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In Brasile non avevano capito che la Gmg è più importante dei mondiali

La Gmg è infatti il primo dei tre grandi eventi che nel giro di pochi anni proietterà il Brasile, il gigante sudamericano, al centro dell'attenzione mondiale, prima dei Mondiali di calcio del 2014 e delle Olimpiadi del 2016.


In Brasile non avevano capito che la Gmg è più importante dei mondiali

 

Mancano ormai meno di sei mesi alla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro. L'evento è cruciale non solo per la Chiesa – in America Latina vivono praticamente la metà dei cattolici del mondo ma proprio lì la Chiesa deve affrontare la doppia concorrenza dei dinamici movimenti evangelici e della secolarizzazione che accompagna il crescente benessere della regione – ma anche per il Brasile: la Gmg è infatti il primo dei tre grandi eventi che nel giro di pochi anni proietterà il gigante sudamericano al centro dell'attenzione mondiale, prima dei Mondiali di calcio del 2014 e delle Olimpiadi del 2016.

Abbiamo fatto il punto della situazione con il cardinale brasiliano Joao Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.

 

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Eminenza, Rio e il Brasile sono pronti per la Gmg?

 

“Dal punto di vista delle strutture le cose vanno molto bene. All'inizio, le autorità, soprattutto quelle di Rio, avevano la testa rivolta soprattutto alla Coppa del Mondo e alle Olimpiadi, e non avevano capito le dimensioni di questo evento. Se i Mondiali di calcio porteranno 300-500mila persone, la Gmg ne porterà un milione e mezzo o due milioni. All'inizio, non capivano perché parlassimo di questi numeri. 'Avete visto quello che è successo a Madrid?', gli rispondevamo. Ora questo problema è risolto”.

 

Ma la lista delle cose da fare è ancora lunga...

 

“Certo. Ad esempio, c'è un unico tunnel che collega una parte della città all'altra. Come si farà se gli eventi sono distanti? Inoltre, alcuni dei luoghi dove è prevista la presenza del papa sono molto lontani... Però c'è la consapevolezza dei problemi e un lavoro pratico e concreto per risolverli. Bisogna dire che le autorità sono veramente bravissime. E c'è grande coordinazione tra Roma e Rio per l'organizzazione”.

 

Per partecipare alla Gmg di Rio, papa Ratzinger ha messo in calendario il suo – per ora – unico viaggio all'estero del 2013. Come lo accoglierà l'America Latina?

 

“Con gli anni, la Gmg è diventata un evento di grande peso per la Chiesa. In America Latina, specialmente, ha un'eco molto grande, perché nei Paesi del Continente c'è ancora una presenza molto forte dei giovani e un'apertura molto forte alla ricerca del senso della vita. La presenza del papa è un'opportunità splendida per questa identità”.

 

Il primo viaggio di Benedetto XVI, nel 2007, non è stato considerato particolarmente un successo...

 

“Io a san Paolo c'ero. All'inizio si pensava 'questo papa è più teologo, è un papa di studio, non ci sarà un rapporto col popolo'. Ma quando il papa si è affacciato ha fatto cambiare questa concezione. È stato un avvenimento per tutto il Continente, l'intesa c'è stata. I dubbi che forse c'erano da parte di qualcuno, perché questo papa è molto diverso da Giovanni Paolo II, sono passati”.

 

La Gmg vedrà anche il coinvolgimento delle Comunità Ecclesiali di Base, legate a quella della Teologia della Liberazione di cui anche lei ha riconosciuto il valore. Cosa significherà?

 

"Nella Chiesa brasiliana vediamo che il problema dell'estrema povertà continua, anche se le dimensioni del fenomeno cominciano a ridursi. Ma con gli anni si è capito che è una questione che non va affrontata in maniera ideologica. La presenza delle Comunità Ecclesiali di Base è stata riconosciuta dalla Chiesa. Solo si vuole che non siano di taglio ideologico e sociologico, ma che cerchino la soluzione dei problemi sociali in una prospettiva di fede. Questo sarà un punto su cui credo che il papa insisterà. Viviamo una situazione diversa da quella degli anni '70 e '80...”

 

Anche un suo 'collega' di Curia, l'arcivescovo Gerhard Ludwig Mueller, ha avuto contatti con la Teologia della Liberazione. Ne avete parlato?

 

“Nella mia storia, la Teologia della Liberazione ha portato la scoperta del problema della povertà, e del fatto che ha a che fare con la fede. Però per me l'esperienza fondante è stata quella con il Focolare, che mi ha dato una risposta più profonda nella fede, senza dimenticare i problemi. Penso che anche monsignor Mueller abbia un approccio che parte dall'opzione preferenziale per i poveri, che è fondamentale per il Vangelo. Senza di essa, non si può pensare a una salvezza possibile. Non c'è un rapporto con Dio senza un impegno sociale profondo, e dobbiamo trovare nell'esperienza di fede la forza di portare avanti questo impegno”.

 

Il prossimo 2 febbraio la Chiesa celebra la Giornata della vita consacrata. Eppure le vocazioni alla vita religiosa continuano a declinare. Che cosa devono fare quegli ordini, magari con tradizioni secolari, che si ritrovano con grandi strutture e pochissimi membri giovani per gestirle?

 

“Noi diciamo loro che limitarsi ad amministrare l'esistente non è la scelta migliore, e che forse bisogna lasciare delle opere e concentrare le persone sul proprio carisma. Chi ha degli ospedali e non riesce più a tenerli in piedi, forse potrebbe cederne la metà a chi è in posizione migliore. I monaci devono tornare veramente alla vita monastica. Quello che non è sincero non serve, ma questo è un elemento di forza della situazione attuale: forse saremo di meno, ma vivremo in modo più autentico, e nell'autenticità le cose rinascono”.

 

A che punto è la visitazione delle suore statunitense affidata al suo dicastero?

 

“Noi abbiamo lasciato le porte aperte al dialogo ma, almeno per quel che riguarda la Leadership Conference of Religious Women, non abbiamo più alcuna responsabilità. È l'arcivescovo di Seattle, commissario pontificio, che deve rivedere insieme a loro gli statuti. Per quel che riguarda la nostra visitazione, che riguarda la vita religiosa femminile negli Usa in generale, il rapporto è quasi pronto. Sarà il Santo Padre a decidere cosa farne. Per parte mia posso dire che contiene anche delle proposte, e fa una grande sintesi di un immenso lavoro di ricerca, frutto di più di 400 relazioni”.

 

 

Alessandro Speciale

http://vaticaninsider.lastampa.it

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