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La chiamata al lavoro. Un cardine per la vita e la speranza dei giovani

Chiamato alla santità e unto dallo Spirito, il cristiano impara a cogliere in ottica vocazionale tutte le scelte dell’esistenza, anzitutto quella centrale dello stato di vita, ma anche quelle di carattere professionale.


La chiamata al lavoro. Un cardine per la vita e la speranza dei giovani

di don Rossano Sala, notedipastoralegiovanile.it


NPG è molto felice di chiudere l’anno 2019 offrendo ai lettori un qualificato Dossier sul lavoro nella vita dei giovani. Perché di questo si è parlato molto durante tutto il cammino sinodale e non si può prendere sul serio la pastorale giovanile senza mettere in atto una seria riflessione sociale e pastorale su questo tema.
Tanto per incominciare con qualche numero, ci basti dire che nel Documento preparatorio si cita il lavoro più di una decina di volte; nell’Instrumentum laboris ci sono una cinquantina di ricorrenze del termine; nel Documento finale del Sinodo più di venti volte si parla di questo e in Christus vivit sono presenti più di una trentina di occorrenze del termine. Solo partendo da questi dati testuali siamo incoraggiati a riconoscere la centralità del binomio “giovani e lavoro”. Dobbiamo quindi convenire con i Padri sinodali radunati dal 3 al 28 ottobre 2018, quando dicono:

Consapevole che “il lavoro costituisce una dimensione fondamentale dell’esistenza dell’uomo sulla terra” (SAN GIOVANNI PAOLO II, Laborem exercens, n. 4) e che la sua mancanza è umiliante per molti giovani, il Sinodo raccomanda alle Chiese locali di favorire e accompagnare l’inserimento dei giovani in questo mondo, anche attraverso il sostegno di iniziative di imprenditoria giovanile. Esperienze in questo senso sono diffuse in molte Chiese locali e vanno sostenute e potenziate (Documento finale, 152).

 

Questa affermazione già rende conto con ampiezza della necessità e dell’urgenza di una riflessione sociale e pastorale sul rapporto tra le giovani generazioni e il lavoro. Ma andiamo con ordine perché il processo sinodale ha segnato uno sviluppo di questo tema – come anche di molti altri – e quindi la prima operazione da mettere in campo è un attento ascolto di un cammino che abbiamo percorso insieme.

 

Il Documento preparatorio fin dalla prima pagina, di fronte al riconoscimento della crescita dell’incertezza a livello globale, che porta conseguenze in ogni direzione, esemplifica prima di tutto facendo riferimento al fenomeno del lavoro e alle sue fragilità epocali:

La crescita dell’incertezza incide sulla condizione di vulnerabilità, cioè la combinazione di malessere sociale e difficoltà economica, e sui vissuti di insicurezza di larghe fasce della popolazione. Rispetto al mondo del lavoro, possiamo pensare ai fenomeni della disoccupazione, dell’aumento della flessibilità e dello sfruttamento soprattutto minorile, oppure all’insieme di cause politiche, economiche, sociali e persino ambientali che spiegano l’aumento esponenziale del numero di rifugiati e migranti. A fronte di pochi privilegiati che possono usufruire delle opportunità offerte dai processi di globalizzazione economica, molti vivono in situazione di vulnerabilità e di insicurezza, il che ha impatto sui loro itinerari di vita e sulle loro scelte (I,1).

 

Consapevole delle sfide non facili da affrontare, è citato uno dei grandi fenomeni della nostra epoca a livello globale, quello dei NEET, che sono generati da ambienti sociali privi di stimoli per la vita e per la crescita: «Ciò può portare alla rinuncia o alla fatica a desiderare, sognare e progettare, come dimostra il diffondersi del fenomeno dei NEET (not in education, employment or training, cioè giovani non impegnati in un’attività di studio né di lavoro né di formazione professionale)» (Documento preparatorio, I,2; cfr. anche Documento finale, n. 19). Di fronte alle scelte, l’insicurezza lavorativa segna la fatica di giungere alla stabilità, perché la capacità di scegliere dei giovani è ostacolata da difficoltà legate alla condizione di precarietà: la fatica a trovare lavoro o la sua drammatica mancanza; gli ostacoli nel costruirsi un’autonomia economica; l’impossibilità di stabilizzare il proprio percorso professionale. Per le giovani donne questi ostacoli sono normalmente ancora più ardui da superare (Documento preparatorio I,3).

 

Fin dall’inizio questa carenza, fragilità e insicurezza non sono viste solo come pura negatività, ma anche come occasione per riconciliarsi con la contingenza della vita attraverso una visione di fede capace di cogliere, attraverso la quotidianità dell’esistenza, la presenza e l’azione di Dio nella storia degli uomini:

Diventare adulti significa imparare a gestire in autonomia dimensioni della vita che sono al tempo stesso fondamentali e quotidiane: l’utilizzo del tempo e dei soldi, lo stile di vita e di consumo, lo studio e il tempo libero, l’abbigliamento e il cibo, la vita affettiva e la sessualità. Questo apprendimento, con cui i giovani sono inevitabilmente alle prese, è l’occasione per mettere ordine nella propria vita e nelle proprie priorità, sperimentando percorsi di scelta che possono diventare una palestra di discernimento e consolidare il proprio orientamento in vista delle decisioni più importanti: la fede, quanto più è autentica, tanto più interpella la vita quotidiana e se ne lascia interpellare. Una menzione particolare va alle esperienze, spesso difficili o problematiche, della vita lavorativa o a quelle di mancanza di lavoro: anch’esse sono occasione per cogliere o approfondire la propria vocazione (Documento preparatorio, III,3).

 

E arriviamo così al documento sinodale di gran lunga più ricco in materia di lavoro, cioè all’Instrumentum laboris, che raccoglie in sintesi l’ascolto delle Chiese particolari e soprattutto ci consegna la parola dei giovani. Al centro della riflessione, mi pare, c’è l’invito a interpretare in termini vocazionali il lavoro umano attraverso un vero e proprio “discernimento professionale”:

Chiamato alla santità e unto dallo Spirito, il cristiano impara a cogliere in ottica vocazionale tutte le scelte dell’esistenza, anzitutto quella centrale dello stato di vita, ma anche quelle di carattere professionale. Per questo motivo alcune Conferenza Episcopali si augurano che il Sinodo possa trovare le vie per aiutare tutti i cristiani a riscoprire il legame tra professione e vocazione in tutta la sua fecondità per la vita di ognuno e in vista dell’orientamento professionale dei giovani in ottica vocazionale (Instrumentum laboris, 104).

 

Tale prospettiva verrà poi ripresa in forma autorevole nel capitolo VIII dell’Esortazione Apostolica postsinodale Christus vivit, che proprio nel capitolo dedicato alla vocazione mette a fuoco la questione del lavoro (cfr. nn. 268-273). Interessante però, nell’Instrumentum laboris, partire dai dati a livello mondiale raccolti dal Questionario on line a cui hanno risposto circa 220.000 giovani: «I giovani che hanno risposto al Questionario on line dichiarano che avere un lavoro stabile è fondamentale (82,7%), perché comporta stabilità economica e relazionale, e possibilità di realizzazione personale (89,7%). Il lavoro è il mezzo necessario, anche se non sufficiente, per realizzare il proprio progetto di vita, come avere una famiglia (80,4%) e dei figli» (Instrumentum laboris, n. 22). Dando voce alle situazioni concrete fotografate nelle diversità continentali, unite alla voce interpretante dei giovani, così ci si esprime:

Le preoccupazioni sono maggiori dove la disoccupazione giovanile è particolarmente elevata. Nei contesti più poveri, il lavoro acquista anche un significato di riscatto sociale, mentre la sua mancanza è tra le principali cause dell’emigrazione all’estero. In particolare in Asia i giovani crescono misurandosi con una cultura del successo e del prestigio sociale e con un’etica del lavoro che permea le aspettative dei genitori e struttura il sistema scolastico, generando un clima di grande competizione, un orientamento fortemente selettivo e carichi di lavoro molto intensi e stressanti. I giovani – afferma la Riunione presinodale – restano convinti della necessità di «affermare la dignità intrinseca del lavoro» (Riunione presinodale, 3), ma segnalano anche la fatica di coltivare la speranza e i sogni in condizioni socioeconomiche di estrema durezza, che generano paura (cfr. Riunione presinodale, 3). Andrebbe indagato meglio – segnalano alcune Conferenze Episcopali – anche il rapporto tra vocazione e professione e la diversa “intensità vocazionale” delle varie professioni (Instrumentum laboris, 23)..

 

Il punto più intenso dell’intero Instrumentum laboris circa il tema del lavoro è l’inizio del capitolo terzo della I parte: questo capitolo è intitolato “Nella cultura dello scarto” e incomincia esattamente denunciando in modo drammatico la situazione del lavoro in ambito giovanile. Conviene risentire il testo dei numeri 43 e 44 dell’Instrumentum laboris per intero, data la sua attualità e importanza per tutti noi impegnati nella pastorale dei giovani:

Come evidenziano le Conferenze Episcopali, sono molti i Paesi in cui la disoccupazione giovanile raggiunge livelli che non è esagerato definire drammatici. La conseguenza più grave non è di tipo economico, perché spesso le famiglie, i sistemi di welfare o le istituzioni caritative riescono a sopperire in qualche modo ai bisogni materiali dei disoccupati. Il vero problema è che «il giovane che è senza lavoro ha l’utopia anestetizzata, o è sul punto di perderla» (FRANCESCO, Discorso ai membri della Pontificia Commissione per l’America Latina, 28 febbraio 2014). I giovani della Riunione presinodale si sono espressi con straordinaria consonanza: «A volte, finiamo per rinunciare ai nostri sogni. Abbiamo troppa paura, e alcuni di noi hanno smesso di sognare. Ciò è legato alle molteplici pressioni socio-economiche che possono inaridire la speranza tra i giovani. A volte non abbiamo neanche più l’opportunità di continuare a sognare» (Riunione presinodale, 3).
Un effetto simile lo hanno tutte quelle situazioni in cui le persone, giovani compresi, sono costrette dalla necessità ad accettare un lavoro che non rispetta la loro dignità: è il caso del lavoro nero e informale – spesso sinonimo di sfruttamento –, della tratta di persone e delle tante forme di lavoro forzato e di schiavitù che interessano milioni di persone nel mondo. Così come tanti nel mondo, i giovani della RP hanno espresso preoccupazione nei confronti di un progresso tecnologico che minaccia di rivelarsi nemico del lavoro e dei lavoratori: «L’avvento dell’intelligenza artificiale e di nuove tecnologie come la robotica e l’automazione mette a repentaglio le prospettive occupazionali di intere categorie di lavoratori. La tecnologia può essere nociva alla dignità umana se non è adoperata con coscienza e prudenza e se la stessa dignità umana non è al centro del suo utilizzo» (Riunione presinodale 4).

 

Rinunciare ai propri sogni e smettere di sognare: c’è di peggio per un giovane che si affaccia alla vita? Non sta proprio nella capacità di sognare il cuore della giovinezza? Si può ancora partecipare dell’essenza della giovinezza se si perde questa attitudine al sogno, alla visione e alla profezia? Come si può essere giovani senza un immaginario positivo costituito da speranze vive e aperture creative?
Il capitolo successivo dell’Instrumentum laboris va alla conseguenza più grave di questo disagio epocale: la cultura dell’indecisione e l’incapacità di progettare, la paura della vita sociale e la chiusura nel privato. Anziché criticare le giovani generazioni per le loro indecisioni esistenziali, dovremmo seriamente riflettere su come oggi sia per molti versi impossibile progettare la propria esistenza con lungimiranza. In questo senso i giovani non vanno colpevolizzati per la loro fragilità sistemica, ma va riconosciuto che in un mondo sempre più fluido vengono meno le condizioni fondamentali di progettazione dell’esistenza. Effettivamente, se ci pensiamo bene, viviamo ormai immersi in una “cultura dell’indecisione”, che considera impossibile o addirittura insensata una scelta per la vita. In un mondo dove le opportunità e le proposte aumentano esponenzialmente diviene spontaneo reagire con scelte sempre reversibili, anche se questo comporta una continua mortificazione del desiderio. Il processo del discernimento vocazionale, lungo l’asse segnato dalle tappe “riconoscere, interpretare, scegliere” si arena spesso proprio nel momento della scelta e della sua attuazione. Talora si vorrebbero sicurezze esterne, che non richiedono la fatica di camminare nella fede, consegnandosi alla Parola; altre volte prevale la paura di abbandonare le proprie convinzioni per aprirsi alle sorprese di Dio (Instrumentum laboris, n. 61).

 

Anche qui, come contesto paradigmatico e sostanziale che rende normale l’indecisione sistemica, viene portato il mondo del lavoro, perché proprio «l’insicurezza delle condizioni lavorative e il precariato sociale bloccano ogni progettualità di medio-lungo periodo. Alcune Conferenze Episcopali, soprattutto nel mondo occidentale, affermano che è assai difficile per i giovani concretizzare un progetto matrimoniale senza mettere a rischio l’autosufficienza economica» (Instrumentum laboris, n. 62).
Nella parte più propositiva dell’Instrumentum laboris, quella dedicata alle scelte, sono state raccolte alcune indicazioni più ripetute e condivise arrivate dalle varie fonti interpellate nella fase di ascolto. A proposito dell’economia, del lavoro e della cura della casa comune i nn. 152-155 riprendono alcuni temi importanti: la necessaria ricerca di nuovi modelli di sviluppo, più attenti alla sostenibilità integrale, che vanno accompagnati con lo sviluppo di una spiritualità specifica che punta sull’essenzialità e la semplicità; la grande sfida dell’innovazione tecnologica – la cosiddetta “Industria 4.0” – dove gli stessi giovani sono chiamati ad offrire «importanti contributi all’umanizzazione del mondo del lavoro: stile collaborativo, cultura del rispetto delle differenze e della loro inclusione, capacità di lavoro di squadra, armonizzazione tra impegno lavorativo e altre dimensioni della vita» (cfr. Instrumentum laboris, n. 154); infine l’impegno sociale ed ecclesiale per creare un’occupazione dignitosa per tutti, non dimenticando l’azione in prima linea della Chiesa non solo verso gli altri attori sociali, ma prima di tutto con una coraggiosa e profetica testimonianza in questo campo:

Come è emerso da alcune osservazioni ricevute, in alcuni Paesi si chiede di individuare forme attraverso cui la Chiesa possa partecipare a questa ricerca con i suoi patrimoni fondiari, immobiliari e artistici, in modo da valorizzarli con iniziative e progetti imprenditoriali di giovani, e renderli così “generativi” in termini sociali, al di là del semplice ritorno economico (cfr. Instrumentum laboris, n. 155).

 

Durante l’Assemblea sinodale dell’ottobre del 2018 sono stati parecchi i Padri sinodali che hanno denunciato gli aspetti problematici del lavoro nel loro Paese e nel loro contesto. Tale situazione è una delle ragioni, insieme alla mancanza di pace, che spingono i giovani alla ricerca di una vita migliore attraverso la migrazione. Anche qui il lavoro si ritrova citato come primo elemento tra le varie “forme di vulnerabilità” (cfr. Documento finale, nn. 40-44). Riprendendo i grandi temi esposti nell’Instrumentum laboris, si sottolinea che Il mondo del lavoro resta un ambito in cui i giovani esprimono la loro creatività e la capacità di innovare. Al tempo stesso sperimentano forme di esclusione ed emarginazione. La prima e più grave è la disoccupazione giovanile, che in alcuni Paesi raggiunge livelli esorbitanti. Oltre a renderli poveri, la mancanza di lavoro recide nei giovani la capacità di sognare e di sperare e li priva della possibilità di dare un contributo allo sviluppo della società. In molti Paesi questa situazione dipende dal fatto che alcune fasce di popolazione giovanile sono sprovviste di adeguate capacità professionali, anche a causa dei deficit del sistema educativo e formativo. Spesso la precarietà occupazionale che affligge i giovani risponde agli interessi economici che sfruttano il lavoro (Documento finale, n. 40).

 

Viene poi ripresa anche la lettura vocazionale della propria professione civile e sociale, confermando la necessità di vivere l’esperienza del lavoro umano non meramente in ottica strumentale, ma in forma autenticamente vocazionale, ovvero come partecipazione all’opera di Dio:

Per molti giovani l’orientamento professionale è vissuto in un orizzonte vocazionale. Non di rado si rifiutano proposte di lavoro allettanti non in linea con i valori cristiani, e la scelta dei percorsi formativi viene fatta domandandosi come far fruttificare i talenti personali a servizio del Regno di Dio. Il lavoro è per molti occasione per riconoscere e valorizzare i doni ricevuti: in tal modo gli uomini e le donne partecipano attivamente al mistero trinitario della creazione, redenzione e santificazione (Documento finale, n. 86).

 

Proprio in quest’ottica si muove Christus vivit. Oltre a riprendere in vari momenti il tema del lavoro secondo i vari accenti emersi durante il cammino sinodale, la scelta del Santo Padre sta nello sviluppo del lavoro in termini vocazionali. È infatti proprio nel capitolo VIII, quello dedicato al tema vocazionale, che viene trattato con attenzione il tema del lavoro. Lo schema generale di questo capitolo parte dalla chiamata all’amicizia con Gesù, base comune di tutte le vocazioni (nn. 250-252) ed esplicita con forza che ogni vocazione è sempre legata al servizio nei confronti degli altri (nn. 253-258). Riconoscendo in questi due elementi la radice e il tronco di ogni vocazione, papa Francesco afferma:

Questo “essere per gli altri” nella vita di ogni giovane è normalmente collegato a due questioni fondamentali: la formazione di una nuova famiglia e il lavoro. I diversi sondaggi effettuati tra i giovani confermano ancora una volta che questi sono i due grandi temi per cui nutrono desideri e preoccupazioni. Entrambi devono essere oggetto di uno speciale discernimento. Soffermiamoci brevemente su di essi (Christus vivit, n. 258).

 

Mi sembra di grande interesse la scelta ad affrontare la questione del lavoro, oltre a quella della famiglia, in ottica vocazionale. Ritengo che sia davvero il contesto più adeguato per coglierne la verità profonda e uscire da una strumentalità del lavoro che rischia di essere alienante. Già il fatto di parlare del lavoro in un contesto vocazionale significa offrire elementi per il suo riscatto e per la comprensione della sua dignità profonda, in quanto chiamata di Dio alla comunione, condivisione e corresponsabilità con Lui per l’avvento del suo regno di pace, di giustizia e di fraternità.
A questo punto non ci resta che concludere riascoltando con attenzione i numeri 268-273 di Christus vivit che, ne sono convinto, rimangono la migliore premessa allo studio del Dossier che segue, realizzato sotto la sapiente regia di don Bruno Bignami, Direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Conferenza Episcopale Italiana, a cui va il nostro sentito ringraziamento:

I Vescovi degli Stati Uniti d’America hanno rilevato con chiarezza che la gioventù, una volta raggiunta la maggior età, “segna spesso l’ingresso di una persona nel mondo del lavoro. ‘Cosa fai per vivere?’ è un argomento costante di conversazione, perché il lavoro è una parte molto importante della loro vita. Per i giovani adulti, questa esperienza è molto fluida perché passano da un lavoro all’altro e anche da una carriera all’altra. Il lavoro può definire l’uso del tempo e può determinare cosa possono fare o acquistare. Può anche determinare la qualità e la quantità del tempo libero. Il lavoro definisce e influenza l’identità e il concetto di sé di un giovane adulto ed è un luogo fondamentale dove si sviluppano le amicizie e altre relazioni, perché di solito non si lavora da soli. I giovani, uomini e donne, parlano del lavoro come adempimento di una funzione e come qualcosa che fornisce un significato. Permette ai giovani adulti di soddisfare le loro necessità pratiche, nonché – cosa ancora più importante – di cercare il senso e la realizzazione dei loro sogni e delle loro visioni. Anche se il lavoro potrebbe non aiutarli a realizzare i loro sogni, è importante per i giovani-adulti coltivare una visione, imparare a lavorare in un modo veramente personale e soddisfacente per la loro vita, e continuare a discernere la chiamata di Dio”.
Invito i giovani a non aspettarsi di vivere senza lavorare, dipendendo dall’aiuto degli altri. Questo non va bene, perché “il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale. In questo senso, aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze”. Ne consegue che “la spiritualità cristiana, insieme con lo stupore contemplativo per le creature che troviamo in san Francesco d’Assisi, ha sviluppato anche una ricca e sana comprensione del lavoro, come possiamo riscontrare, per esempio, nella vita del beato Charles de Foucauld e dei suoi discepoli”.
Il Sinodo ha sottolineato che il mondo del lavoro è un ambito in cui i giovani “sperimentano forme di esclusione ed emarginazione. La prima e più grave è la disoccupazione giovanile, che in alcuni Paesi raggiunge livelli esorbitanti. Oltre a renderli poveri, la mancanza di lavoro recide nei giovani la capacità di sognare e di sperare e li priva della possibilità di dare un contributo allo sviluppo della società. In molti Paesi questa situazione dipende dal fatto che alcune fasce di popolazione giovanile sono sprovviste di adeguate capacità professionali, anche a causa dei deficit del sistema educativo e formativo. Spesso la precarietà occupazionale che affligge i giovani risponde agli interessi economici che sfruttano il lavoro”.
È una questione molto delicata che la politica deve considerare come una problematica prioritaria, in particolare oggi che la velocità degli sviluppi tecnologici, insieme all’ossessione per la riduzione del costo del lavoro, può portare rapidamente a sostituire innumerevoli posti di lavoro con macchinari. Si tratta di una questione fondamentale della società, perché il lavoro per un giovane non è semplicemente un’attività finalizzata a produrre un reddito. È un’espressione della dignità umana, è un cammino di maturazione e di inserimento sociale, è uno stimolo costante a crescere in termini di responsabilità e di creatività, è una protezione contro la tendenza all’individualismo e alla comodità, ed è anche dar gloria a Dio attraverso lo sviluppo delle proprie capacità.

 

Non sempre un giovane ha la possibilità di decidere a che cosa dedicare i suoi sforzi, per quali compiti spendere le sue energie e la sua capacità di innovazione. Perché, al di là dei propri desideri e molto al di là delle proprie capacità e del discernimento che una persona può maturare, ci sono i duri limiti della realtà. È vero che non puoi vivere senza lavorare e che a volte dovrai accettare quello che trovi, ma non rinunciare mai ai tuoi sogni, non seppellire mai definitivamente una vocazione, non darti mai per vinto. Continua sempre a cercare, come minimo, modalità parziali o imperfette di vivere ciò che nel tuo discernimento riconosci come un’autentica vocazione.
Quando uno scopre che Dio lo chiama a qualcosa, che è fatto per questo – può essere l’infermieristica, la falegnameria, la comunicazione, l’ingegneria, l’insegnamento, l’arte o qualsiasi altro lavoro – allora sarà capace di far sbocciare le sue migliori capacità di sacrificio, generosità e dedizione. Sapere che non si fanno le cose tanto per farle, ma con un significato, come risposta a una chiamata che risuona nel più profondo del proprio essere per dare qualcosa agli altri, fa sì che queste attività offrano al proprio cuore un’esperienza speciale di pienezza. Questo è ciò che diceva l’antico libro biblico del Qoèlet: “Mi sono accorto che nulla c’è di meglio per l’uomo che godere delle sue opere” (3,22).

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