Animazione

Animatori in dialogo

Sei un animatore e parli tanto con i ragazzi... lo fai nel modo giusto? Scopri l'importanza del dialogo da animatore.


DIALOGO

Poni, Signore, una guardia alla mia bocca, sorveglia la porta delle mie labbra (Sl 141,3)


Dialogo e conoscenza      

“Sei proprio sicuro di volermi conoscere?”

(Disse un giorno una ragazza a chi voleva conoscerla davvero)

1. Il dialogo facilita la conoscenza delle persone attorno a noi. Lo sappiamo, eppure molte volte ne abbiamo paura, o lo evitiamo, o non ne abbiamo voglia, o lo interrompiamo quando si fa difficile. Il dialogo infatti nasce dallo sforzo di uscire da sé stessi, accogliendo il mondo dell’altro come un’occasione e non come una minaccia.

2. Non nasce alcun dialogo profondo e spontaneo laddove non c’è una base naturale di conoscenza, simpatia e stima reciproca. Esiste qualcosa di molto umano che deve scattare per favorire la nascita di un dialogo reale. Non è scontato che scatti, non lo si può fabbricare, si può provare a favorirlo e a farlo nascere. Come può nascere un’apertura sincera se non c’è una base di fiducia accordata in anticipo da entrambe le parti? 

3. Il dialogo è una delle condizioni per la tenuta dei legami. Un legame non sopravvive a lungo se non è nutrito dal dialogo. La costanza di un dialogo aperto e la diversa profondità dei dialoghi che si alterna nel tempo sono il segnale chiaro di una buona salute in un rapporto umano. L’assenza o l’impoverimento del dialogo sono sempre e comunque un danno, preludio di un processo che può portare alla compromissione del rapporto o addirittura alla sua fine.

4. Mediamente, le persone non le conosciamo. Quando ci accade davvero la Grazia di conoscere una persona per quello che è, anche grazie al dialogo, le nostre aspettative sono sempre infrante, nel bene o nel male. Il problema, però, non è l’altro/a. È la durezza del nostro sguardo su di lui/lei, e le nostre fantasiose aspettative che erano all’opera per costruire un’immagine irreale dell’altro/a.

5. La fiducia fa da collante a un dialogo che viene messo alla prova. Fa da carburante e da rinforzo a un dialogo che ha bisogno di energia per proseguire. La fiducia non è fatta di bianco o nero, è fatta di una sfumatura di grigi che, dialogo dopo dialogo, ci permette di capire la persona che abbiamo davanti. Ci guida a comprendere quanto è possibile dare e ricevere da quella persona, e ad agire di conseguenza in modo maturo ed amorevole. Le parole del Vangelo sono una guida in questo, ci fanno comprendere che il dialogo può nascere e svilupparsi anche con chi non ci è amico:

se amate quelli che vi amano, quale grazia ve ne viene? 

Poiché anche i peccatori amano quelli che li amano. 

E se fate del bene a quelli che vi fanno del bene, quale grazia ve ne viene? 

Anche i peccatori fanno lo stesso. 

E se prestate a quelli dai quali sperate ricevere, quale grazia ne avete? 

Anche i peccatori prestano ai peccatori per riceverne altrettanto. 

Ma amate i vostri nemici, fate del bene, prestate senza sperarne alcunché 

e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo, 

poiché egli è benigno verso gli ingrati e i malvagi. 

6. Ti sei mai chiesto se faciliti le persone che cercano un dialogo con te? È perlomeno utile.

 

Imparare a dialogare

“Due sono i miei grandi pregi: uno è la memoria, l’altro non me lo ricordo”

(Disse un giorno il marito che si era dimenticato il compleanno della moglie)

7. Si impara a dialogare dialogando. Chi sta sempre zitto non impara nulla. Questo non toglie che a volte il silenzio possa favorire il dialogo. Non impara a dialogare chi non sa ascoltare.

8. Si impara a dialogare in giovinezza. A mano a mano che la struttura della nostra personalità prende forma, diventiamo sempre meno in grado di modificare il nostro modo di dialogare con gli altri. Prima si affrontano le gioie e le difficoltà del dialogo meglio è. Spesso si arriva troppo tardi. Questo non toglie che il dialogo sia utile in tutte le stagioni della vita. Trova presto qualcuno all’altezza di litigare costruttivamente con te.

9. Quotidianità. Non si impara ad entrare in dialogo con gli altri nelle grandi occasioni o con fatti eclatanti, ma nella semplicità delle occasioni che la vita ci mette di fronte. La vita quotidiana è il luogo per eccellenza del dialogo. E anche il suo banco di prova. Possiamo capire se stiamo imparando a dialogare se tentiamo di farlo con le persone più vicine a noi, con le quali condividiamo la vita quotidiana. 

10. Dare e ricevere ascolto sono condizioni fondamentali per crescere nel dialogo con le persone. Un dialogo non è un monologo. Ascoltare l’altro significa fare spazio a un mondo radicalmente diverso dal nostro. Il mondo dell’altro è sempre uno sconvolgimento del nostro mondo. La magia dei “dialoghi profondi” e del “ci capiamo anche solo con uno sguardo”, nella vita reale, dura il tempo di un sorriso. Chi non è disposto a rimanere nella (bellissima e terribile) fatica dell’ascolto dell’altro, e non si esercita a farlo quotidianamente, pone le fondamenta dei suoi legami sulla sabbia.

11. Non dobbiamo confidare troppo nella nostra personale capacità di dialogo: questo sarebbe presumere di sé stessi. D’altro canto, non dobbiamo disperare di poter, un giorno, vivere dei dialoghi profondi solo perché adesso non lo vediamo. Si impara con il tempo ad aprirsi alle persone e a favorire l’apertura delle persone nei nostri confronti. 

12. Per rimanere nel dialogo con una persona la memoria ha un ruolo importante. Siamo facili a dimenticare.


Dialogo e amicizia

“Smussa i tuoi spigoli. Urterai di meno chi ami per tutta la tua vita”

(Disse un giorno un vecchio saggio al suo amico dopo una litigata)

13. Gli amici diventano più amici nel dialogo, ma non solo. Il dialogo è una pianta che nasce grazie a un particolare ecosistema che la circonda: fare cose insieme, dedicare tempo e pensieri, scrivere messaggi o fare telefonate, ricordarsi delle occasioni che riguardano l’amico, interessarsi dell’evoluzione delle cose a cui l’altro tiene particolarmente. Ripartire da gesti, parole, piccoli tentativi di alleanza con l’altro possono essere buone premesse per la rinascita del dialogo con l’altro.

14. Ci sono argomenti e stili di dialogo che fanno crescere l’amicizia, altri che la distruggono. Saper discernere bene quale tipo di dialogo si crea solitamente con un amico/a è un buon termometro per misurare la salute di quell’amicizia. È fondamentale intuire la direzione e la qualità dei dialoghi con gli amici. Solitamente, chi è disposto a correggerti e a tenere il legame nonostante episodi di dialoghi difficili è un/una buon amico/a.

15. Dialogando con gli amici, ci si costruisce insieme un vocabolario condiviso. Le parole hanno un peso e un significato sia nel dialogo che nell’amicizia. Alcune parole, pronunciate in momenti particolarmente sensibili, possono trasformare radicalmente un’amicizia, nel bene e nel male. 

La bocca parla dalla pienezza del cuore.

16. L’umorismo è un segnale di salute in un dialogo. Dialoghi seriosi, privi di capacità di ironizzare sulle proprie potenzialità e i propri difetti, sanno di rigidità e di immobilismo. “L’umorismo è l’attitudine umana più vicina alla Grazia di Dio” (Papa Francesco). Potrà sembrarti una bestemmia, ma è bene non prendersi mai troppo sul serio (soprattutto se sei scrupoloso/a).

17. Regola d’oro. Si incontra l’altro/a nel dialogo alla profondità a cui si è. Non a quella a cui si vorrebbe essere.

I nemici del dialogo

18. La superficialità è il condimento preferito da tutti per qualsiasi dialogo che richieda fatica, impegno, o metta in discussione il proprio modo di vedere le cose. Se usata (magari in abbondanza) ogni giorno, ci abitua a non percepire più alcun altro gusto nelle relazioni con gli altri. Ci facciamo il palato, non ce ne accorgiamo nemmeno più. L’antidoto alla superficialità è il coraggio. Di dire quello che si pensa, di esprimere quello che si prova, di schierarsi, di lasciarsi conoscere. Di rischiare.

19. In ambito educativo, può insinuarsi l’ansia di prestazione riguardo alla nostra capacità di dialogo. Possiamo sentirci inadeguati, incapaci, immaturi per favorire e sostenere e condurre e far riuscire bene un dialogo educativo. Misuriamo la nostra capacità confrontandoci con gli altri, ma l’invidia o una distorta visione di sé stessi fanno credere l’altro/a sempre più bravo/a, più capace, più prestante di noi. Uscire da una visione ansiosa del dialogo con l’altro è la premessa per imparare a viverlo con più naturalezza. Ciò permette di accogliere la presenza dell’altro come un dono e non come la richiesta di una prestazione.

20. Il dialogo è un buon mezzo per vincere e distruggere i pregiudizi che, di volta in volta, prendono forma in noi riguardo alle altre persone. Talvolta possiamo costruirci un’immagine errata dell’altra persona a partire da un fraintendimento delle parole, dei gesti, delle intenzioni. Il cuore umano è come un campo sul quale ogni giorno germogliano erbe buone e male erbe; la fatica va fatta ogni giorno: anche la relazione più bella che abbiamo ora non può dirsi al riparo dai pregiudizi.


In dialogo con i ragazzi

“Sì, ma stavamo solo scherzando”

(Disse un giorno un animatore beccato in castagna)

21. I ragazzi hanno bisogno di noi, non delle nostre parole. Quelle solo a volte. Il gioco, lo scherzo, le attività… sono spazio di libertà e di condivisione di vita. Dalle quali, a volte, spunta una parola che dà loro un senso più profondo. Commisura le parole che elargisci alla vita che elargisci.

22. Ci si educa al dialogo educando al dialogo. Nessuno di noi è lineare, sarebbe un errore aspettarci che il dialogo con una persona cresca progressivamente senza cadute, interruzioni, crisi. Educa più la digestione di un dialogo difficile che mille stuzzichini di dialoghi gratificanti. Su questo, vince solo chi non molla.

23. Non dire mai i miei ragazzi mi hanno detto così e così. I ragazzi sono di Dio.

24. Una parolina all’orecchio sussurrata al momento giusto vale più di diecimila discorsi profondi. Tali parole non si improvvisano.

Familiarità coi giovani specialmente in ricreazione. 

Senza familiarità non si dimostra l'affetto e senza questa dimostrazione 

non vi può essere confidenza. 

Chi vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama. 

Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. 

Ecco il maestro della familiarità! 

Il maestro visto solo in cattedra è maestro e basta, 

ma se va in ricreazione coi giovani diventa come fratello. 

Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani. 

Questa confidenza mette una corrente elettrica fra i giovani ed i superiori. 

I cuori si aprono e fanno conoscere i loro bisogni e palesano i loro difetti. 

Questo amore fa sopportare ai superiori le fatiche, le noie, le ingratitudini, 

i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovanetti.

Dalla lettera da Roma di don Bosco (1884)


Il dialogo di accompagnamento e la direzione spirituale

“Le tue strategie sono una cosa. Le vie di Dio un’altra”

(Disse un giorno un santo prete a un giovane molto convinto di sé)

25. Può capitare la Grazia di trovare una persona che sia d’aiuto al cammino di crescita della nostra vita di uomini e donne, talvolta anche al nostro cammino di fede. Guardandoci attorno, non molte persone hanno questo privilegio. Nessun incontro di questo tipo avviene a caso. Il fatto di aver trovato una tale persona non è il punto di arrivo, è il punto di partenza.

26. Essere accompagnati e lasciarsi accompagnare sono due cose diverse. Nel primo caso, si tratta di sperimentare la sensazione di essere benvoluti, consigliati, consolati da parte di un adulto che si prende cura di noi in modo effettivo. Nel secondo caso, si tratta di un atteggiamento spirituale che riguarda noi: si lascia accompagnare chi facilita il difficile compito dell’accompagnamento con l’apertura sincera, la costanza, la schiettezza, la trasparenza. Queste ultime sono virtù di valore impagabile. Una volta che si è sperimentata una sincera apertura a una guida, la vita cambia radicalmente; si sperimenta di non essere soli, soprattutto nelle difficoltà. E si diventa responsabili di qualcosa di unico e, talvolta, irripetibile.

27. Il dialogo di accompagnamento e la direzione spirituale non sono fini a se stessi. Puntano alla costruzione di un legame, alla fioritura dell’umanità dell’altro/a, con il suo nome e cognome, con la sua singolarissima vocazione. La costruzione di quel legame, nella direzione spirituale, può avere un ruolo di prim’ordine nella scoperta della tua vocazione. Non avere paura, un giorno, di chiederti in compagnia di qualcun altro quale sia la tua vocazione.

28. Non essere avido di consigli. Nessuno è mai sufficientemente lucido da comprendere in modo inequivocabile cosa sia il bene per un altro/a. Come dice Gandalf, “I consigli sono doni pericolosi, anche se scambiati tra saggi, e tutte le strade possono finire in un precipizio” (Il Signore degli anelli). Invece di un buon consiglio, accogli delle buone domande. La fatica di capire chi sei, nella vita, non la può fare nessuno al tuo posto.

29. È improbabile progredire nel cammino spirituale se non si scrive mai niente. Un buon quaderno è una buona bussola, o perlomeno un buon paio di scarpe per il cammino. Don Bosco ha scritto per intero i primi dialoghi con i ragazzi più significativi. Ed è stato costretto dal Papa a scrivere la sua vita per donarla a tutti noi. Ma io… cosa devo scrivere? Della vita, e dell’amore.

30. Concedi a chi ti accompagna di prenderti un po’ in giro. E sentiti libero/a di fare altrettanto. Ciò non significa mancarsi di rispetto. Chi condivide la vita con te un giorno scoprirà che pure tu scorreggi (qualche volta). 

31. Siamo campioni di slalom riguardo alle questioni decisive della nostra vita. Cerca come l’oro qualcuno a cui non hai vergogna di dire la tua miseria.

32. In un dialogo costante tra accompagnato e accompagnatore possono avvenire grandi trasformazioni spirituali. Tali trasformazioni sono Eventi, cioè accadimenti che non sono il frutto di una scelta personale, ma veri e propri doni che vengono da Dio. Le azioni di Dio in noi avvengono grazie anche al nostro impegno, ma non ne siamo noi gli artefici. L’Artista Divino sa scrivere dritto anche nelle nostre righe più storte, e può trasformare in bene anche il male della nostra vita.

33. Il dialogo educativo, il dialogo di accompagnamento e il dialogo di direzione spirituale sono tre cose diverse. Il primo è una sincera richiesta di mettersi in gioco in un cammino di crescita come persona, accettando anche di essere messo/a in discussione. Il dialogo di accompagnamento è una scelta consapevole di entrare in un percorso dove si accetta di essere “visti da un altro/a”, e accettare che il nostro mondo sia tradotto in un’altra lingua. La direzione spirituale è un passo di libera adesione a un cammino spirituale di ricerca della volontà di Dio nella propria vita, accompagnati per mano da un credente che ha già percorso degli anni di vita cristiana. È bello poter usare dei termini con cognizione di causa.

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Autore: don Stefano Pegorin - incontro formativo al CRA del Live sul Dialogo

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