Chiesa e Papa

Il Papa: non parlare della fede come in passato

i giovani non capirebbero

L’inculturazione del Vangelo rispetta i popoli, non si impone. Ricordato anche l’anniversario dell’elezione di Giovanni Paolo II


"Se dovessimo pretendere di parlare della fede come si faceva nei secoli passati rischieremmo di non essere più compresi dalle nuove generazioni. La libertà della fede cristiana non indica una visione statica della vita e della cultura, ma dinamica".

Così si è espresso papa Francesco in uno dei passaggi centrali della catechesi del mercoledì. "Non pretendiamo, pertanto, di avere il possesso della libertà. Abbiamo ricevuto un dono da custodire". "Ed è piuttosto la libertà che chiede a ciascuno di essere in un costante cammino, orientati verso la sua pienezza. È la condizione di pellegrini; è lo stato di viandanti, in un continuo esodo: liberati dalla schiavitù per camminare verso la pienezza della libertà", ha aggiunto il Pontefice.

“Nella chiamata alla libertà scopriamo il vero senso dell’inculturazione del Vangelo: essere capaci di annunciare la Buona Notizia di Cristo Salvatore rispettando ciò che di buono e di vero esiste nelle culture”. ha spiegato ancora il Papa, nella catechesi pronunciata in Aula Paolo VI e dedicata ancora una volta al tema della libertà cristiana. “Non è una cosa facile!”, ha ammesso Francesco: “Sono tante le tentazioni di voler imporre il proprio modello di vita come se fosse il più evoluto e il più appetibile”. “Quanti errori sono stati compiuti nella storia dell’evangelizzazione volendo imporre un solo modello culturale!”, ha esclamato il Papa, che poi ha aggiunto a braccio: “L’uniformità come regola di vita non è cristiana: l’unità sì, l’uniformità no”. 

A volte, non si è rinunciato neppure alla violenza pur di far prevalere il proprio punto di vista: pensiamo alle guerre”, la denuncia di Francesco: “In questo modo, si è privata la Chiesa della ricchezza di tante espressioni locali che portano con sé la tradizione culturale di intere popolazioni”. “Ma questo è l’esatto contrario della libertà cristiana!”, il monito di Francesco, che come esempio positivo ha citato l’apostolato di padre Matteo Ricci in Cina. “La visione della libertà propria di Paolo è tutta illuminata e fecondata dal mistero di Cristo, che nella sua incarnazione – ricorda il Concilio Vaticano II – si è unito in certo modo ad ogni uomo”, ha proseguito il Papa: “questo vuol dire che non è uniforme, c’è la varietà, ma la varietà unita”, il commento a braccio. “Da qui deriva il dovere di rispettare la provenienza culturale di ogni persona, inserendola in uno spazio di libertà che non sia ristretto da alcuna imposizione dettata da una sola cultura predominante”, l’indicazione di rotta.

“Parlare di Chiesa cattolica non è una denominazione sociologica per distinguerci da altri cristiani; cattolico è un aggettivo che significa universale: la cattolicità, l’universalità”. Lo ha ricordato ancora il Papa “Chiesa universale, cioè cattolica, vuol dire che la Chiesa ha in sé, nella sua stessa natura, l’apertura a tutti i popoli e le culture di ogni tempo, perché Cristo è nato, morto e risorto per tutti”, ha precisato Francesco. “La cultura, d’altronde, è per sua stessa natura in continua trasformazione”, l’analisi del Papa: “Si pensi a come siamo chiamati ad annunciare il Vangelo in questo momento storico di grande cambiamento culturale, dove una tecnologia sempre più avanzata sembra avere il predominio. Se dovessimo pretendere di parlare della fede come si faceva nei secoli passati rischieremmo di non essere più compresi dalle nuove generazioni”. “La libertà della fede cristiana non indica una visione statica della vita, una visione statica della cultura, ma una visione dinamica, una visione dinamica della tradizione pure: che cresce, cresce, cresce, ma sempre con la stessa natura”, ha spiegato Francesco: “Non pretendiamo, pertanto, di avere il possesso della libertà. Abbiamo ricevuto un dono da custodire.Ed è piuttosto la libertà che chiede a ciascuno di essere in un costante cammino, orientati verso la sua pienezza. È la condizione di pellegrini; è lo stato di viandanti, in un continuo esodo: liberati dalla schiavitù per camminare verso la pienezza della libertà”. “E questo è il grande dono che ci ha dato Gesù Cristo”, ha concluso il Papa a braccio: “ci ha liberato dalla schiavitù liberamente e ci ha messo sulla strada per camminare nella piena libertà”.

 

Reuters


I saluti al termine dell'udienza alle suore scalabriniane e il ricordo di san Giovanni Paolo II
“Questa settimana ricorrono l’anniversario dell’elezione di San Giovanni Paolo II e le memorie liturgiche di San Giovanni XXIII, Santa Teresa d’Ávila e Sant’Edvige di Slesia”. Lo ha ricordato il Papa, salutando al termine dell’udienza in Aula Paolo VI i pellegrini polacchi. “Le loro vite sono chiari esempi di libertà cristiana”, ha proseguito Francesco: “L’esperienza di questi Santi vi ricordi che non esiste libertà senza responsabilità e senza amore per la verità. E la più grande realizzazione della libertà è la carità, che si concretizza nel servizio”.

"Saluto le Suore Scalabriniane, che partecipano a un corso di formazione: voi che lavorate tanto con
i migranti continuate brave così!". Così ha concluso Francesco al termine dell'Udienza Generale, nei saluti ai fedeli di lingua italiana.


di Redazione

tratto da avvenire.it

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