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CRONISTORIA: Durante la convalescenza

Convalescenza significa riprendere forza ma anche acquistare valore. Quando si è stati ad un passo dalla morte, la vita non può più essere come prima. E’ bene ridefinire la rotta, rianimare i desideri, rendere più essenziali e radicali le scelte…perché si è scoperto che il tempo non è nostro e che va speso per il bene


CRONISTORIA: Durante la convalescenza 

 

 

Convalescenza significa riprendere forza ma anche acquistare valore. Quando si è stati ad un passo dalla morte, la vita non può più essere come prima. E’ bene ridefinire la rotta, rianimare i desideri, rendere più essenziali e radicali le scelte…perché si è scoperto che il tempo non è nostro e che va speso per il bene

 

 

1860-1861 — La convalescenza fu più lunga di quel che si sarebbe pensato, anche perché si andava verso l’inverno. Come pesava a Maria quel doversi alzare tardi al mattino e rinunziare, perciò, alla santa messa quotidiana e, molte volte, anche alla santa comunione, che erano tutte le sue dolcezze! Eppure così ordinava il medico; così voleva don Pestarino e così ella faceva, in attesa di poter prendere la rivincita. Né le pesavano meno i riguardi che la famiglia e le compagne procuravano di usarle, mentre avrebbe voluto trattarsi duramente ed essere dimenticata davvero da tutti. 

Non doveva lavorare perché le forze proprio non accennavano a tornare: e allora si diede alla lettura, senza timore di trascurare il suo dovere. 

Era morta nel gennaio del 1860 quella Rosina Pedemonte che era stata a cercar salute fino a Mornese: era morta da vera Figlia di santa Maria Immacolata e il suo direttore don Frassinetti ne aveva scritto una bella biografia, come già aveva fatto per Rosa Cordone, anch’essa Figlia di santa Maria Immacolata, e anch’essa morta come una santina. 

 

I due libretti erano la sua ordinaria lettura di quei giorni, la sua dolce compagnia, il suo conforto, i suoi maestri. Entrambe quelle figliole, giovani come lei e, su per giù, nella stessa sua condizione, avevano potuto salire a tale grado di virtù da stupire i buoni stessi e da meritare che un sacerdote, colto e occupato come don Frassinetti, ne dirigesse [pp. 93] lo spirito quando erano vive e, morte, ne scrivesse la vita. « Si sono fatte così buone osservando a puntino il regolamento delle Figlie di Maria Immacolata — si diceva Maria riposandosi dalla lettura. — Quelle sono andate subito in Paradiso, certo, a veder la Madonna. E io, se fossi morta di questa malattia, vi sarei andata subito? Oh, per me, chissà quanto, quanto purgatorio! Eppure... se loro hanno potuto farsi così buone e hanno fatto tanto bene al prossimo, specie fra le giovanette, in così pochi anni di vita e sempre malaticce com'erano, e più sacrificate di me per guadagnarsi il pane, perché io devo rimanere indietro? Non sono io pure Figlia di Maria? Non ho come loro gli stessi doveri, gli stessi aiuti? Anzi, io ne ho di più... quella buona Rosa Cordone era serva, poveretta, con tanto desiderio di farsi monaca! E ora è in Paradiso! Se io sono qui, voglio farmi santa anch’io: sia pure soltanto come monaca in casa. Oh, no, no: indietro non ci voglio rimanere. Quelle due, però, quanto bene hanno fatto agli altri... ». 

 

Godeva nel leggere che la Pia Unione di santa Maria Immacolata si andava divulgando, e già si era fondata in Chiavari e in Cremona: « Che bella corona di cuori si forma attorno alla Madonna! E pensare che tutto ciò è partito da Mornese, da un paesello nascosto e ignorato. Mornese onora Maria santissima e Maria santissima ci aiuta tutti ». 

 

E siccome ella non faceva più conto della vita se non per quanto può dare di gloria a Dio e di utilità spirituale al prossimo, rileggeva con attenzione, fino a saperlo a memoria l’opuscolo Industrie spirituali del can. Frassinetti per animarsi a divenire, anche lei, un’ape ingegnosa nel fare il bene, appena la salute le permettesse di muoversi, fuori di casa.

 

Non doveva lavorare e non poteva, ma chi avrebbe potuto fermare quell’attività sempre desta? A lei pareva già di concedersi molto a non andare mai in campagna, a trattenersi a lungo nella lettura dei suoi cari libri, a pregare senza l’assillo del tempo che fuggiva. Si dava tuttavia d’attorno ad aiutare la mamma nel cucire, nel riordinare la casa, nell’ammannire il pranzo; poi quando, stanca e sfinita, doveva lasciare che altri terminasse e vedeva sua madre guardarla [pp. 94] con timore angoscioso, usciva in un « Oh, bene, facciamo un po’ la signora! Ma vedrete, a primavera, come tornerò forte ! »; e rianimava tutti e forse anche se stessa, con la speranza del poi.

 

Intanto seguiva il suo sistema di mortificazione. Per obbligarla a un cibo sostanzioso, il medico le aveva ordinato di prendere ogni giorno il brodo di carne ed ella lo aveva fatto per qualche tempo; poi, sembrandole che potesse bastare ne aveva parlato con don Pestarino nella speranza che egli, amante della vita austera, le concedesse di rimettersi al vitto di famiglia. Il buon sacerdote, invece, le disse, secco secco, di stare alle prescrizioni del medico. Chinò la testa e obbedì, ma escogitò il modo di mortificarsi ugualmente: comperare poca carne e molte ossa, farle bollire e ribollire e così prendere tranquillamente il brodo di carne. Ma, in realtà, trangugiava una brodaglia utile più allo spirito che allo stomaco.

 

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