14. CHE COSA FARO' DELLA MIA VITA

 


14. CHE COSA FARO' DELLA MIA VITA

 

Non volevo credere ai sogni 

Mi avviavo al termine dell'anno di umanità. Anche per me era giunto il tempo di pensare seriamente a cosa avrei fatto nella vita. 

Il sogno che avevo fatto ai Becchi mi era sempre fisso in mente. Devo anzi dire che quel sogno si era rinnovato più volte, in maniera sempre più chiara. Se volevo credere a quel sogno, dovevo pensare a diventare sacerdote. Avevo anche una certa inclinazione a diventarlo. 

Ma non volevo credere ai sogni. E poi la mia maniera di vivere, certe abitudini che avevo preso, la mancanza totale delle virtù che sono necessarie ai sacerdoti, mi rendevano molto incerto. La mia era una scelta molto difficile. Quante volte avrei voluto avere una guida spirituale che mi aiutasse in quei momenti. Per me sarebbe stato un vero tesoro, ma questo tesoro mi mancava. Avevo un buon confessore che mi aiutava ad essere un cristiano onesto, ma non volle mai parlare di vocazione. 

Riflettei a lungo. Lessi alcuni libri sulla vocazione alla vita religiosa e sacerdotale. Alla fine decisi di entrare tra i Francescani. 

Ragionavo così: - Se divento prete in mezzo al mondo, corro il rischio di fallire. Diventerò prete, ma non vivrò in mezzo alla gente. 

Mi ritirerò in un convento, mi dedicherò allo studio e alla meditazione. Nella solitudine mi sarà più facile combattere le passioni, specialmente l'orgoglio, che ha già messo profonde radici nel mio cuore. 

 

«Dio ti prepara un altro campo» 

E così feci domanda di entrare tra i Francescani conventuali riformati. Diedi l'esame per l'ammissione, fui accettato. Ormai tutto era pronto per la mia entrata nel Convento della Pace, in Chieri. 

Mancavano pochi giorni all'entrata quando feci uno dei sogni più strani. Vidi una grande quantità di quei religiosi che portavano vesti strappate e correvano in direzioni diverse. Uno di loro venne verso di me e mi disse: 

- Tu cerchi la pace, ma qui pace non troverai. Non vedi come si comportano i tuoi fratelli? Dio ti prepara un altro luogo, un campo di lavoro diverso. 

In sogno volevo rivolgere qualche domanda a quel frate, ma un rumore mi svegliò e ogni. cosa scomparve. 

Andai dal mio confessore e gli esposi tutto. Non volle sentire parlare né di sogni né di frati. Mi disse: 

- In queste cose ognuno deve seguire le sue inclinazioni, non i consigli degli altri. 

 

Una lettera che rischiara l'orizzonte 

Proprio in questo tempo capitò un fatto che mi mise nell'impossibilità di entrare subito tra i Francescani. Credevo fosse una difficoltà passeggera, invece arrivarono altri ostacoli ancora più grandi. 

Decisi allora di confidarmi con il mio amico Luigi Comollo. Ecco il suo consiglio: fare una novena e scrivere una lettera a suo zio parroco. 

L'ultimo giorno della novena, in sua compagnia ho fatto la confessione e la Comunione. Poi, nel duomo, ascoltammo una Messa e ne servimmo un'altra all'altare della Madonna delle Grazie. Tornati a casa, trovammo una lettera con la risposta di don Comollo, lo zio di Luigi. Diceva: 

- Tutto considerato, io consiglierei il tuo compagno di non entrare in convento. Vesta l'abito dei chierici, e mentre proseguirà gli studi verrà a conoscere sempre meglio ciò che Dio vuole da lui. Non abbia paura di perdere la vocazione. Con la ritiratezza e le pratiche di pietà supererà ogni ostacolo. 

Ho seguito quel consiglio sapiente, e cominciai a fare letture e riflessioni che mi aiutassero nella preparazione a indossare l'abito dei chierici. 

 

Il colèra incombe su Torino 

Superai l'esame di retorica. Subito dopo sostenni quello necessario per entrare in seminario. Avrei dovuto dare questo secondo esame a Torino, ma la città era minacciata dal colèra, che serpeggiava nei paesi circostanti. Lo sostenni quindi nella casa Bertinetti, che in quel momento era affittata dal canonico Burzio, e che il signor Carlo Bertinetti avrebbe poi lasciato in eredità ai miei Salesiani. 

Di passaggio, voglio sottolineare un dato, per far capire qual era l'atmosfera religiosa delle scuole di Chieri. In quattro anni non ricordo di aver ascoltato nemmeno un discorso cattivo o una parola contro la religione. 

Finimmo il corso di retorica in venticinque. Tre proseguirono il corso di studi per diventare medici. Uno divenne commerciante. Gli altri ventuno cominciarono gli studi seminaristici per diventare sacerdoti. 

In quelle vacanze scolastiche smisi di fare il saltimbanco, e mi diedi alla lettura di libri religiosi. Devo confessare con vergogna che fino a quel tempo li avevo trascurati. 

Ho però continuato a occuparmi dei ragazzi. Li attiravano i miei racconti, i giochi vivaci, i canti. Molti, anche tra i più grandi, non conoscevano le verità della fede. Tra giochi e racconti insegnavo loro il catechismo e le preghiere cristiane. Era una specie di oratorio: una cinquantina di ragazzi che mi amavano e mi obbedivano come se fossi stato loro padre.

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