerta l'Europa. È solo colpa della voglia di rischiare?

“Alcol snaturato”: il problema di sentirsi infinito

 

Si chiama “Alcol snaturato” la nuova campagna del Ministero della Salute, lanciata pochi giorni fa grazie al supporto di Elio e le Storie Tese, che a questo progetto hanno prestato non solo la faccia ma anche la loro musica. L’obiettivo è quello di arrivare ai giovani attraverso le piattaforme che utilizzano di più: quelle virtuali. L’allerta arriva dalla Commissione Europea: secondo la World Health Organization l’alcol è al terzo posto tra i maggiori fattori di rischio di malattia e mortalità in Europa. Il fenomeno che si sta diffondendo in sempre più giovani (troppo giovani per cominciare a consumare certe dosi di alcol) è stato battezzato come binge drinking. Sbronzarsi, bere fino allo stordimento. Una pratica che per alcuni è come andare in palestra: ha una cadenza settimanale, perché non c’è sabato sera senza alcolici.

 

Tutto questo mi ha ricordato un film uscito qualche anno fa, tratto dall’omonimo libro di Stephen Chbosky, Noi siamo infinito. Una storia di giovani alle prese con una vita che a volte sa essere incredibilmente dolorosa. Il racconto dei tentativi di fuga da questa realtà, istantanee di serate di alcol e droga. Una lettura che non mi aveva pienamente soddisfatta, che aveva lasciato dietro di sé un retrogusto amarognolo, un accordo stonato, qualche citazione incompleta. Le stesse sensazioni di una serata imperfetta, quelle sono divertenti sì, ma fino a un certo punto. Per una volta però il titolo scelto dai traduttori italiani mi aveva soddisfatta. La percezione di noi giovani è proprio questa, quella di essere infiniti. Non lo siamo, chiaramente, ma ci sentiamo tali e questa è l’origine di tanti guai. In questa sfalsata percezione di infinità i limiti non hanno ragione d’esistere. Non puoi star male, sai benissimo che può capitare, ma succederà sicuramente a qualcun altro, non a te. E poi, che vuoi che sia… è solo per una volta.

 

Purtroppo non c’è una campagna in grado di sradicare questa sensazione. Si possono illustrare i rischi, raccontare le storie di chi ci è andato a sbattere contro la sua finitezza: si può cercare di instillare qualche goccia di buonsenso. Ma non basta. Il problema non è tanto nel consumo occasionale di alcolici per celebrare una serata, quanto nel sistematico ricorso ad essi come elemento fondamentale del divertimento. Dietro alla questione c’è sempre la logica del denaro, che da sola basta a piegare ogni legge. Elio e le Storie Tese, nella loro canzone, sottolineano che “per acquistare bottiglie / essendo noi minorenni / urge contattare un signore / chiedergli di farci un piacere / comperare molto liquore e darlo tutto a noi” e se fosse davvero questa l’unica via per cui i minorenni possono avere accesso all’alcol, i dati non sarebbero così allarmanti. Sono pochi i locali in cui vengono richiesti i documenti, per non parlare delle discoteche.

 

Ma torniamo alla questione del divertimento. Il sabato sera, per molti adolescenti, si realizza nel bere, spesso fumare (non solo tabacco) ed eventualmente andare a ballare. Questi sono i parametri secondo cui si definisce la prassi del divertimento della massa giovanile. Parlo proprio di massa, perché di questo si tratta, di gruppi che reiterano continuamente lo stesso schema, per spezzare la routine scolastica. Con un piccolo controsenso: anche il divertimento è diventato routine. E la domanda allora sorge spontanea: lo facciamo perché ci piace farlo, o perché è quello che ci si aspetta da noi? È il nostro modo di divertirci, o un modello surrogato di divertimento che la società ci offre? Rivendichiamo una presunta libertà di “fare quello che vogliamo”, sputando sul “moralismo” di chi la pensa diversamente, e poi siamo i primi a seguire il gregge sulle montagne russe del paese dei balocchi?

 

Certo che è più tranquillizzante comportarsi come fanno tutti, anche quando si sbaglia, perché si ha comunque la percezione di avere una colpa minore. Ma se il prezzo di questa apparente tranquillità è far del male a sé stessi, forse sarebbe il caso di pensarci due volte.

 

 

Federica La Terza

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