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Triduo San Francesco di Sales 3/3

Ultima riflessione per preparasi alla festa di domani...


Triduo San Francesco di Sales 3/3

da Spiritualità Salesiana

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TERZO GIORNO: vivere la misericordia oggi  con San Francesco di Sales  

 

Se vogliamo seguire l’insegnamento di san Francesco di Sales, frutto delle sue intuizioni, esperienze sofferte e riflessioni attinte dalla parola di Dio, specialmente dei salmi, accogliamo questi tre inviti del santo: 1° Accostiamoci con fiducia al trono della misericordia; 2° Non dubitare mai della sua misericordia perché Gesù è una “pasta di misericordia”; 3° Siamo anche noi misericordiosi.  

 

1. Accostiamoci con fiducia al trono della misericordia

Nell’Antico Testamento, soltanto Mosè poteva salire sul monte della rivelazione; nessun altro, uomo o animale, osava andare oltre il limite fissato, toccare il monte o salire, sotto pena di morte. Nel Nuovo Testamento, invece, Gesù ha subito la morte per noi, per avvicinare i poveri e i peccatori al trono della misericordia. Nella lettera agli Ebrei leggiamo di fatto questo dolce invito: “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno” (Eb 4,16).

Sembra che sia stato questo passo della Scrittura a ispirare Francesco di Sales in parecchi dei suoi scritti. Scrivendo alla baronessa di Chantal che si lamentava dicendo che le proprie incapacità e miserie le impedivano di avvicinarsi a Dio, il vescovo la rimproverò vivamente: “È un brutto modo di esprimersi, senza dubbio. Dio vi lascia in quello stato per la sua gloria e per il vostro maggior bene. Egli vuole che la vostra miseria sia il trono della sua misericordia, e le vostre incapacità, la sede della sua onnipotenza” (XIII 202). In altri termini, la miseria che Giovanna sentiva dentro di sé è un buon motivo per avvicinarsi a Dio.

Durante uno dei soliti trattenimenti spirituali con le prime suore della Visitazione fu rivolta al fondatore questa domanda: può un’anima che ha il sentimento della propria miseria andare verso Dio con grande fiducia? A tale perplessità egli rispose rovesciando la domanda in un modo alquanto sorprendente, dichiarando che l’anima che ha la conoscenza della propria miseria, non solo può avere una grande fiducia in Dio, ma che non può avere una vera fiducia in Lui se non ha la conoscenza della propria miseria. Conoscere e ammettere la propria miseria è, per così dire, il miglior biglietto da visita per comparire alla presenza di Dio. Facciamo come i santi che cominciano le loro preghiere con la confessione della loro miseria e indegnità. Per aver “diritto” alla sua misericordia, dobbiamo riconoscere che siamo poveri e indegni. Non per nulla la Chiesa ci insegna il giusto atteggiamento davanti a Dio facendoci dire prima della comunione come il centurione del Vangelo: Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato.

Pertanto, c’è un legame fortissimo tra la misericordia e la miseria, in modo che l’una non può esserci senza l’altra. Se non fossimo miserabili, Dio non potrebbe essere misericordioso. E quanto più ci riconosciamo miserabili, tanto più abbiamo motivo di avere fiducia in Dio. Infatti, non abbiamo nulla in noi stessi su cui confidare; dobbiamo piuttosto diffidare di noi stessi in ogni cosa. Del resto, è cosa ottima diffidare di noi stessi, senza però cadere in un sentimento di delusione triste e inquieta: è l’amor proprio che genera quel tipo di confusione, perché siamo delusi di non essere perfetti, non tanto per amore di Dio quanto per amore di noi stessi. Al contrario, più diffidiamo di noi stessi, più dobbiamo gettare tutta la nostra fiducia in Dio e nella sua misericordia. Francesco concludeva la sua istruzione alle suore della Visitazione con questa confidenza sulla sua dottrina: “Ho l’abitudine di dire che il trono della misericordia di Dio è la nostra miseria” (VI 22).

 Un famoso esempio di miseria umana e di misericordia divina fu quello dell’apostolo Tommaso dopo la risurrezione di Gesù. Secondo il vescovo di Ginevra, Tommaso ha commesso tre grandi peccati: l’individualismo di chi non si è trovato con gli altri apostoli, la cocciutaggine e il dispetto non volendo credere loro, infine la passione con la quale si è irrigidito ancora di più dicendo: No, non crederò! Ed ecco il commento di san Francesco di Sales:

Cadde realmente in una colpa così grave che non ci sono parole per esprimerle; lo diciamo seguendo in questo tutti i santi Padri. Ma, ditemi, perché la fanno notare, se non per sottolineare l’infinita misericordia di Dio a confronto della miseria dei peccatori? Troviamo scritto nella sacra Scrittura che Dio ha costruito il suo trono sulle nostre miserie. Infatti, mentre la prima volta, Gesù era apparso per tutti gli apostoli, venne un’altra volta soltanto per Tommaso, rivolgendosi soltanto a lui, facendogli toccare e palpare da lui. Che cosa pensate facesse allora quel buon santo? Certamente, è fuor di dubbio che, appena l’ebbe toccato, avvertì un grande calore divino, soprattutto quando pose la mano nello scrigno dei tesori della Divinità, toccando il sacro cuore colmo d’amore (X 409).

I grandi nemici della fiducia sono la melanconia e lo scoraggiamento, che spesso è provocato dalla vista delle proprie miserie, ma anche dall’amor proprio ferito. A una religiosa della Visitazione il santo faceva questa raccomandazione: “Anche se avessimo fatto un grande peccato, non dovremmo scoraggiarci né entrare in qualsiasi genere di diffidenza nei confronti della misericordia di Dio. Non sapete voi che il trono della sua misericordia è la nostra miseria?” (XXVI 312). Allo stesso modo scriveva a una signora portata ad essere spesso scontenta: “Le vostre debolezze non vi devono turbare. Dio ne ha visto ben altre, e la sua misericordia non rigetta i miserabili, ma si compiace di colmarli di benefici, mettendo la sede della sua gloria sulla loro miseria” (XVI 68). A una giovane novizia inquieta della propria perfezione Francesco scriveva: “Voi non vedrete mai Dio senza bontà né voi stessa senza miseria, e vedrete la sua bontà propizia alla vostra miseria e la vostra miseria oggetto della sua bontà e misericordia” (XII 168).

Spesso nell’orazione facciamo esperienza della nostra incapacità e miseria. Questo non deve spaventarci, ma stimolarci a presentare e ripresentare a Dio il nostro nulla e la nostra miseria, seguendo l’esempio dei mendicanti: “La preghiera più efficace che ci rivolgono i mendicanti è di esporre alla nostra vista le loro piaghe e la loro necessità” (XIII 20). Alle prime visitandine il fondatore, per incoraggiarle diceva loro: “Se il tuo cuore è di terra, di mota, o di fango, non aver paura di consegnarlo nelle mani di Dio; quando egli creò Adamo prese un po’ di terra e ne fece un essere vivente” (IX 235).

Quest’insegnamento lo ha vissuto e praticato per primo san Francesco di Sales. Nel suo epistolario troviamo spesso una richiesta di preghiera in cui confessa la propria miseria con grandissima umiltà e implora con assoluta fiducia la misericordia divina. Eccone alcuni esempi.

Dopo aver esortato una signora a ricercare la vera devozione, conclude così: “Vi ringrazio per il ricordo che conservate della mia miseria dinanzi a nostro Signore, per raccomandarla alla sua misericordia” (XIII 90). In occasione degli esercizi spirituali scrive a un amico: “Il mio Dio mi conceda la grazia di fare bene quello che devo, per essere meno indegno delle sue misericordie con le quali sopporta le mie miserie” (XIII 269). Conoscere le proprie miserie è per lui addirittura un motivo di gioia, come si vede da questa confidenza alla baronessa di Chantal: “Io non so come sono fatto: sebbene mi senta miserabile, non perdo per nulla la pace, e anzi, me ne rallegro, pensando di essere un buon lavoro per la misericordia di Dio” (XIII 366). Questa sua gioia proviene dalla convinzione che la sua miseria non gli toglie per niente l’amore di Dio; al contrario, essa rafforza il suo desiderio di servire Dio e sarà trasformata dalla bontà di Dio in misericordia. In questo senso, parlando di un religioso che aveva fatto di lui un elogio ditirambico, il santo vescovo scriveva alla superiora della Visitazione di Lione con sorprendente realismo e straordinario ottimismo:

Quel buon Padre dice che sono un fiore o un mazzo di fiori o una fenice, ma, in realtà, non sono altro che un uomo fetido, un corvo, un letamaio. E tuttavia, vogliatemi molto bene, mia carissima figlia, perché Dio non cessa di amarmi e di darmi desideri straordinari di servirlo e amarlo puramente e santamente. Insomma, noi siamo troppo fortunati per aver indirizzato le nostre aspirazioni all’eternità della gloria per i meriti della passione di Nostro Signore, che prende come un trofeo la nostra miseria per trasformarla nella sua misericordia (XVIII 175).

Diventa allora evidente che la misericordia del Signore supera la sua giustizia, come aveva già detto l’apostolo Giacomo: “La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio” (Gc 2,13). San Francesco di Sales afferma che Dio compie le sue azioni con due mani, una è la misericordia, l’altra la giustizia, ma che in lui, tutto procede dalla sua bontà, sia quando esercita la giustizia come quando fa misericordia: 

Siccome Dio ‚Äí per se stesso ‚Äí è la Bontà medesima, per conseguenza è sempre giusto e misericordioso. È proprio della bontà comunicarsi, perché di natura sua è comunicativa e, a tale scopo, si serve della misericordia e della giustizia: dalla prima, per operare il bene, e, della seconda, per punire e sradicare ciò che ci impedisce di risentire gli effetti della bontà del nostro Dio, la cui misericordia è la sua giustizia e la cui giustizia è la sua misericordia. La misericordia ci fa abbracciare il bene, la giustizia ci fa fuggire il male, e la bontà di Nostro Signore si comunica per mezzo di queste due potenze, in quanto egli rimane ugualmente buono sia che si serva dell’una che dell’altra (X 312-313).

Quando soffriamo qualche prova o malattia, a che cosa dobbiamo pensare: alla giustizia di Dio o alla sua misericordia? A un marito di cui la moglie soffriva molte tribolazioni, egli scrive : “Interrogate spesso il cuore di Nostro Signore dal quale procede questa afflizione, ed esso vi farà sapere che l’afflizione ha origine dall’amore divino. È cosa buona indirizzare il pensiero alla giustizia che ci punisce, ma è cosa migliore benedire la misericordia che ci purifica» (XVIII 114).

La cosa più bella è che il nostro Dio, con la sua provvidenza, sa trasformare un male in un bene. Il nostro Dio, spiegava san Francesco a una signora afflitta da dolori e persecuzioni, è il “grande artista della misericordia”, perché riesce a trasformare le nostre miserie in grazie e il veleno dell’iniquità in medicina salutare per le nostre anime. Ogni cosa concorre al bene nostro se amiamo Dio, e anche se non vediamo per quali vie questo bene ci potrà venire, dobbiamo essere tanto più sicuri che esso verrà. Dio sa trarre il bene dal male. Persino i peccati sono ordinati dalla Provvidenza al bene: “Se vi fa cadere, come fece cadere san Paolo, lo fa per elevarvi alla gloria” (XVIII 209-210).

La fiducia nella misericordia di Dio è fonte di gioia. Lo dice san Francesco con questa raccomandazione a Giovanna di Chantal: “Camminate nella gioia, figlia mia, con una fiducia illimitata nella misericordia del vostro Sposo” (XIV 111).

 

2. Gesù è una “pasta di misericordia”

Sotto la Legge antica, Dio si era rivelato prima in tutta la sua Maestà di gloria e di divinità. E l’antica rivelazione non è abolita. Ma con l’incarnazione del Figlio di Dio è venuto il tempo della misericordia, del perdono e della salvezza. Il Verbo eterno facendosi uomo si è “impastato” di umiltà e di dolcezza. Fu messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato (cf Eb 4,15), facendosi fratello in mezzo ai fratelli (cf Eb 2,17), vera “pasta di misericordia”

Nella Legge di grazia c’è soltanto dolcezza. L’ira di Nostro Signore è simile alle piogge d’estate, che non fanno altro che toccare la terra. Il Figlio di Dio è una pasta di misericordia, e si è fatto uomo per unirsi a un’indole misericordiosa. Per questo la sua anima divina si è unita alla sua umanità per sopportare, ed è stata attaccata al suo corpo al fine di compatire con dolcezza alle sue creature e farsi simile ai suoi fratelli (XXIII 298).

È una cosa importante capire che non siamo noi per primi a cercare la misericordia di Dio, ma è la sua misericordia che cerca noi. “Nostro Signore previene il peccatore e va a cercarlo, lo chiama e lo invita a tornare, altrimenti non ci penserebbe mai”. Dice ancora: “Il peccatore non tornerebbe mai, se la misericordia non lo prevenisse. Ma Nostro Signore ‚Äí bontà infinita! ‚Äí va alla ricerca della pecorella smarrita, che altrimenti non tornerebbe mai; questa misericordia va alla ricerca della dramma perduta” (VII 190-191).

Dall’incarnazione alla redenzione Gesù misericordioso ci ha amato in tutti i modi. San Francesco di Sales nel Trattato dell’amor di Dio ne ha elencato dodici, numero simbolico di una sintesi di perfezione del suo amore preveniente per noi:

1° Ci ha amati di un amore di compiacenza, poiché ha trovato le sue delizie nello stare con i figli degli uomini […]. 2° Ci ha amati di un amore di benevolenza, ponendo la sua divinità nell’uomo di modo che l’uomo fosse Dio. 3° Si è unito a noi con un’unione che supera ogni nostra comprensione […]. 4° […] ha fuso la sua grandezza per modellarla alla forma e alla figura della nostra piccolezza […]. 5° È stato in estasi per il fatto che ha abbandonato se stesso per calarsi nella nostra umanità […]. 6° Spesso è stato preso di ammirazione per amore, come fece per il centurione e la Cananea. 7° Ha contemplato con amore il giovane […] che desiderava essere avviato alla perfezione. 8° Ha trovato un’amorosa pace in noi […]. 9° Ha avuto una particolare tenerezza per i bambini […], per Marta e Maddalena, per Lazzaro, […] per la città di Gerusalemme. 10° È stato animato da uno zelo ineguagliabile che si è mutato in gelosia […]. 11° Ha sperimentato mille e mille pene d’amore […]. 12° Infine, o Teotimo, quell’amante divino […] è morto dell’amore, a causa dell’amore, per l’amore e d’amore.[1]

In un altro passaggio del Trattato dell’amor di Dio l’autore scrive che Dio “decretò che Egli riscattasse gli uomini non soltanto per mezzo di una sua azione d’amore, il che sarebbe stato più che sufficiente per riscattare mille milioni di mondi, ma anche per mezzo di tutte le azioni d’amore e di passione dolorosa che avrebbe compiuto e sofferto, fino alla morte e alla morte di croce, alla quale lo destinò”. E conclude dicendo che Dio “voleva che in tal modo fosse compagno delle nostre miserie per renderci, in seguito, compagni della sua gloria, mostrandoci così la ricchezza della sua bontà con questa redenzione abbondante, traboccante, ammirabile ed eccedente, riconquistandoci tutti i mezzi necessari per giungere alla gloria, di modo che nessuno potesse più lamentarsi come se la misericordia divina mancasse a qualcuno”.[2]

Non c’è dubbio che il Signore mi guarda con amore, come guarda amorosamente anche i peccatori più orribili del mondo, se hanno un desiderio anche minimo di convertirsi. Per convincersene, ecco il consiglio dato alla maestra delle novizie di Lione: “Se getterete uno sguardo sul suo cuore, sarà impossibile che non vi piaccia, perché è un cuore immensamente dolce, soave, accondiscendente e innamorato delle povere creature che riconoscono la loro miseria, misericordioso per i miserabili e buono per i penitenti. E chi non amerebbe quel cuore regale, paternamente materno verso di noi?” (XVIII 171).

Non soltanto Gesù esercita la misericordia verso di noi, egli prova piacere a fare misericordia, a guarire e perdonare. San Francesco di Sales lo dimostra predicando sul Vangelo in cui Gesù accoglie i peccatori: “Perché meravigliarsi ‚Äí esclama ‚Äí se nel Vangelo di oggi lo vediamo circondato da malati, peccatori e pubblicani?”. Poi chiede: “Ma chi vorreste che li ricevesse? Non è forse un onore per il medico di essere ricercato dai malati, soprattutto quando le loro malattie sono incurabili?” In conclusione, dobbiamo tutti capire attraverso l’atteggiamento di Gesù che “il suo piacere è di ricondurre i peccatori alla sua misericordia” (VII 186).

Segno supremo della misericordia, Gesù sulla croce ci ha preparato tutti i mezzi di cui noi, poveri e nudi, abbiamo bisogno.

Dice così a Filotea:

Vedi, mia cara Filotea, è certo che il cuore del nostro caro Gesù vedeva il tuo, dall’albero della  croce, e l’amava e con quest’amore gli otteneva tutti i beni che tu avrai […]. Si, cara Filotea, noi possiamo tutti dire come Geremia: O Signore, prima che io fossi, tu mi guardavi e mi chiamavi per nome, poiché veramente la sua divina bontà preparò nel suo amore e nella sua misericordia tutti i mezzi generali e particolari, della nostra salvezza […]. Sì, senza dubbio: come una donna incinta prepara le fasce e la biancheria e anche una nutrice per il bimbo che spera di fare, anche se ancora non è venuto al  mondo, così Nostro Signore avendo la sua bontà gonfia e incinta di te, pretendendo di partorirti alla salvezza e di renderti sua figlia, preparò sull’albero della croce tutto ciò che occorreva per te: la tua culla spirituale, la tua biancheria e le tue fasce, la tua nutrice e tutto ciò che era conveniente alla tua felicità.[3]

 

3. Siamo chiamati ad essere misericordiosi

I primi chiamati a mostrarsi particolarmente misericordiosi sono i confessori. Nei suoi consigli a loro rivolti il vescovo di Ginevra chiede loro misericordia e dolcezza, per essere come Gesù, “pasta di misericordia”. Come intendere la compassione che devono esercitare nei confronti dei loro penitenti?

Non intendo quella compassione che mette un cuscino al vizio e un velo per adagiare il peccato. No, voglio soltanto che ci adattiamo alla portata di ciascuno, concedendo qualcosa, non alla malizia, ma all’infermità. Gli spiriti non vogliono essere trattati duramente, ma ricondotti dolcemente, questa è l’indole dell’uomo (XXIII 298).

Come dovrà fare il confessore quando incontrerà certe persone che hanno commesso delle abominazioni come sono “le stregonerie, i rapporti con il diavolo, le bestialità, i massacri” e le vede eccessivamente spaventate e tormentate nella loro coscienza? Risponde Francesco: “Voi dovete con ogni mezzo sollevarle e consolarle, assicurandole della grande misericordia di Dio, la quale è infinitamente più grande per perdonarle che tutti i peccati del mondo per dannarle, e promettete loro di assisterle in tutto ciò di cui avranno bisogno di voi per la salvezza delle loro anime” (XXIII 284).

Quanto al penitente, ecco le disposizioni con cui Filotea dovrà accogliere il perdono e l’assoluzione:

Sii attenta e apri le orecchie del tuo cuore a udi­re in spirito le parole della tua assoluzione che il Salvatore stesso della tua anima, se­duto sul trono della sua misericordia, pronuncerà nell’alto del cielo dinanzi a tutti gli angeli e santi, nello stesso momento che in suo nome il sacerdote ti assolve quaggiù sulla terra.[4]

Tutti i credenti che si riconoscono oggetto della misericordia divina devono anche loro diventare misericordiosi. Ma che cosa vuol dire: essere misericordiosi? Ecco una definizione della misericordia che l’autore del Trattato dell’amor di Dio ci offre: “La compassione, con-doleanza, commiserazione o misericordia, non è altro che un affetto che ci fa partecipare alla passione e al dolore di colui che amiamo, trasferendo nel nostro cuore la pena che egli soffre; per questo è chiamata misericordia, come a dire una miseria del cuore”.[5]

Ora, prosegue Francesco di Sales, è l’amore che produce questi effetti “per la virtù che ha di unire il cuore che ama a ciò che è amato, rendendo in tal modo comuni i beni e i mali degli amici”. Più si ama, più si partecipa al dolore dell’altro. Chi più dei genitori, e in modo speciale delle madri, partecipano alle sofferenze dei loro figli? Quanto dolore nel cuore di Agar per le sofferenze del suo Ismaele che essa vedeva quasi morire di sete nel deserto! Essa si allontanò dal figlio agonizzante per non vederlo morire. Davide soffriva immensamente per le sventure del suo Assalonne. Quanto soffrì Giacobbe nel ricevere la triste notizia, benché falsa, della morte del suo caro Giuseppe! Egli fu distrutto dal dolore quando vide la veste insanguinata di Giuseppe. Le figlie di Gerusalemme piangono su Gesù portando la croce.

Gesù stesso ha pianto vedendo il sepolcro del suo caro amico Lazzaro e contemplando la sua cara Gerusalemme. L’autore del Trattato dell’amor di Dio parla anche del cuore materno di san Paolo, malato con i malati, che brucia di zelo per gli scandalizzati, oppresso da un acerbo dolore per la perdita dei suoi fratelli di razza, e che muore tutti i giorni per i suoi figli spirituali.

Ma l’immagine più eloquente della compassione e misericordia è quella della madre di Gesù, l’Addolorata ai piedi della croce del Figlio. Tutte le pene, i tormenti, le sofferenze, le ferite, la croce e la morte del figlio sono trasferiti nel cuore della madre. “La spada della morte che trafisse il corpo di quell’amatissimo Figlio trafisse anche il cuore di quell’amatissima madre”.

Da sentimento, la misericordia deve tradursi in opere, cominciando dalle opere di misericordia corporali: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, ospitare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti. Nel contesto del tempo, in cui non esisteva un sistema di protezione sociale, era molto sentita la necessità dell’elemosina, che il vescovo di Ginevra distribuiva ogni settimana, e anche più volte, specialmente in inverno. Inoltre, si recava a visitare i poveri e gli ammalati; per essi si privava perfino dei suoi abiti. Francesco di Sales amava i carcerati, ai quali portava dei dolci. Ospitava i religiosi e i preti poveri che in diverse occasioni venivano in città, avendo cura estrema che fossero trattati bene e serviti degnamente.[6] Oggi siamo di fronte ai problemi del terzo mondo, dei paesi in via di sviluppo, ma anche del quarto mondo. Le sfide vanno affrontate con spirito di solidarietà, ma la solidarietà di cui si parla molto, non funziona bene senza la misericordia che ne è il movente: non è altro che un frutto della misericordia.

Quanto alle opere di misericordia spirituali, si può dire che tutta l’azione pastorale del vescovo di Ginevra à stata un’opera di misericordia in tutte le sue varie modalità: istruire gli ignoranti, consigliare i dubbiosi, consolare gli afflitti, correggere i peccatori, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare per tutti. L’accompagnamento personale, specialmente attraverso la corrispondenza, non gli sembrava estraneo ai suoi doveri di vescovo. A quanto ci pare, queste opere di misericordia spirituali non hanno bisogno di un aggiornamento, perché sono sempre di grandissima attualità per quelli che amano veramente il loro prossimo.

 

 

Confronto me stessa/o alla luce di questa esperienza tanto concreta di misericordia che ha vissuto san Francesco…quale chiamata c’è per me?

 

 

 

[1] Trattato dell’amor di Dio, libro X, cap. 17.

    [2] Trattato dell’amor di Dio, libro II, cap. 4.

 

[3]  Introduzione alla vita devota, parte V, cap. 13.

[4]  Introduzione alla vita devota, parte I, cap. 21.

[5] Trattato dell’amor di Dio, libro V, cap. 4.

[6] Vedi É.-M. Lajeunie, San Francesco di Sales e lo spirito salesiano, Leumann TO, Elledici, 2007, 75-76.

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