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Una grammatica della bellezza nell'Anno della fede?

“L'arte è parola silenziosa ed eloquente per incontrare Dio. L'arte, infatti, è luogo teologico, espressione della fede attraverso le formule iconografiche. L'arte è la via del concreto che apre alla comprensione del trascendente”.


Una grammatica della bellezza nell'Anno della fede?

Tra le tante proposte per una nuova evangelizzazione e per un insegnamento della religione che sia strettamente connesso ad un progetto culturale, ha destato grande interesse la pratica di alcuni insegnanti di utilizzare le arti visive.

Una vera e propria catechesi della bellezza che mentre fa conoscere e spiega e svela il mistero di capolavori artistici, pittorici, architettonici, scultorei, allarga gli orizzonti verso il sacro e il divino.

Abbiamo intervistato suor Maria Franca Tricarico, docente alla Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”.

Come è possibile insegnare religione seguendo percorsi artistici?

Nel supertecnologico XXI secolo la Chiesa non manca di richiamare l’attenzione sulla rilevanza del linguaggio dell’arte cristiana il cui scopo, oggi come nel passato, è quello di demonstrare invisibilia per visibilia, cioè ‘spiegare le cose invisibili attraverso quelle visibili’.

Dall’esperienza in aula e dialogando con gli insegnanti, risulta che il ricorso all’arte è una strada percorribile. L’arte - come aveva scritto Giovanni Paolo II nella Lettera agli artisti - è per sua natura una sorta di appello al Mistero. L’arte, dunque, è un linguaggio che attraverso le forme simboliche svela agli alunni, non solo a quelli della scuola superiore, ma anche a quelli della scuola dell’infanzia, le “cose di Dio”. I nostri ragazzi oggi, sono un po’ come quegli “illetterati” di cui parlava Gregorio Magno i quali vedendo comprendevano. Lo stesso vale a scuola. L’esperienza ci dice che per i ragazzi un’immagine è più eloquente del solo discorso che va comunque ricuperato, forse proprio a partire da un’opera d’arte.

In definitiva, il percorso artistico nell’insegnamento della religione significa riappropriarsi della tradizione antica, significa ri-attualizzarla; significa considerare l’arte quale “testo” che ri-dice la parola di Dio e, nel caso dell’arte contemporanea, quale “testo” che lascia intravedere il religioso e la dimensione spirituale anche attraverso la precarietà esistenziale dell’uomo.

In concreto, in aula le opere d’arte vanno proposte come testo-documento, come esegesi pratica, come esegesi figurativa della Scrittura. Operativamente, per l’analisi delle opere, si può prevedere la presentazione e l’osservazione dell’opera d’arte: si sollecitano i ragazzi a guardare con attenzione tutti gli elementi presenti nell’opera proposta e ad elencarli (descrizione preiconografica);

il passaggio dalla descrizione dell’opera all’interpretazione simbolica: si sollecitano i ragazzi a scoprire che tutti gli elementi presenti nelle opere di diverse epoche hanno un preciso intento comunicativo, e a tentarne un’interpretazione; si provocano interrogativi che consentono di formulare ipotesi di significato da convalidare alla luce di varie fonti, in particolare il testo biblico come fonte privilegiata. Tutto questo per scoprire gli elementi di significato di cui il testo-arte è portatore (analisi iconografica e interpretazione iconologica).

Inoltre, si può pure prevedere la riespressione dei contenuti trasmessi dall’opera d’arte mediante la produzione dei ragazzi: è il momento di verifica delle competenze acquisite in ordine alla lettura e alla comprensione dell’opera d’arte la quale nasce sempre da un’idea biblico-teologica che si materializza in personaggi, forme, colori, volumi, disposizioni spaziali, ecc. I ragazzi sono invitati ad assumere i seguenti atteggiamenti: silenzio immaginativo, esternazione delle proprie idee, dialogo, produzione individuale e/o di gruppo. In questo modo la classe si costituisce quale “bottega d’arte” dove viene potenziata l’immaginazione e la creatività attraverso processi di reinterpretazione e di rielaborazione.

Un’importante attenzione didattica va rivolta alla scelta delle opere. Si escluderanno opere in cui prevalgono dettagli inutili e l’effetto scenografico; come pure quelle che “infantilizzano” il Mistero. Si sceglieranno invece opere che si propongono per la loro semplicità ed essenzialità, come pure opere che penetrano la Sacra Scrittura, la ri-dicono, la interpretano e l’attualizzano.

Una tale scelta deriva dalla consapevolezza che l’arte è un testo complesso non nel senso di difficile, ma nel senso che racchiude una molteplicità di elementi riconducibili a vari aspetti del dato cristiano. L’attenzione pedagogica e didattica che si richiede è allora quella di proporre agli alunni espressioni artistiche a seconda della loro età e delle loro capacità cognitive ben sapendo che ogni traccia, ogni espressione dell’arte cristiana è un testo che può essere letto, compreso e interpretato a vari livelli.

In definitiva, la via dell’arte cristiana nell’azione didattica è percorribile anche se richiede da parte dell’insegnante una particolare “attrezzatura” cognitiva e la passione per l’arte. Tutto ciò si acquista con una continua formazione e contemplazione.

Per questo, nel corso degli anni, con una mia collega, ho curato la pubblicazione dei sette testi della Collana “Insegnare Religione con l’Arte” (Elledici) il cui scopo è appunto quello di aiutare gli insegnanti nella loro formazione. Questi testi sono indirizzati anche agli studenti degli Istituti Superiori di Scienze Religiose e ai Catechisti.

In che modo la religione cristiana si interseca con l'arte?

S. Agostino rileva che la bellezza dell’arte si offre alla vista come un bene che deriva dalla bellezza divina. Evidentemente, quando si considera l’arte che dice le “cose di Dio” è bene avere presente cosa sono la bellezza della forma e la bellezza dell’espressione/contenuto. S. Bernardo, polemico nei confronti dell'arte del suo tempo, parlava di deformis formositas (bellezza distorta) e di formosa deformitas (bella distorsione). La possibilità che le forme distorte e alterate siano belle deriva dalla loro espressività. Su questo argomento, nelle diverse epoche e società, la riflessione sull’arte ha indotto a chiedersi se un’opera d’arte vada rapportata al suo contenuto o alla sua forma. La risposta – a mio avviso - va ricercata in una riflessione. Il contenuto di un’opera può suscitare piacere per la moralità del soggetto rappresentato, per il realismo, ecc.; la forma può suscitare piacere per l'armonia, la simmetria, ecc. Però, anche se contenuto e forma si possono distinguere, non possono essere qualificati come artistici separatamente; artistica, infatti, è solo la loro relazione e interazione. Dunque, è del tutto sbagliato collegare la “grandezza” di un’opera unicamente al suo contenuto (bello o brutto eticamente) o alla sua forma (bella o brutta esteticamente). L’arte contemporanea ha ribaltato i canoni tradizionali del bello, producendo opere in cui dominano lo stridore dei colori, le dissonanze delle figure, delle forme in genere. In questo modo è come se l'arte volesse farsi voce, anzi pianto del dolore dell’umanità. È una sorta di “liturgia penitenziale”. Allora cosa significa tutto questo, che il brutto è diventato nell’arte contemporanea la vera bellezza? I termini del problema vanno posti in un altro modo: l’arte si fa brutta - e qui stanno la sua bellezza, la sua grandezza - per rappresentare il male del mondo, le patologie della realtà. E quando riusciamo a vedere oltre il reale di un’opera, allora ne cogliamo l’interiorità. In altri termini - e qui cogliamo l’intersezione tra arte e religione -, questo significa che la bellezza trascende l’estetica perché il bello trova il suo archetipo in Colui che di sé ha detto ego eimi ho poimèn ho kalòs (lo sono il buon/bel Pastore, Gv 10,11 .14), in Colui che pur essendo «il più bello tra i figli degli uomini» (Sal 45,3) è divenuto l’Uomo dei dolori, Colui che non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi e davanti al quale ci si copre la faccia (cf Is 53,2-3). S. Agostino dice che «queste affermazioni scritturistiche sono come due trombe che suonano in modo diverso ma uno stesso Spirito vi soffia dentro l’aria. La prima dice: Bello d’aspetto, più dei figli degli uomini; e la seconda, con Isaia, dice: Lo abbiamo visto: egli non aveva bellezza, non decoro. Le due trombe vengono suonate da un identico Spirito; esse dunque non discordano nel suono. Non devi rinunciare a sentirle, ma cercare di capirle». L’arte prende spunto da un’infinità di soggetti: politici, sociali, filosofici oltre che ispirarsi a episodi della Sacra Scrittura. Così l’arte, sia quella direttamente religiosa, sia quella che racchiude in sé una certa dimensione religiosa, è materia che apre al trascendente e in qualche misura lo svela. Ossia, seguendo il pensiero di Paolo VI, “la materia si deve fare Verbo”. In questi termini, l’arte si offre quale strumento di rivelazione antropo-teologica.

Infatti, scaturita dalle radici della Rivelazione, l’arte cristiana non è arte per l’arte; essa ha un ben preciso scopo religioso: rendere visibile l’Invisibile. E su questa via si afferma con gradualità. L’arte, dunque, va intesa come espressione della trasmissione del Credo cristiano nella memoria dei secoli (traditio ut visio).

Ci spiega che cosa intende dire quando sostiene che la via della bellezza è ricca di numerose risorse per la comunicazione della fede? In che modo la bellezza apre finestre per arrivare a Dio?

In un certo senso, a questa domanda ho già risposto. Ancora solo un considerazione sulla “bellezza”. Prendo a prestito una pagina bellissima dell’opera L’Idiota di Dostoevskij. Precisamente lì dove il giovane ateo Ippolit rivolge al principe Myskin (immagine del Cristo) una domanda cruciale: «È vero, principe, che voi diceste un giorno che il mondo sarà salvato dalla bellezza? Signori - gridò forte a tutti - il principe afferma che il mondo sarà salvato dalla bellezza. Quale bellezza salverà il mondo?». Il principe, che con infinita compassione e amore sta accanto a Ippolit morente di tisi a diciotto anni, non risponde, resta in silenzio quasi a testimoniare che “la bellezza che salva il mondo” è l’amore che condivide il dolore, è la bellezza redentrice di Cristo. Allora la contemplazione di Cristo “bello perché buono” nel suo mistero d’Incarnazione e di Redenzione è la sorgente alla quale l’artista attinge la propria ispirazione per esprimere il mistero di Dio e il mistero dell’uomo salvato in Gesù Cristo. Nella kénosis del Figlio di Dio si ricongiungono il bello, lo splendore e la forma, il momento teofanico e quello estetico. Cristo è il Dio che è morto e risorto per salvare l’uomo: questo dovrebbe essere il vero “volto” dell’arte che porta a Dio.

Come reagiscono gli alunni e i genitori ad un insegnamento di questo tipo?

La risposta la lascio alle parole di alcuni insegnanti che hanno seguito percorsi artistici nell’insegnamento della religione. «Il testo-arte ha reso i ragazzi attivi nella ricerca, li ha motivati e coinvolti verso forme di comunicazione in cui, andando oltre ciò che appare si possono cogliere i significati più profondi del mistero. Li ha aperti al mistero percorrendo la via della bellezza».

«Con l’arte la religione si è affermata a scuola anche per la sua dimensione culturale».

«Lavorare insieme sull’interpretazione del testo-arte ha aiutato anche i ragazzi in difficoltà ad esprimersi con più facilità. I risultati sono stati spesso al di là delle mie stesse aspettative».

Un Dirigente scolastico si è espresso con questa valutazione: «Con l’arte la religione si accredita nella scuola statale».

La valutazione degli alunni sull’uso del testo arte può essere riassunta dalla frase di una bambina di seconda elementare: «Maestra, l’arte è più “ricordante”».

E non sono mancati casi in cui genitori di alunni appartenenti ad altre confessioni, o di genitori che non avevano iscritto i figli all’ora di religione, venuti a conoscenza che l’insegnante utilizzava l’arte, abbiano chiesto che i loro figli potessero essere presenti alle lezioni. Come pure, per lo stesso motivo, si è registrata la richiesta di alunni non avvalentesi della Secondaria superiore. Al riguardo di quest’ultimo caso, l’insegnante notava che alcuni di loro oggi vivono come se Dio non esistesse (etsi Deus non daretur). E i media non poche volte sono complici di questo. L’arte “bella” può allora essere un antidoto a questo: la via pulchritudinis può essere proposta - anche nella scuola - come un itinerario privilegiato rispetto a quello della bellezza effimera che ferisce le persone nella loro dignità, e anche come antidoto alla bontà orizzontalizzata perché intesa solo come carità-atto sociale. Al contrario, la “via della bellezza”, partendo dall’esperienza dell’incontro con la bellezza dell’arte che suscita stupore, può essere la via che porta ad elevare la mente verso cose alte, verso la Bellezza artefice di ogni bellezza. S. Ireneo, nel trattato Adversus haereses, scriveva: «Visio Dei vita hominis / vita dell’uomo è la visione di Dio».

Può questo percorso costituire le basi per una grammatica della bellezza nell’anno della fede?

Indubbiamente. Da quanto ho detto penso che sia emerso con chiarezza come l’arte “bella/buona” si offra per un possibile percorso che svela la bontà/misericordia di Gesù. L’arte così intesa è strumento per una nuova evangelizzazione; è un vero “luogo teologico”, che porta alla contemplazione del mistero di Dio e della sua manifestazione epifanica in Cristo trionfante sulla morte e sul dolore.

Antonio Gaspari

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