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Il voto per la Palestina all'Onu, le minacce di Israele

Fra tre giorni l'Assemblea generale dell'Onu voterà per il riconoscimento della Palestina come Stato non-membro. Nell'attesa, diplomatici palestinesi cercano nuovi appoggi per assicurarsi la vittoria, ma anche Israele ha messo in atto un'offensiva diplomatica...


Il voto per la Palestina all'Onu, le minacce di Israele

 

Il 29 novembre l'Assemblea generale delle Nazioni Unite voterà per ammettere la Palestina come Stato non-membro. Diplomatici palestinesi sperano in una "piacevole sorpresa", fiduciosi che almeno 150 Stati su 193 voteranno a favore. Qualche dubbio su alcuni Paesi europei. Israele ha lanciato un'offensiva diplomatica per fare pressioni su governi e presidenti nel mondo e contrastare la mossa palestinese. Si teme che dopo il voto all'Onu la Palestina chieda di entrare anche nella Corte internazionale dell'Aia, mettendo sotto accusa i crimini di guerra e le colonie israeliane illegali. Per Avigdor Lieberman è "una dichiarazione di guerra".

Fra tre giorni l'Assemblea generale dell'Onu voterà per il riconoscimento della Palestina come Stato non-membro. Nell'attesa, diplomatici palestinesi cercano nuovi appoggi per assicurarsi la vittoria, ma anche Israele ha messo in atto una offensiva diplomatica per fermare questo passo visto da alcuni suoi politici come "una dichiarazione di guerra". 

Il voto all'Onu è previsto per il 29 novembre, anniversario dell'accettazione del Piano di partizione del 1947, che  prevedeva uno stato arabo e un stato ebraico, ma quello arabo non fu mai creato. Il 29 è anche la Giornata internazionale dell'Onu in solidarietà con il popolo palestinese.

Il tentativo di entrare nell'Onu come Stato non-membro segue un altro tentativo, che l'Autorità palestinese ha compiuto lo scorso anno, di far riconoscere la Palestina come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite.  Quest'ultimo passo è fallito per la minaccia di veto degli Stati Uniti e l'astensione di alcuni Paesi europei al Consiglio di sicurezza.

Le votazioni dell'Assemblea non sono soggette al veto dei membri del Consiglio di sicurezza. Per questo, l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), pensa che il 29 novembre vi saranno "piacevoli sorprese". Essa si attende il sostegno di almeno 150 Stati su 193. Gli Stati Uniti hanno cercato di ritardare l'appuntamento ed è molto probabile che la Germania si astenga. Il timore dell'Olp è che Paesi europei e Stati Uniti usino la loro influenza economica per convincere altri Stati a togliere il loro sostegno.

Ad oggi, secondo fonti palestinesi, almeno sette rappresentanti dell'Unione europea hanno detto che voteranno a favore della Palestina come non-membro; altri cinque Paesi europei avevano già espresso il loro sostegno, fra cui Bielorussia e Ucraina, la Francia ha indicato che sicuramente voterà in favore.  

Lo scorso 22 novembre, il parlamento europeo ha approvato una risoluzione su Gaza, in cui fra l'altro si afferma che il parlamento "sostiene,... la domanda presentata dalla Palestina per diventare uno Stato osservatore non membro delle Nazioni Unite". La risoluzione lascia però spazio a scelte diverse.

"Chiunque non voti a favore - ha detto un diplomatico palestinese - è un codardo o un immorale". Anche perché "un voto contro sarebbe un segnale per il popolo palestinese che solo la lotta armata può portare a qualche risultato, mentre la pressione diplomatica è destinata al fallimento".

Il riferimento è alla tregua firmata fra Hamas e Israele dopo gli scontri della scorsa settimana, da molti vista come una vittoria di Hamas e un'umiliazione per Mahmoud Abbas, presidente dell'Autorità palestinese (Ap).

Che questa fosse uno degli scopi dell'operazione militare "Pilastro di difesa", a pochi giorni dal voto all'Onu, è dimostrato anche dalla grande offensiva diplomatica messa in atto dal ministro  israeliano degli esteri, Avigdor Lieberman nelle scorse settimane.

Secondo il giornale Haaretz, l'11 novembre, Lieberman, ha inviato messaggi a tutte le ambasciate di Israele nel mondo chiedendo loro di premere su ministeri degli esteri, gabinetti dei primi ministri, uffici della sicurezza nazionale e uffici presidenziali perché fermino l'iniziativa palestinese che potrebbe avere "enormi conseguenze".

Lieberman ha anche avuto tre giorni di incontri a Vienna con gli ambasciatori israeliani dei Paesi Ue, dove ha presentato alcune possibili decisioni come ritorsione ai passi dei palestinesi. Egli ha prospettato il blocco del versamento delle tasse, che Israele raccoglie a nome dell'Ap; la cancellazione degli accordi di Oslo [che prevede zone autonome nei Territori in vista di uno Stato palestinese]; l'annullamento dei permessi di lavoro in Israele per migliaia di palestinesi.

Il terrore di Israele viene dal fatto che un riconoscimento della Palestina come Stato non membro permetterebbe all'Ap di domandare l'entrata come membro nella Corte internazionale dell'Aia. In tal modo l'Ap potrebbe aprire contro Israele processi  per crimini di guerra (v. Gaza) o contro le costruzioni di colonie in territori occupati con la forza. Israele non è membro del Tribunale internazionale; ciò significa che ogni decisione di quest'ultimo non obbliga Israele. Ma una serie di processi contro Israele o personalità politiche israeliane potrebbe incrementare boicottaggi o veto sulle importazioni delle produzioni dalle colonie israeliane illegali.

Durante un incontro con il premier Benjamin Netanyahu, Lieberman ha detto che il solo avvicinarsi della Palestina alla Corte internazionale sarebbe "una dichiarazione di guerra" che merita una risposta ancora più dura dell'iniziativa palestinese all'Onu.

 

Chi ha vinto tra Israele e Hamas

Quattro giorni dopo l'inizio della tregua, i commentatori si chiedono a che cosa siano serviti gli attacchi e i lanci di missili.

25 novembre

Quattro giorni dopo la tregua che ha interrotto la settimana di attacchi tra Gaza e Israele, i principali media internazionali hanno interpellato analisti ed esperti per fare un bilancio: chi ha vinto questo scontro? Una delle due parti è riuscita a ottenere dei vantaggi politici o di altro tipo?

Il conflitto ha causato 6 morti e 219 feriti tra gli israeliani e 170 morti tra i palestinesi. Non si conosce il numero dei feriti e ci sono stime diverse su quanti fossero miliziani e quanti civili. Il cessate il fuoco entrato in vigore il 21 ha garantito la fine dei lanci di razzi su Israele in cambio di un allentamento dei controlli ai confini della Striscia. Da questi punti fermi, i principali media internazionali sono partiti per domandarsi chi abbia vinto la guerra.

Secondo la giornalista Paula Newton della CNN, quella di Israele è stata una «vittoria ridotta». Israele è riuscita a uccidere il capo della milizia di Hamas, Ahmed al-Jabaari, il primo giorno di guerra. Ha colpito le riserve di missili presenti nella Striscia e molte postazioni lancio. Il sistema antimissile Iron Dome si è dimostrato molto efficace nel difendere Israele dai missili più grandi e potenti, colpendo nel 85% dei casi e distruggendo più di 300 missili prima che colpissero il loro bersaglio.

In molti però ritengono che questa idea di “vittoria ridotta” vada ulteriormente ridimensionata. Elizabeth O’Bagy, dell’Institute for the Study of War, ha dichiarato alla CNN che l’assassinio di Jabaari è stato un errore da parte di Israele: «Porterà a una proliferazione dei gruppi estremisti a Gaza, minor controllo sui lanci di razzi e un aumento della violenza nei confronti di Israele». A Gaza, infatti, Hamas non è l’unico gruppo politico armato che dispone di una milizia in grado di attaccare Israele.

Jaabari controllava questi gruppi con il pugno di ferro, ha detto Jon Alterman del Center for Strategic and International Studies: «Nelle prigioni di Hamas erano imprigionate persone per aver sparato razzi al momento sbagliato e Jaabari era una di quelli che hanno contribuito a metterli dentro. Ora, quando qualcuno deciderà di sparare contro Israele, semplicemente sparerà contro Israele».

Un commento sul quotidiano israeliano Haaretz è più prudente e scrive che soltanto il tempo stabilirà se quella di Israele è stata una vittoria oppure una sconfitta. I due commentatori Amos Harel e Avi Issacharoff sottolineano che l’obiettivo dell’operazione Pillar of Cloud era interrompere il lancio di razzi dalla Striscia, quindi l’unico modo di misurarne il successo sarà vedere quanto durerà la tregua. A questo proposito bisogna infatti ricordare che anche prima dell’inizio delle ostilità il 14 novembre, sul territorio israeliano cadevano razzi almeno un paio di volte a settimana.

D’altro canto, i due opinionisti ammettono la difficoltà dell’impiego della forza contro gruppi che usano tattiche terroristiche o di guerriglia. In altre parole, davanti a un numero crescente di morti tra i civili che suscitavano forti pressioni internazionali, l’esercito israeliano non è riuscito a infliggere ad Hamas danni tali da impedirgli di proseguire la sua campagna di lanci missilistici sulle città israeliane. La fine dei lanci di razzi dalla Striscia, infatti, è stata raggiunta soltanto grazie ai negoziati.

In un altro articolo, Haaretz ha sottolineato anche che l’arma segreta, Iron Dome, celebrata da tutti, sia in realtà un sistema molto costoso, che potrebbe addirittura portare il paese alla bancarotta. A questo proposito, l’Economist ha sottolineato come a fronte di un costo medio per un razzo palestinese a corto raggio di circa 800 dollari, un solo missile intercettore sparato da Iron Dome costa 62 mila dollari.

Un’analisi di Gregg Carlstrom pubblicata da Al Jazeera, il network di informazione con sede in Qatar, dice che molti membri di Hamas parlano della guerra come di una chiara vittoria. Con il cessate il fuoco, Hamas ha ottenuto la promessa da parte di Israele ed Egitto di allentare il blocco intorno alla Striscia di Gaza, che è in vigore dal 2005, quando Hamas vinse le elezioni. Inoltre Hamas ha ottenuto un grosso appoggio e riconoscimento politico internazionale, grazie alle numerose visite di funzionari e politici arabi a Gaza durante i giorni del bombardamento.

Hamas e le altre milizie della Striscia sono anche riuscite a dimostrare che, nonostante la pesante offensiva israeliana, la loro capacità di colpire Israele è rimasta quasi intatta. L’ultimo giorno di guerra sono stati lanciati dalla Striscia 150 missili, decine solo nelle ultime ore prima della firma del cessate il fuoco. Un numero persino superiore al numero di lanci nei primi giorni di conflitto.

Ci sono anche altri commentatori secondo cui Hamas ha ottenuto diversi vantaggi. «Hamas è diventato più forte e ora ha una legittimazione politica maggiore», ha spiegato Aaron David Miller, uno studioso di Medio Oriente al Woodrow Wilson Center. Hamas avrebbe anche dimostrato un accresciuto potenziale militare in termini qualitativi: i nuovi missili acquistati dall’Iran sono stati in grado di arrivare vicino a Gerusalemme e Tel Aviv. Ma anche quantitativi: se durante le tre settimana di Cast Lead (piombo fuso), l’ultimo conflitto tra Gaza e Israele, furono sparati in tutto 765 tra razzi e colpi di mortaio contro Israele, durante una sola settimana di Pillar of Cloud ne sono stati lanciati più di 1.500.

Joshua Lapide, Davide Maria De Luca

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