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Chapeau, Nibalì

Semplicità, sacrificio, sintesi di muscoli, testa e cuore. E' così che Nibalì ‚Äì per dirla alla francese ‚Äì conquista Parigi facendo suo il Tour immerso in un giallo diafano da primo della classe.


Chapeau, Nibalì

 

Il cielo è giallo sopra Parigi.

Il titolo a caratteri cubitali è quello che meglio restituisce la dignità di un’impresa. Perché di impresa si tratta. Semplicità, sacrificio, sintesi di muscoli, testa e cuore. E’ così che Nibalì – per dirla alla francese – conquista Parigi facendo suo il Tour immerso in un giallo diafano da primo della classe. Giallo, appunto, come il cielo, come il colore delle distese di grano, giallo come i raggi o come il riflesso abbagliante della sua maglia. Un simbolo indossato con orgoglio e umiltà, con riservatezza sopraffina, ma conquistato con i denti, lame affilatissime di uno squalo. Squalo è il soprannome del messinese che con i suoi 63 kg di peso, 180.3 cm di altezza e 33 battiti a riposo ha messo tutti in fila. Numeri, questi, che sommati ai suoi watt (1.020), danno l’idea del perfetto identikit del fuoriclasse.

Eppure il mondo di Nibali non è solo cifre ma è storia, ricordi, famiglia. E’ il quadro intimo dei suoi affetti, dei suoi cari, di chi gli ha dato la possibilità di realizzare un sogno. In queste persone ha trovato la fiducia e il coraggio per credere che sarebbe stato un grande.

Ora ha conquistato Parigi, ha alzato le braccia davanti al mondo intero ed è entrato di diritto nella storia;  i CanNibali (i suoi fans), e non solo loro, aspettavano da 16 anni questo momento (ultimo, nel ’98, il trionfo  di Marco Pantani). Ora, finalmente, è tempo di gioire. «Adesso sì, posso dire che l’ho vinto», esclamerà dopo 19 giorni in giallo, le patron. Il Tour  ritorna nelle mani di un italiano che per quanto incredulo e straordinariamente normale ha stracciato i suoi avversari tappa dopo tappa. Nibalino, siciliano di nascita ma toscano di adozione (ciclisticamente parlando), ventinovenne del team Astana, fa bottino pieno in terra francese non accontentandosi della maglia gialla. Infatti, su 21 tappe e 3563,5 km percorsi, si aggiudica 4 vittorie: Sheffield, Vosgi, Alpi e Pirenei. Per dirla in breve ha vinto a nord, a est e a sud. E scrive, così, il suo nome accanto a quello dei pochi trionfatori di tre grandi giri (Giro, Tour e Vuelta): Anquetil, Mercks, Gimondi, Hinault, Contador.

I francesi avrebbero fatto carte false per avere uno così, per sovvertire i gradini del podio e sistemare Peraud e Pinot (rispettivamente secondo e terzo della generale) un po’ più su del nostro “Enzino”. Ma non sarebbe stato facile recuperare 7-8 minuti a uno che aveva detto di prepararsi per il Tour già dallo scorso inverno. Eppure il periodo precedente la corsa è stato per Vincenzo avaro di vittorie, il che ha contribuito non poco a seminare critiche e musi duri in ogni dove. Oggi, da vincitore, le chiacchiere le ha – quasi tutte - sopite; tuttavia non sono mancate frecciatine o domande scottanti sul doping ma ad ognuna di queste rispondeva con calma. Nessuna agitazione, testa alta e sguardo fiero. «Io sono tranquillo, altrimenti non sarei qui adesso. Il ciclismo ha aperto una nuova epoca».

Lo rivedo in un replay, è ancora lì sul podio e sembra lo stesso ragazzino che a 15 anni andò via da casa per realizzare un sogno. Ancora timido, introverso, schivo. Per lui sembra più facile essere solo al comando che solo sul podio: è così incredibilmente umano!

“È un siciliano atipico – confesserà sua moglie Rachele – bianco, freddo ma sereno in bici”. Quest’oggi ha scritto il suo nome nella storia del Tour, con l’impresa eccezionale di un campione normale.

I Campi Elisi sono lì. Occhi lucidi, le telecamere di tutto il mondo puntate su di lui, a guardarlo con orgoglio la moglie e sua figlia Emma, il papà che lo ha messo in bici e la mamma che stringe forte al cuore i fiori della sua maglia gialla.

L’Italia che vince a Parigi non è l’Italia delle scorciatoie o delle furbate, è l’Italia dei pochi soldi e dei tanti sogni, è un’Italia che si riconosce e si esalta nel sacrificio e nell’umiltà. Salire sopra questa giostra non ci servirà a nulla, di più, ancora, servirà preservare il ricordo. Si esalteranno politici e sociologi per una Nazione miracolosamente resettata. La fanfara di Nibali ci stordirà per pochi giorni ancora, poi lascerà spazio al calcio e ai suoi valori.

Eppure a me piace continuare a pensare che dietro il retrobottega ci sia l’Italia di un campione semplice con proseliti e valori di gran lunga più belli.

 

 

Domenico Cassese

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