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Corsi di gender per gli insegnanti

Il decreto scuola 104/2013 obbligherà tutti gli insegnanti alla formazione. Anche sui temi del rispetto della diversità, delle pari opportunità di genere e del superamento degli stereotipi di genere. Il rischio di imporre i capisaldi della teoria del gender è elevatissima.


Corsi di gender per gli insegnanti

 

«La scuola riparte!». Ecco il titolo incoraggiante affibbiato al recente decreto scuola 104/2013. Approvato la settimana scorsa da Camera e Senato, questo provvedimento stabilisce l’obbligatorietà della formazione dei docenti per la cui attuazione è previsto uno stanziamento di 10 milioni di euro. Nonostante le rispettabili premesse, la lettera “d” del comma 1 dell’articolo 16 del decreto ha sollevato numerose perplessità e polemiche. Secondo quanto previsto, infatti, gli insegnanti italiani saranno tenuti ad aggiornarsi per migliorare “anche” le competenze relative «all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere». Questa formulazione è stata a lungo oggetto di scontro all’interno della Commissione Cultura della Camera. Il testo originario (curato e proposto da una frangia del Pd, Sel e Movimento 5 stelle) risultava più diretto e senza fronzoli. Il suo contenuto privilegiato coincideva, infatti, con i temi del “gender” e dello “stereotipo di genere”, e veniva proposto sotto la forma dell’”educazione sentimentale”. La versione finale ha preferito adottare il termine “genere” (sostituendolo al più equivoco “gender”) e l’espressione “educazione all’affettività”, lasciando inalterato il riferimento agli “stereotipi di genere”. Le ambiguità di fondo, tuttavia, restano. Anche se nella rielaborazione conclusiva i toni sono stati smussati e alcuni termini modificati, il respiro generale dell’emendamento sembra basarsi sui capisaldi della teoria del gender.

 

 

Questa teoria considera la persona come il “prodotto” dei modelli e dei ruoli presenti nel contesto sociale in cui vive ed è inserita. Di conseguenza, la sua identità sessuale non è legata al dato biologico ma alle dimensioni della “socialità” e della cultura di appartenenza. Ciò vuol dire che il sesso biologico non è altro che una semplice caratteristica del corpo della persona (non così determinante per il suo sviluppo), mentre l’orientamento sessuale rappresenta l’identità che il soggetto si costruisce gradualmente. In nome del genere, dunque, il sesso biologico viene separato da quello psicologico e sociale, e il “maschile” e il “femminile” appaiono solo come sterili convenzioni sociali. Ma non finisce qui. I teorici del gender invitano ad abbandonare i modelli sociali e morali che obbligano l’essere umano a essere uomo o donna per aprirsi a relazioni paritarie a prescindere dalla scelta e dall’orientamento sessuale delle persone. Tutte le coppie e tutte le famiglia sono in questo modo possibili e auspicabili.

 

 

Considerando queste premesse, il rischio di propagare nelle scuole una concezione non naturale della famiglia si rivela elevatissima, così come l’esigenza di “parificare” a tutti i costi i generi sessuali ignorando le differenze esistenti. Come se non bastasse, gli insegnanti potrebbero da ora in poi non essere più liberi di parlare della bellezza e dei valori della famiglia tradizionale (fondata su un uomo, una donna e la loro generazione), pena l’essere accusati di non rispettare l’identità di genere e di avvalorare gli stereotipi di genere. Siamo al confine del rispetto delle libertà reciproche. Occorre prenderne atto al più presto, soprattutto per evitare che questa parte del decreto scuola, combinata con la legge contro l’omofobia, inizi a scatenare effetti incontrollati sull’educazione delle nuove generazioni. La confusione sta prendendo il sopravvento e l’episodio della scuola parificata di Torino (Faà di Bruno), ritenuta colpevole di incentivare l’omofobia solo per aver organizzato una scuola per genitori sui temi della sessualità, lo conferma ampiamente.

 

 

Le reazioni non si sono fatte attendere. Luigi Morgano, segretario nazionale della Fism (Federazione delle scuole materne prioritarie), in merito al decreto scuola 104 parla di un vero e proprio «attacco alla famiglia, uno dei pilastri su cui si fonda il patto educativo con la scuola». Infatti, «non è scardinando il concetto stesso di famiglia che si affronta la drammatica sfida educativa di questi tempi confusi». Sulla sua stessa lunghezza d’onda anche Maria Grazia Colombo, referente della Commissione scuola del Forum delle associazioni familiari ed ex presidente nazionale dell’Agesc (Associazione dei genitori della scuola cattolica): «Sono molto preoccupata. Gli studenti chiedono certezze e questioni come la vita e la sessualità sono troppo importanti per essere affrontate con tanta leggerezza. Su queste tematiche non si può scherzare. Come genitori pretendiamo che la scuola abbia un progetto educativo chiaro e preciso. Il momento è difficile e servono verità e chiarezza».

 

 

L’emendamento al decreto scuola non ha raccolto neanche il consenso dei Giuristi per la vita. In una loro dichiarazione affermano a chiare lettere che si è trattato di un «subdolo tentativo di introdurre l’ideologia del gender in quella delicatissima funzione che è l’educazione scolastica. Non si può accettare che una simile propaganda si realizzi a carico del contribuente».

 

 

«Non siamo più disponibili ad accettare quella che sta diventando una grave discriminazione della famiglia naturale», ha dichiarato, infine, Fabrizio Azzolini, presidente nazionale dell’Associazione genitori (Age). «Siamo già stati discriminati sul fronte dell’assegnazione dei fondi», aggiunge. «Per i nostri progetti non ci sono mai risorse, mentre all’Agedo, l’associazione dei genitori degli omosessuali, è stato dato un corposo finanziamento di denaro pubblico attingendo ai finanziamenti comunitari. Non solo. Da tempo in Age lavorava un insegnante distaccato, che quest’anno il ministero ha richiamato in servizio, togliendoci anche questa risorsa».

 

 

Si sarebbero dovuti considerare questi aspetti secondo una visione più equilibrata. Magari ricordando di promuovere la cultura del rispetto della diversità, senza per questo condannare chi crede nella famiglia tradizionale.

 

 

Simone Bruno

http://www.famigliacristiana.it

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