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“Chi vive l'inferno può diventare profeta”

Francesco nel carcere di Ciudad Juarez ha parlato ai detenuti...


“Chi vive l’inferno può diventare profeta”

 

È l’appuntamento che non poteva mancare, quello a cui Francesco tiene particolarmente: l’incontro con i carcerati. Il Papa appena giunto a Ciudad Juarez visita il «Centro de Readaptacion Social estatal n. 3», dove scontano la pena circa tremila detenuti. La prigione fa parte di un progetto di riqualificazione degli istituti di pena della Stato di Chihuahua che ha ottenuto un accreditamento per il rispetto degli standard internazionali in materia carceraria.  

 

Ad accoglierlo, le famiglie dei detenuti. Una donna, quando il Papa si accosta a lei, dietro la transenna, lo benedice; fa, cioè, il segno della croce sulla fronte e sul cuore del Papa, come normalmente si fa sui bambini. Francesco la abbraccia e la benedice a sua volta.  

 

Francesco incontra poi i cappellani e gli operatori del carcere ai quali dona uncrocifisso di cristallo. “Grazie per il bene che fate qui, un bene che spesso non si vede”. “Qui si incontrano situazioni di grande fragilità. Ho voluto portare l’immagine del più fragile, Cristo sulla croce. Tuttavia con questa , Egli ci salva ci aiuta, ci apre le porte della speranza. Vorrei che ognuno di voi, contemplando la fragilità di Cristo, possa seminare speranza e resurrezione” 

 

Nella cappella dell’istituto assistono al suo discorso in 700. Bergoglio ne saluta personalmente una cinquantina, donne e uomini che si sono distinti per buona condotta.  

 

«Qui viene messa alla prova la nostra fede, la nostra forza interiore», dice unadetenuta scelta come rappresentante per portare il saluto al Pontefice. «Condividendo questo spazio siamo tutti uguali, così come siamo uguali davanti agli occhi di Dio». «La sua presenza, Santità, è un richiamo a tutti coloro che hanno perso la speranza della nostra riabilitazione e a quelli che hanno dimenticato che qui ci sono esseri umani». «Quando noi riceviamo il verdetto - ha continuato - quello che facciamo è piangere. Ci sentiamo angustiati e disperati. E ci facciamo domande alle quali non vogliamo avere risposte: quando uscirò? La mia famiglia mi vuol bene? Mi avranno dimenticato? Ci sentiamo esposti, vulnerabili e soli». «Dobbiamo fare in modo che i nostri figli non ripetano la nostra storia. Il sorriso di mia figlia – si commuove la donna – mi dà la forza per affrontare i giorni che devo passare in carcere. Ma non tutto termina qui. C’è la presenza di Dio nella nostra vita. Lei , Santità, può contare sulla preghiera di tutti questi carcerati». 

 

 

Il tema centrale dell’intervento del Pontefice è la misericordia nell’anno giubilare, ma anche un «reinserimento sociale» che abbia inizio fuori dal carcere: «Chi ha sofferto profondamente il dolore e, potremmo dire, “ha sperimentato l’inferno” può diventare un profeta nella società. Lavorate perché questa società che usa e getta non continui a mietere vittime». 

 

Francesco ricorda che «non c’è luogo dove la misericordia» di Dio «non possa giungere, non c’è spazio né persona che non essa non possa toccare. Celebrare il Giubileo della misericordia con voi è ricordare il cammino urgente che dobbiamo intraprendere per rompere i giri viziosi della violenza e della delinquenza».  

 

Il Papa critica il sistema attuale: «Già abbiamo perso diversi decenni pensando e credendo che tutto si risolve isolando, separando, incarcerando, togliendosi i problemi di torno, credendo che questi mezzi risolvano veramente i problemi. Ci siamo dimenticati di concentrarci su quella che realmente dev’essere la nostra preoccupazione: la vita delle persone, quella delle loro famiglie, quella di coloro che pure hanno sofferto a causa di questo circolo vizioso della violenza». 

 

Ecco perché «le carceri sono un sintomo di come stiamo come società, in molti casi sono un sintomo di silenzi e omissioni provocate dalla cultura dello scarto. Sono un sintomo di una cultura che ha smesso di scommettere sulla vita; di una società che è andata abbandonando i suoi figli». Il reinserimento o la riabilitazione cominciano, afferma Bergoglio, «creando un sistema che potremmo chiamare di salute sociale, vale a dire, una società che cerchi di non ammalarsi inquinando le relazioni nel quartiere, nelle scuole, nelle piazze, nelle vie, nelle abitazioni, in tutto lo spettro sociale. Un sistema di salute sociale che faccia in modo di generare una cultura che sia efficace e che cerchi di prevenire quelle situazioni, quelle vie che finiscono per ferire e deteriorare il tessuto sociale». 

 

Invece, a volte si ha la sensazione che «le carceri si propongano di mettere le persone in condizione di continuare a commettere delitti, più che a promuovere processi di riabilitazione che permettano di far fronte ai problemi sociali, psicologici e familiari che hanno portato una persona ad un determinato atteggiamento. Il problema della sicurezza non si risolve solamente incarcerando, ma è un appello a intervenire per affrontare le cause strutturali e culturali dell’insicurezza che colpiscono l’intero tessuto sociale». 

 

Il reinserimento sociale, spiega il Papa, «inizia con la frequenza alla scuola di tutti i nostri figli e con un lavoro degno per le loro famiglie, creando spazi pubblici per il tempo libero e la ricreazione, abilitando le istanze di partecipazione civica, i servizi sanitari, l’accesso ai servizi di base». 

 

«Sappiamo che non si può tornare indietro, sappiamo che quel che è fatto è fatto - ha concluso Francesco - perciò ho voluto celebrare con voi il Giubileo della misericordia, poiché questo non significa che non ci sia la possibilità di scrivere una nuova storia d’ora in avanti. Voi soffrite il dolore della caduta, (e magari tutti noi - aggiunge a braccio- soffrissimo per le cadute nascoste) sentite il pentimento per i vostri atti e so che in tanti casi, in mezzo a grandi limitazioni, cercate di ricostruire la vostra vita a partire dalla solitudine».  

 

«Non dimenticatevi - è l’appello del Pontefice - che avete a disposizione anche la forza della risurrezione, la forza della misericordia divina che fa nuove tutte le cose. Impegnatevi fin da qui dentro a capovolgere le situazioni che generano ulteriore esclusione. Parlate con i vostri cari, raccontate loro la vostra esperienza, aiutate a frenare il giro vizioso della violenza e dell’esclusione. Chi ha sofferto profondamente il dolore e, potremmo dire, “ha sperimentato l’inferno” può diventare un profeta nella società. Lavorate perché questa società che usa e getta non continui a mietere vittime».  

 

Francesco aggiunge senza guardare il testo scritto: «Gesù ha detto: Chi è senza peccato scagli la prima pietra, e allora io me ne dovrei andare..Nel dirvi queste cose non lo faccio dall’alto di una cattedra, con il dito alzato, ma sulla base di miei stessi errori, dei miei peccati che il Signore ha voluto perdonare. Lo faccio nella coscienza che senza la sua Grazia e la mia vigilanza potrei tornare a ripeterli. Ogni volta che entro in un carcere - prosegue a braccio - mi chiedo sempre: perchè loro e non io? Questo è il mistero della misericordia divina».  

 

Francesco ha quindi incoraggiato il personale del carcere, dirigenti, agenti, cappellani e volontari: «Tutti voi, non dimenticatelo, potete essere segni delle viscere del Padre».  

 

Prima della benedizione rivolgendosi ai detenuti ha detto: «Vi chiedo che questa preghiera possa allargare il vostro cuore e possa farvi perdonare la società che non ha saputo aiutarvi e spesso vi ha spinto a commettere errori». 

 

I detenuti hanno preparato come dono per il Pontefice un pastorale in legno, con un crocifisso che ne decora la sommità. Il bastone, alto ben 190 centimetri, può essere diviso in quattro parti. Altri detenuti si sono organizzati in una piccola orchestra ribattezzata «Liberi nella Musica» per offrire a Francesco un piccolo saggio musicale.  

 

 

Andrea Tornielli

http://www.lastampa.it/vaticaninsider

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