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La santità da una Lettera Apostolica di GP II

Riscoprire la santità significa intenderla nel senso fondamentale dell'appartenenza a Colui che è per antonomasia il Santo, il «tre volte Santo». Si può forse «programmare» la santità? Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno.


La santità da una Lettera Apostolica di GP II

da Teologo Borèl

 

Dalla Lettera Apostolica Novo millennio ineunte di Giovanni Paolo II (6 gennaio 2001)

30. E in primo luogo non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità.(...)

Occorre allora riscoprire, in tutto il suo valore programmatico, il capitolo V della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, dedicato alla «vocazione universale alla santità». Se i Padri conciliari diedero a questa tematica tanto risalto, non fu per conferire una sorta di tocco spirituale all'ecclesiologia, ma piuttosto per farne emergere una dinamica intrinseca e qualificante. La riscoperta della Chiesa come «mistero», ossia come popolo «adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito», non poteva non comportare anche la riscoperta della sua «santità», intesa nel senso fondamentale dell'appartenenza a Colui che è per antonomasia il Santo, il «tre volte Santo» (cfr Is 6,3). Professare la Chiesa come santa significa additare il suo volto di Sposa di Cristo, per la quale egli si è donato, proprio al fine di santificarla (cfr Ef 5,25-26). Questo dono di santità, per così dire, oggettiva, è offerto a ciascun battezzato.          

Ma il dono si traduce a sua volta in un compito, che deve governare l'intera esistenza cristiana: «Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (1 Ts 4,3). È un impegno che non riguarda solo alcuni cristiani: «Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità».          

31. Ricordare questa elementare verità, ponendola a fondamento della programmazione pastorale che ci vede impegnati all'inizio del nuovo millennio, potrebbe sembrare, di primo acchito, qualcosa di scarsamente operativo. Si può forse «programmare» la santità? Che cosa può significare questa parola, nella logica di un piano pastorale?          

In realtà, porre la programmazione pastorale nel segno della santità è una scelta gravida di conseguenze. Significa esprimere la convinzione che, se il Battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l'inserimento in Cristo e l'inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all'insegna di un'etica minimalistica e di una religiosità superficiale. Chiedere a un catecumeno: «Vuoi ricevere il Battesimo?» significa al tempo stesso chiedergli: «Vuoi diventare santo?». Significa porre sulla sua strada il radicalismo del discorso della Montagna: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48).          

Come il Concilio stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni «geni» della santità. Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno. Ringrazio il Signore che mi ha concesso di beatificare e canonizzare, in questi anni, tanti cristiani, e tra loro molti laici che si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita. È ora di riproporre a tutti con convinzione questa «misura alta» della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione. È però anche evidente che i percorsi della santità sono personali, ed esigono una vera e propria pedagogia della santità, che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone. Essa dovrà integrare le ricchezze della proposta rivolta a tutti con le forme tradizionali di aiuto personale e di gruppo e con forme più recenti offerte nelle associazioni e nei movimenti riconosciuti dalla Chiesa.

Giovanni Paolo II

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