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La fede e l'amore.

Il primato dell'amore non si afferma senza la priorità della fede: l'amore è la forma della fede, ma la fede dice la verità dell'amore. Verità e carità sono inseparabili: secondo l'insegnamento di San Paolo, la verità si attesta nella carità (veritas in caritate), e la carità si esercita nella verità (caritas in veritate)


La fede e l’amore.

 

Occorre riconoscere che «solo nella verità la carità risplende», e che «senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo» (Caritas in veritate, 3).

Separato dalla fede, l’amore diventa qualunque cosa, il vocabolo più usato e abusato, il nome di Dio e l’idolo più grande, il massimo desiderio dell’uomo e la sua massima frustrazione. Senza la fede, l’amore fa una brutta fine, «diventa un guscio vuoto da riempire arbitrariamente» (ibid.). C.S. Lewis ha giustamente osservato che «quando l’amore non è più Dio, o quando l’amore è elevato a dio, si trasforma in un demonio»! Quanto questo accada ogni giorno, lo sa solo Dio, ma un poco lo sappiamo anche noi. Fuori dal vincolo della fede, il mistero dell’amore si capovolge in un presupposto pacifico di cui tutti si dichiarano competenti: l’amore cessa allora di essere la sintesi dei comandamenti, e diventa la legittimazione di ogni arbitrio. E dire che Gesù ha fatto dell’amore il comandamento supremo – il “suo” comandamento! – per due buonissime ragioni: che non c’è niente di più necessario dell’amore, e quindi fallire nell’amore è fallire nella vita, e che non c’è più niente di libero dell’amore, e infatti dove non c’è libertà non occorrono leggi. 

Fuori dalla fede, l’amore diventa la più grande eresia: assicurata una parte di verità, altre ne vengono dimenticate. Fatta eccezione di quelli, antichi e moderni, che negano l’esistenza dell’amore come fenomeno spirituale, propriamente umano, e quelli che lo naturalizzano riconducendolo a coordinate bio-psicologiche studiabili e prevedibili come tutti i fenomeni naturali, nella storia del pensiero si trovano le interpretazioni più disparate. Per alcuni è istante ed eternità, per altri è durata e fedeltà. Molti lo inquadrano nel sistema dei bisogni, altri lo riconoscono soltanto nell’ottica dell’amore puro, del disinteresse.

Vi è chi lo pensa come desiderio, aspirazione, mancanza, struggimento, e chi lo pensa piuttosto come possesso, pienezza, riposo, godimento. La gente inclina oggi a pensare l’amore come forza irrazionale, mentre i cristiani lo vedono come ragione di ogni cosa. Alcuni lo associano all’impegno e al sacrificio, altri lo ritengono autentico solo se spontaneo. Si arriva persino a ritenerlo un fenomeno contraddittorio, incapace di uscire dall’alternativa dell’affermazione e della negazione di sé, dell’egoismo mascherato da una parte, e di un’inevitabile alienazione dall’altra.

In tema di amore vi sono idee e sensibilità diverse anche all’interno della fede. Il dibattito di sempre è tra chi vede una frattura insanabile fra amore umano (eros) e amore divino (agape), e chi ne coglie piuttosto la continuità. Nel primo caso, prevalente in ottica evangelica, eros e agape si oppongono come carne e spirito, come concupiscenza e benevolenza, amore di desiderio e amore di pienezza, amore ascendente e discendente, spiritualizzazione dell’amore e incarnazione dell’amore. Nel secondo caso, prevalente in ottica cattolica, l’amore umano proviene dall’amore divino e ad esso si orienta. In altre parole, eros e agape sono inconfondibili e inseparabili: l’eros è destinato all’agape, l’agape è la verità dell’eros. In questo senso, come ha precisato Benedetto XVI nella sua prima enciclica, «eros e agape non si lasciano mai separare completamente l’uno dall’altro», perché in fondo «l’amore è un’unica realtà, seppur con diverse dimensioni» (DC 7.8).

Ad ogni modo, se si dimentica la reciproca appartenenza, risulta oggi molto difficile non identificare l’eros con l’erotismo e l’agape col misticismo, ma allora l’estasi dell’eros smette di essere ascesa e diventa caduta e degrado, e l’estasi di agape, dimenticando le forme concrete dell’amore, non riesce più ad essere esodo, elevazione, maturazione effettiva del cuore (cfr. DC 6.7). Il Papa suggerisce addirittura, in maniera davvero ardita, che non solo l’eros è mosso dall’agape all’agape, ma anche l’agape è intimamente attraversata dall’eros, nel senso che la perfezione dell’amore di Dio non è senza passione, e la sua pienezza non è senza desiderio: il suo amore «può essere qualificato senz’altro come eros, e tuttavia è anche e totalmente agape» (DC 9).

Fuori dal vincolo della fede, l’amore vive oggi due minacce inedite. Esse sono il frutto amaro di unlungo processo storico, che dal medioevo ha progressivamente sostituito le figure dell’amore cristiano, che è tanto spirituale quanto incarnato, con le figure dell’amore romantico, che è erotico ma non sessuale, passionale ma non sponsale. Così l’amore, separato dalle forme concrete in cui accade, si sviluppa e matura, perde tutte le sue dimensioni e proporzioni. Il fenomeno più vistoso è la riduzione sentimentale, erotica ed economica che l’amore ha subìto nel passaggio dall’epoca moderna a quella postmoderna: la consegna dell’amore alle variazioni dell’emozione, ai meccanismi dell’istinto e alla logica dello scambio privano l’amore di quegli aspetti di fedeltà, libertà e gratuità che lo costituiscono. L’altro fenomeno, evidente nell’ottica della fede, è il capovolgimento dell’unico e triplice comandamento di Dio, che chiede di amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi.

Vi è cioè un ordine dell’amore che non può essere sovvertito impunemente: amore di Dio, amore del prossimo, amore di sé. Cosa succede quando il primato di Dio viene negato o emarginato, è sotto gli occhi di tutti: l’irreligione scatena l’egoismo e produce il narcisismo. Sì, perché quando la cura di sé prende il posto del culto di Dio e dell’amore del prossimo, non stupisce che i giovani accusino identità deboli, senso di inadeguatezza, scarsa autostima, poca forza d’animo nel prendere decisioni di vita e nell’affrontare i conflitti. La sapienza di Dio parla chiaro: primo, non si possono amare le creature come si ama il Creatore, perché questo sarebbe idolatrico, illusorio e schiacciante; secondo: amare è propriamente dare la vita ad altri, non ripiegarsi su di sé; terzo, c’è una misura nel rapporto fra amore di sé e dell’altro, perché altrimenti non si evitano le opposte tentazioni del dominio e della dipendenza, della manipolazione e del risentimento.

Che cos’è dunque l’amore secondo la fede? Ecco i tratti irrinunciabili.

1. L’amore è dono e comandamento. Segnati dal limite e dal peccato, noi non siamo nella condizione di definire l’amore e di stabilirne le esigenze. «Dio è Amore»: è Lui a dire cos’è l’amore, è Lui che ci rende capaci di amare, è Lui che ci giudicherà sull’amore!

2. L’amore è gratuità, reciprocità e fecondità. Lo è sempre e ovunque, in cielo e sulla terra. Infatti, poiché l’uomo è creato ad immagine di Dio, «al Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Esso diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo, e viceversa, il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano» (DC 11). Non si può perciò ridurre l’amore ad attaccamento o sentimento, né si può conoscere l’amore separandolo dalle prime forme della prossimità: l’amore fra sposo e sposa, genitori e figli, fratelli e sorelle. Gli affetti familiari sono legami sacri non meno che naturali: si fondano nell’amore di Dio e all’amore di Dio rimandano.

3. L’amore è dono di sé e accoglienza dell’altro. Esso è scambievole, ma non risponde alla logica dello scambio: diventa reciproco solo se osa essere gratuito, si fa bilaterale solo se ha il coraggio di essere unilaterale: «non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici»!

4. L’amore è affetto e servizio. L’amore va al di là dei diritti e dei doveri, include e supera la giustizia, ha il suo apice nella misericordia. Se l’amore non si fa servizio, prevale l’amor proprio e il limite dell’altro, le proprie ragioni e i torti altrui. Nell’Ultima Cena, Gesù ci ha chiamato amici e si è fatto servo, ci ha mostrato che nell’amore il potere si manifesta nel servizio!

5. L’amore richiede umiltà e sacrificio. Chi è pieno di sé, non fa spazio all’altro, e chi vuole solo star bene non sa farsi carico di altri. Senza umiltà, i doni di Dio non trovano dimora, e senza disponibilità al sacrificio la testimonianza del Vangelo non ha efficacia. Perciò, dice Gesù, «chi mi vuole seguire, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la propria croce e mi segua»!

6. L’amore è povero, casto e obbediente. Così era l’amore di Gesù e di Maria. I consigli evangelici non si aggiungono all’amore, gli appartengono, lo qualificano: non si può amare dove c’è avidità nel rapporto con le cose, cupidigia negli affetti, superbia nell’esercizio della libertà!

7. L’amore è gioia e pace, che non a caso sono i primi due frutti dello Spirito, il quale è l’Amore di Dio in persona, il riflesso della Sua presenza nel cuore e sul volto dell’uomo. Gioia e pace sono allora il frutto e il termometro dell’amore: dove mancano o scarseggiano, c’è poco amore, o è molto imperfetto; dove crescono e abbondano, lì l’amore di Dio diventa perfetto!

 

 

don Roberto Carelli

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