12. LE OLIMPIADI DI GIOVANNI BOSCO
« Andava con la velocità di un treno »
Le accuse di « magia bianca » non turbarono il ritmo della nostra vita. Tornammo a riunirci, a dare spettacoli e a divertirci. In quel tempo arrivò a Chieri un saltimbanco che iniziò i suoi spettacoli con una poderosa corsa a piedi: percorse la città da un'estremità all'altra in due minuti e mezzo, cioè alla velocità di un treno. Alcuni miei amici me ne parlarono con occhi dilatati, come di un fenomeno.
Senza badare alla conseguenza delle mie parole, dissi che avrei dato chissà che cosa per provare a batterlo. Un compagno imprudente riferì la cosa al saltimbanco, che accettò immediatamente la sfida. Per Chieri si sparse in un lampo la notizia: uno studente sfida un campione professionista.
Il luogo scelto per la prova fu il viale di Porta Torinese. La scommessa era di venti lire. Io non avevo una somma simile, ma molti amici della Società dell'Allegria la misero insieme.
Una moltitudine di gente venne ad assistere alla sfida. Al via, il saltimbanco mi prese alcuni metri di vantaggio ma presto riguadagnai il terreno perduto, e lo staccai in modo clamoroso. A metà corsa si fermò e mi diede partita vinta. - Chiedo la rivincita al salto. Ma voglio scommettere 40 lire, e anche più se vuoi.
80 lire sulla punta di una bacchetta magica
Accettammo. Scelse lui il luogo. Bisognava balzare al di là di un fosso, contro un parapetto che si ergeva vicino a un piccolo ponte. Saltò per primo, e mise il piede cosi vicino al parapetto, che più in là non si poteva saltare. Potevo perdere, non certo vincere. Tuttavia studiai un espediente. Feci un salto identico al suo, ma appoggiando le mani sul parapetto, prolungai il salto al di là del muro (un rudimentale «salto con l'asta»). Fui sommerso dagli applausi.
- Voglio ancora lanciarti una sfida. Scegli qualunque gioco di destrezza.
Accettai. Scelsi il gioco della bacchetta magica, con la scommessa che saliva a lire 80. Presi una bacchetta, a una estremità misi un cappello, poi appoggiai l'altra estremità sulla palma della mano. Senza toccarla con l'altra, la feci saltare sulla punta del dito mignolo, dell'anulare, del pollice. Quindi la feci saltare sul dorso della mano, sul gomito, sulla spalla, sul mento, sulle labbra, sul naso, sulla fronte. Rifacendo lo stesso cammino, la bacchetta tornò sulla palma della mia mano.
- Stavolta non perderò - disse con sicurezza. – È’ il mio gioco preferito.
Prese la medesima bacchetta, e con meravigliosa destrezza la fece camminare fin sulle labbra. Ma aveva il naso troppo lungo, la bacchetta vacillò, perse l'equilibrio, e dovette prenderla con la mano per non lasciarla cadere.
«Eravamo contenti di perdere»
Quel poveretto vedeva andare in fumo tutti i suoi risparmi, e quasi furioso esclamò:
- Accetto qualunque umiliazione, ma non quella di essere battuto da uno studente. Ho ancora cento lire e le scommetto tutte su un'arrampicata. Vincerà chi riesce a mettere i piedi più vicini alla punta di quell'albero.
Così dicendo indicò un olmo vicino al viale. Accettammo anche questa volta, e in un certo modo eravamo contenti di perdere, perché avevamo compassione di lui. Non volevamo rovinarlo.
Salì per primo, e portò i piedi tanto in alto che, se fosse salito una spanna di più, l'albero si sarebbe piegato e lui sarebbe precipitato. Tutti dicevano che più in su era impossibile.
Toccò a me. Salii fin dov'era possibile senza far piegare la pianta. Allora, tenendomi con le mani all'albero, alzai il corpo in verticale, e posi i piedi circa un metro oltre l'altezza raggiunta dal mio rivale. Giù in basso scoppiarono applausi.
Una tavolata di 22 studenti
I miei amici si abbracciavano di gioia, il saltimbanco era nero di rabbia, e io ero orgoglioso di aver vinto non contro ragazzi come me, ma contro un campione professionista. Quell'atleta però era triste fino a piangere. Abbiamo avuto compassione di lui, e gli abbiamo restituito il denaro a una condizione: che venisse a pagarci un pranzo all'albergo del Muletto. Si sentì rivivere e accettò immediatamente. Andammo al pranzo in ventidue: tutti i componenti della Società dell'Allegria. Il pranzo gli costò 25 lire. Le lire che invece poté rimettersi in tasca furono 215.
Quello fu veramente un giovedì di grande allegria. Io mi ero coperto di gloria battendo quattro volte un saltimbanco. I miei compagni avevano condiviso il mio trionfo con vivissima gioia, e avevano avuto un ottimo pranzo. Anche il saltimbanco era contento, perché aveva riavuto quasi tutto il suo denaro. Allontanandosi da noi ci ringraziò dicendo:
- Ridandomi questo denaro, avete impedito la mia rovina. Vi ringrazio di cuore. Vi ricorderò con piacere, ma non farò mai più scommesse con gli studenti
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