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Nasce nella povertà la «casa salesiana»

Dopo il felice superamento della gravissima malattia, Don Bosco, ritornato all'Oratorio di Valdocco, riprende, senza altre gravi interruzioni, una instancabile attività per i suoi ragazzi che aumentavano di giorno in giorno.


Nasce nella povertà la «casa salesiana»

 

Una mamma per tanti ragazzi           Accanto alla casa Pinardi c’era anche una casa di divertimento poco affidabile. Starci da solo non sarebbe stato prudente. Parlò a sua madre che viveva nella serenità della sua terra ai Becchi, circondata dai suoi nipotini. Sapeva che chiedeva un grande sacrificio: lasciare una terra dove era amata, benvoluta da tutti, per andare ad affrontare un ambiente urbano così diverso per le sue abitudini. Scrive Don Bosco nelle Memorie: «Ella capì la forza delle mie parole e soggiunse tosto: “Se ti pare tal cosa piacere al Signore, io sono pronta a partire in sul momento”»! E così fu. Dopo aver raccolto alcune cose maggiormente necessarie, partirono a piedi per Torino dove arrivarono il 3 novembre 1846. Rimarrà accanto al figlio come mamma di una moltitudine di ragazzi in gran parte orfani, per dieci anni: donando tempo, fatica e tanto amore, nei difficili e impegnativi tempi della prima essenziale organizzazione dell’Oratorio. Morì infatti il 25 novembre 1856.  La compagnia dei coraggiosi           Scrive Don Bosco: «Stabilita regolare dimora in Valdocco, mi sono messo con tutto l’animo a promuovere le cose che potevano contribuire e conservare l’unità di spirito, di disciplina e di amministrazione ». A questo scopo, compila un semplice Regolamento «il cui vantaggio fu assai notabile: ognuno sapeva quello che aveva da fare, e siccome io soleva lasciare ciascuno responsabile del suo uffizio, così ognuno si dava sollecitudine per conoscere e compiere la parte sua». Pensò poi a qualche pia pratica che potesse essere di stimolo alla vita religiosa dei suoi ragazzi.           Fu allora che nacque la Compagnia di San Luigi, con regole proprie che si riducevano, praticamente, a poche condizioni per associarsi: buon esempio in chiesa e fuori di chiesa; evitare i cattivi discorsi e frequentare i santi sacramenti. Don Bosco presentò il progetto al Vescovo Mons. Fransoni che lo lodò, lo approvò concedendo particolari indulgenze, la possibilità di preparare e dare la cresima nella loro piccola chiesetta, a tanti giovani forestieri che non l’avevano ancora ricevuta. Scrive: «Grande entusiasmo cagionò tra i nostri giovanetti la Compagnia di San Luigi: tutti si volevano iscrivere». In una nota di un suo manoscritto afferma che tra i soci che si iscrsissero compaiono anche nomi illustri come l’Abate Rosmini e lo stesso Pio IX. Ovviamente per dare un segno grande di approvazione e incoraggiamento. Fu in occasione della celebrazione della prima festa in onore di San Luigi che il Vescovo andò all’Oratorio, per la prima volta, ed entrando nella piccola e bassa chiesetta, non abituato ad ambienti così umili, con la mitria, urtò nel soffitto, il che provocò grande ilarità tra gli astanti. Scrive Don Bosco, pure lui divertito, che l’Arcivescovo ricorderà sovente e con piacere quell’episodio...  Nasce nella povertà la «casa salesiana»            Scrive nelle Memorie: «Apparve altro bisogno assai grande cui era urgente un provvedimento. Molti giovanetti torinesi e forestieri erano pieni di buon volere di darsi a una vita morale e laboriosa; ma invitati a cominciarla solevano rispondere di non aver né pane, né vestito, né alloggio ove ricoverarsi almeno per qualche tempo. Per alloggiarne almeno alcuni, che alla sera non sapevano più dove ricoverarsi, aveva preparato un fienile, dove si poteva passare la notte sopra un po’ di paglia. Ma gli uni ripetutamente portarono via le lenzuola, altri le coperte, e infine la stessa paglia fu involata e venduta. Ora avvenne che una piovosa sera di maggio, sul tardi, si presentò un giovanetto sui quindici anni tutto inzuppato dall’acqua. Egli domandava pane e ricovero. Mia madre l’accolse in cucina, l’avvicinò al fuoco e mentre si riscaldava e si asciugava gli abiti, gli diede minestra e pane per ristorarsi». Don Bosco intanto gli chiede se avesse frequentato qualche scuola, se avesse un mestiere, dove volesse andare. Rispose: «Io sono un povero orfano venuto dalla Valsesia (zona di Varallo, provincia di Vercelli), per cercare lavoro. Avevo con me tre franchi, i quali ho tutti consumati prima di poterne guadagnare altri e adesso non ho più niente e sono di nessuno… Non so dove andare, dimando per carità di poter passare la notte in qualche angolo di questa casa...».           Tacque e si mise a piangere, e con lui Mamma Margherita e Don Bosco... Dopo qualche perplessità, ma incoraggiati dalle parole del giovanetto: «Stia tranquillo: io sono povero ma non ho mai rubato niente», si attivarono per preparagli un posto dove riposare. Scrive Don Bosco: «Mia madre, aiutata dall’orfanello, uscì fuori, raccolse alcuni mattoni e con essi fece in cucina quattro pilastrini, sopra cui adagiò alcune assi, e vi soprapose un saccone, preparando così il primo letto dell’Oratorio. La buona mia madre fecegli, di poi, un sermoncino sulla necessità del lavoro, della fedeltà e della religione. Infine lo invitò a recitare le preghiere» che, non sapendole, le ripeté con Don Bosco e la Mamma. Nacque così la tradizionale “buona notte” ancora in uso e sempre attesa nelle case salesiane. Un delicato augurio serale nato dal cuore di una mamma, e continuato dal figlio sacerdote, a indicare lo spirito di famiglia tanto caro a Don Bosco. Era l’anno 1847. Da allora i ragazzi che bussarono alla porta di Don Bosco e ne furono accolti, non si contano, tanto che dovette attivarsi per affittare, comperare, costruire altri ambienti, aprire nuove case nella città per ospitarli con dignità, come minutamente descrive nelle Memorie.  La mano della Provvidenza           Ma tutto ciò costò a Don Bosco preoccupazioni per le spese alle quali da solo non poteva far fronte, se non in un filiale abbandono nelle mani della Divina Provvidenza che, come già aveva sperimentato e continuerà a sperimentare, nella sua vita non lo lascerà mai solo. Un fatto, in queste circostanze dell’inizio dell’espansione della sua Opera, che vale per tutti. Si trattava di acquistare la casa Pinardi. Un accordo, senza scritti, ma a sola stretta di mano (come era possibile allora!): franchi 30.000, pagabili in contanti entro quindici giorni. Scrive Don Bosco nelle Memorie: «Ma dove prendere una tal somma in così breve tempo? Cominciò allora un bel tratto della Divina Provvidenza. Quella stessa sera Don Cafasso, cosa insolita nei giorni festivi, mi viene a fare visita, e mi dice che una pia persona, la contessa Casazza-Riccardi, l’aveva incaricato di darmi dieci mila franchi da spendersi in quello che avrei giudicato della maggior gloria di Dio. Il giorno dopo giunge un religioso rosminiano che veniva in Torino per mettere a frutto franchi 20.000, e me ne chiedeva consiglio. Proposi di prenderli a mutuo per il contratto Pinardi, e così fu messa insieme la somma ricercata. I tre mila franchi di spese accessorie furono aggiunti dal Cav. Cotta nella cui banca venne stipulato il sospirato contratto».           La storia di Don Bosco e della sua Opera sarà tutta costellata di straordinari segni materni della Divina Provvidenza. D’altra parte non si spiegherebbe umanamente una espansione così rapida dalla sua Opera.

 

 

Don Emilio Zeni

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