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La vera ricchezza è condivisione, non accumulo

Alcune storie, qualcuna nota come quella di Marcello Candia, altre sconosciute ma altrettanto significative, che fanno riflettere sul senso della ricchezza e della povertà; e altre storie di “nuovi paperoni”, persi dietro ai loro successi, alle conquiste, e... alla loro “nuova” infelicità.


La vera ricchezza è condivisione, non accumulo

 

Ricordate la faccia beata di Zio Paperone mentre stava per tuffarsi nel mare di monete d’oro del suo enorme deposito?

 

          E quella, reale, della folla incredula radunata intorno a Francesco che, incurante degli improperi del padre, si spoglia delle vesti preziose preferendo indossare da quel momento un semplice saio?

 

Modi diversi di intendere la ricchezza, modi diversi di rapportarsi ai beni materiali.

          Anche oggi sono tante le persone che hanno puntato tutto sul denaro assomigliando al celebre personaggio uscito dalla matita di Walt Disney: secondo il Bloomberg Billionaires Index, ben cento super ricchi hanno visto crescere nel 2012 il proprio patrimonio. Primo fra tutti Carlos Slim con il suo impero mediatico in America Latina (75,2 miliardi di dollari, ovvero 13,4 miliardi di in più rispetto al 2011) seguito da Bill Gates, il fondatore di Microsoft, con 62,7 miliardi di dollari, e Amancio Ortega Gaona, il patron di Zara.

 

Al fianco del bene economico si pone il bene dell'uomo

 

          “Il denaro riveste un vero valore solo quando viene speso per migliorare l’esistenza e la crescita dell’uomo”, è invece il motto di Brunello Cucinelli, il re umbro del cachemire che a Natale ha deciso di condividere con i suoi dipendenti e collaboratori la somma – circa 5 milioni di euro – derivante dagli utili che la società ha realizzato dopo l’entrata in borsa. Sorta nel borgo medievale di Solomeo in provincia di Perugia nel 1985, l’azienda, che ha un fatturato complessivo di oltre 60 milioni di euro, ha oggi punti a Parigi, New York, Mosca, Giappone, Usa, Francia, Spagna, Svizzera e Nord Europa. Ma la sua è un’impresa umanistica, come ama presentarla lui stesso sul sito della ditta ormai famosa nel mondo. “Sentivo – si legge sull’home page - che il profitto da solo non bastava e che doveva essere ricercato un fine più alto, collettivo. Ho capito che a fianco del bene economico si pone il bene dell’uomo, e che il primo è nullo se privo del secondo”. 

 

“Chi ha molto deve dare molto”

 

          Uomini come Cucinelli hanno un esempio da seguire in Marcello Candia, l’imprenditore di successo che si fece missionario laico. Nato nel 1916 a Portici (Napoli) e cresciuto a Milano, conseguì ben tre lauree (chimica, farmacia e biologia), prima di assumere per 25 anni la direzione delle industrie del padre. Nel 1965 decise di vendere la sua azienda, leader nella produzione di anidride carbonica, per costruire un ospedale a Macapá, sul Rio delle Amazzoni. “Mi ci sono voluti vent’anni – ammise – per dire definitivamente di sì a Gesù e partire”. Nonostante la salute cagionevole, Candia dedicò ogni giorno della sua vita agli ultimi e, grazie ad un’intensa attività caritativa, riuscì a realizzare diverse opere: ospedali, centri sociali e per disabili, una scuola per infermiere e due conventi.

Il cardinale Carlo Maria Martini (che ha aperto nel 1991 il processo di beatificazione) lo definì “un’eccezionale figura di cristiano, imprenditore, uomo evangelico e apostolo della carità”. “Aveva ascoltato – sottolineò l’arcivescovo emerito di Milano in occasione del 20esimo anniversario della morte di Candia – l’invito di lasciare tutto per dare tutto ai poveri. Per questo le iniziative si moltiplicavano nelle sue mani, altri si sentivano spinti ad aiutarlo e il suo tesoro si ingrandiva non solo per il cielo, ma anche per questa terra. Ma in tutto questo egli mi appariva come distaccato e al di sopra delle opere realizzate, vedendo in tutto la volontà di Dio da compiere e la presenza di Gesù nei più poveri da onorare”. “Non sono io che ho dato qualcosa, ma loro, i poveri, che danno a me”, ripeteva Candia secondo il quale “chi ha molto ricevuto dalla vita deve dare molto”.

 

I soldi fanno la felicità?

 

          C’è tuttavia chi pensa che i soldi diano la felicità. “Ho cominciato a vivere davvero quando sono diventato ricco”, racconta sul suo blog un trentunenne che ha dato una svolta alla sua esistenza con il gioco online. “La mia situazione economica – dice – è florida, dispongo di vari appartamenti, di un conto in banca sostanzioso, di titoli e azioni: sono un uomo ricco, posso dirlo con orgoglio”. “Senza false ipocrisie o teorie psicologiche, rendiamoci conto che vivere costa e spesso i nostri problemi, le nostre insoddisfazioni, sono legate proprio al ‘non potercelo permettere’ ”, aggiunge da parte sua Antonio che si proclama “perfettamente d’accordo” con chi affermava che “preferiva morire a bordo della sua Rolls-Royce piuttosto che su di una panchina al parco pubblico”.

 

          “Nonostante io abbia i soldi, tre case, la salute, mille paia di scarpe, non so quanti lettori mp3, due ipod, una macchina nuova, non funziona, non vivo”, si sfoga però in rete un ragazzo che si qualifica“ricco, ma infelice”. “Mi mancano – scrive – i veri amici, e mi manca una ragazza che mi ascolti, che mi aiuti, che mi ami”.

 

 

Stefania Careddu

 

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