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Affetto e amicizia

Gli innamorati si interrogano continuamente sul loro amore; gli amici non parlano quasi mai della loro amicizia. Gli innamorati stanno quasi tutto il tempo faccia a faccia; gli amici, fianco a fianco, assorti in qualche interesse comune. Ma, soprattutto, l'eros (finché dura) lega necessariamente due sole persone. Il due, invece, lungi dall'essere il numero distintivo dell'amicizia.


Affetto e amicizia

Il più umile di tutti gli affetti era chiamato dai greci storge, con cui i greci intendevano l'affetto dei genitori verso la prole e quello reciproco dei figli verso i genitori, un affetto che condividiamo con gli animali. È l'affetto di una madre che allatta il suo piccolo. Una circostanza in cui sembra chiaro dove sia l'amore bisogno e dove l'amore dono, ma a guardar bene quella madre è costretta a far nascere se non vuol morire, ad allattare per non soffrire: paradossalmente anche il suo affetto si rivela un amore bisogno, ma è un bisogno di dare, un amore dono necessario.

Come quello di Ettore (e di suo figlio Astianatte) quando sulle mura di Troia:

"tese le braccia al figlio Ettore illustre: ma indietro il bambino, sul petto della balia bella cintura si piegò con un grido, atterrito dall'aspetto del padre, spaventato dal bronzo e dal cimiero chiomato, che vedeva ondeggiare terribile in cima all'elmo. Sorrise il caro padre e la nobile madre e subito Ettore illustre si tolse l'elmo di testa e lo posò scintillante per terra e poi baciò il caro figlio, lo sollevò fra le braccia…",

e qui, compiendo quel gesto immortale, mentre Troia è sul punto di cadere per sempre, pronuncia la preghiera agli dei con cui chiede loro di far sì che Astianatte diventi, come è necessario che sia per un padre, migliore e più grande di suo padre.          

L'affetto è un amore che non discrimina (come c'insegnano gli animali: leonesse che allattano gazzelle, cavalli che razzolano con le galline), dunque una specie d'amore che abbatte le barriere sociali, di età, sesso, ceto sociale, educazione. È questo il legame che si stabilisce tra Don Chisciotte e Sancho Panza, che troviamo nel Tristram Shandy tra il padre del protagonista e lo zio Toby, tra Pickwick e Sam Weller, tra Gargantua e Pantagruel, o – per i lettori di vecchi fumetti – tra Zagor e Cico.

Tutti nutriamo qualche affetto di questo tipo, ma nessuno di noi saprebbe dire quando è cominciato, e se ce ne accorgiamo è perché già esiste da un po': questo tipo di amore infatti si rivolge solo a ciò che gli è famigliare (come quando diciamo, è il mio vecchio professore, un po' burbero; o quando un cane scodinzola a chi conosce, ed abbaia ad estranei che non gli hanno fatto mai nulla). È un tipo di amore che non si dà arie, che ci teniamo per noi: un cane potrebbe provare affetto per un gatto, ma non lo rivelerebbe mai ai suoi simili, insomma non è un amore di apprezzamento: anzi, ci troviamo ad apprezzarlo solo se veniamo privati di ciò per cui proviamo affetto. E viceversa quando scopriamo di non provarlo, è il segnale che l'amore sta venendo meno. Come succede a Lucy, ancora in Camera con vista. "Salve, Lucy! C'è ancora luce sufficiente per un'altra partita, se vi sbrigate". "Mr Emerson ha dovuto andar via". "Che strazio! Così il doppio non si può più fare. Cecil, ti prego, gioca tu, sii buono. È l'ultimo giorno di Floyd. Fa' una partita con noi, solo per questa volta". Risuonò allora la voce di Cecil: "Mio caro Freddy, non sono uno sportivo. Come hai giustamente osservato tu stesso questa mattina, certi individui sembrano fatti per pensare solo ai libri; ammetto la mia colpa: appartengo a quel genere di individui, e non voglio affliggervi mettendomi a giocare con voi".

Il velo cadde dagli occhi di Lucy. Come aveva potuto sopportare Cecil anche per un solo istante? Era assolutamente intollerabile. Quella sera stessa ruppe il fidanzamento.

È qualcosa che si insinua anche senza la nostra volontà: in un'amicizia, che solo col tempo ci fa scoprire, ricordare momenti affettuosi; nell'innamoramento, anche nella passione che si riscalda di esso nei momenti meno gradevoli che pure ci sono. Vanto dell'affetto è legare persone che non sarebbero fatte le une per le altre, che si incontrano per caso, che imparano ad apprezzarsi contro la propria volontà (magari dicendo: "a modo suo è un brav'uomo"). Ecco in questo senso l'affetto allarga le vedute, è il sentimento più naturale, universale, vasto; è il sentimento che ci apre al mondo, che ce lo fa apprezzare, che ci insegna a sopportarne le storture, a sorridere, a godere di ciò e di chi ci troviamo accanto per caso. Per questo, aggiunge a questo punto Lewis, contiene un pericolo: esso non si rivolge necessariamente a ciò che è buono, a ciò che è veramente attraente, si accontenta, gli basta poco, chiude un occhio sui difetti. O, ed è ancora peggio, ci porta a credere che non si debba far nulla per ottenere il buono dalla vita, che basti lasciar piovere su di sé l'affetto. È quello che accade a un padre che si sorprenda che il proprio figlio non lo ami, ma non si domandi se mai abbia fatto qualcosa per far crescere affetto nei suoi confronti. Un padre, come Re Lear di W. Shakespeare, capace di chiedere alle sue tre figlie, in procinto di sposarsi e prima di dar loro la dote, quanto lo amino, sorprendendosi della sincerità di Cordelia, la minore: "Figlie mie, poiché ci spoglieremo del potere, delle cure di stato ed anche d'ogni interesse territoriale, dichiarateci adesso quale di voi dovremo dire che ci ami di più, così da estendere la nostra munificenza a colei nella quale la natura fa a gara con il merito"… Gonerill – Sire, il mio amore è più grande di quanto possano sostenere le parole, più caro della vista, della libertà, dello spazio, maggiore di quel che v'è di più raro e prezioso… un amore che rende povera la lingua e inetto il discorso. Io vi amo al di là di qualsiasi misura. Cordelia (fra sé) – Che dirà mai Cordelia? Ama e taci. … Regan – Son fatta nel medesimo conio di mia sorella e mi valuto alla sua stregua. Nel mio cuore sincero, trovo un identico contratto d'amore, ma il suo è un poco esoso; infatti io mi professo nemica di ogni altra gioia che i sensi nel loro prezioso equilibrio posseggono, e trovo l'unica mia felicità nell'amore della cara Altezza Vostra. Cordelia (fra sé) – E allora povera Cordelia! Anzi non povera, poiché son certa che il mio amore è più ricco della mia lingua. … Re Lear - Ed ora, gioia nostra, l'ultima e la più piccola… cosa puoi dire per assicurarti un terzo più opulento che non le tue sorelle? Parla! Cordelia – Nulla, mio signore. Re Lear - Nulla? Cordelia – Nulla. Re Lear – Da nulla non sortirà nulla. Parla ancora. Cordelia – O mia sfortuna: non riesco a sollevare il peso del mio amore fino alle mie labbra: amo Vostra Maestà secondo il nostro vincolo, né più né meno. Re Lear – Su, su, Cordelia! Fammi un discorso più accomodante se non vuoi guastare le tue fortune. Cordelia – Mio buon signore, da voi fui generata, allevata ed amata; io ripago quei debiti al giusto valore: obbedendovi, amandovi e onorandovi profondamente. Perché le mie sorelle hanno mariti, se dicono di amare soltanto voi? Se mai mi mariterò, l'uomo a cui darò la mia fede porterà via con sé metà del mio amore, metà delle mie cure, metà dei miei doveri: certo, non mi sposerò mai come le mie sorelle, per lasciare a mio padre tutto il mio affetto. Re Lear – Parli col cuore? Cordelia – Sì, mio buon signore. Re Lear – Tanto giovane e già tanto dura? Cordelia – Tanto giovane, mio signore, e tanto sincera.

In realtà, conclude Lewis, non dobbiamo mai credere che abbiamo il diritto di essere amati, ma semmai averne una ragionevole aspettativa; diversamente invece di affetto riceveremmo antipatia, addirittura odio, che non sapremmo nemmeno dire quando è cominciato. Insomma la verità è che se si vuole essere amati occorre essere amabili, come diceva (anche se con un senso più pratico) Ovidio. L'affetto produce felicità solo se c'è buon senso, scambio reciproco, educazione, vale a dire se vi introdurremo qualcosa di diverso dal mero sentimento, vale a dire giustizia che continuamente stimoli l'affetto quando esso si affievolisce e lo controlli quando esso dimentica o sfida le regole che fanno dell'amore un'arte: quarto ingrediente.          

Per gli antichi, ci ricorda Lewis, l'amicizia era il più felice e il più completo degli affetti umani, coronamento della vita, e scuola di virtù. Il mondo moderno, in confronto, l'ignora, almeno nel senso che intendevano Aristotele e Cicerone. Questo accade perché l'amicizia è – ma non in senso peggiorativo – il meno naturale degli affetti, il meno istintivo, organico, biologico, gregario e indispensabile. Qui i nostri nervi c'entrano ben poco; in questo sentimento non c'è nulla di tenebroso: nulla che faccia accelerare il polso, o arrossire, o sbiancare. È semplicemente un rapporto che si stabilisce tra individui. Quando due persone diventano amiche, significa che esse si sono allontanate insieme dal gregge. Senza l'eros nessuno di noi sarebbe stato generato, e senza l'affetto nessuno di noi avrebbe ricevuto un'educazione; al contrario si può vivere e riprodursi anche senza l'amicizia. Essa, dal punto di vista biologico, non è affatto indispensabile per la specie.

Il branco, il gregge, la comunità, possono persino nutrire, nei suoi riguardi, avversione e sfiducia, e ancor più facilmente i suoi capi: presidi, superiori di comunità religiose, colonnelli e capitani di vascello, possono disapprovare il formarsi di autentiche e profonde amicizie che dividono i loro sottoposti in piccoli gruppi… Dire: "questi sono miei amici" lascia sottintendere: "questi non lo sono". Chi concorda con noi sul fatto che una certa questione, dagli altri considerata secondaria, è invece della massima importanza, potrà essere nostro amico. Non è necessario invece che egli sia d'accordo sulla risposta da dare al problema…

Gli innamorati si interrogano continuamente sul loro amore; gli amici non parlano quasi mai della loro amicizia. Gli innamorati stanno quasi tutto il tempo faccia a faccia; gli amici, fianco a fianco, assorti in qualche interesse comune. Ma, soprattutto, l'eros (finché dura) lega necessariamente due sole persone. Il due, invece, lungi dall'essere il numero distintivo dell'amicizia, non è nemmeno il più congeniale a questo tipo di legame…

Da ciò – conclude Lewis – consegue che l'amicizia è il meno geloso degli affetti. Due amici sono ben lieti che a loro se ne unisca un terzo, e tre che a loro se ne unisca un quarto, a patto che il nuovo venuto abbia le carte in regola per essere un vero amico. Essi potranno allora dire, come le anime beate in Dante, di Dante stesso: "Ecco che crescerà li nostri amori", perché in questo amore "condividere non significa perdere".

E questo è ciò che separa l'amicizia dal cameratismo, che ne è solo la matrice, ma che è matrice anche di altri comportamenti (come l'associazione in gang o bande). Il cameratismo è fondato sul fare insieme, l'amicizia sul sentire insieme, non nell'avere necessariamente le stesse opinioni (qui sbagliava Cicerone), ma nel sentire, nel provare la medesima importanza per le medesime cose, e spesso in questo nel differenziarsi dal resto dell'umanità. Gli amici, a differenza degli innamorati, non si guardano negli occhi, ma stanno l'uno al fianco dell'altro (anche sfidando la morte, come Eurialo e Niso). Gli amici condividono l'importanza di una stessa verità: senza della quale non ci sarebbe amicizia perché non ci sarebbe niente da condividere. Questa condivisione è condivisione di una intimità. Per questo è difficile tra un uomo e una donna. Non dico che sia impossibile ma dico che l'amicizia tra uomo e donna sconfina nell'innamoramento, a meno che i due non siano già impegnati e fermamente convinti a tenere fede a questo loro impegno; ma viceversa l'innamoramento, che può sorgere anche al di fuori dell'amicizia, per la sua natura di relazione intima prima o poi si approfondisce in una vera e propria amicizia con cui però non va a confondersi.

Ma l'amicizia non è nemmeno socievolezza, poiché essa infatti non è condizionata dal bisogno di sentirsi necessaria, come accade invece all'affetto: è amore di apprezzamento.

L'amicizia è questione di personalità nude: non si chiede a un amico se la sua famiglia è ricca, o se è povero, se è impegnato sentimentalmente o no, non si sente la necessità di qualifiche (come accade nella banda dove c'è il capo, il braccio destro, ecc.). Non c'è dovere di essere amico di qualcuno e nessuno ha questo dovere nei nostri confronti; l'amicizia è superflua, non ha valore ai fini della sopravivenza, è invece qualcosa che dà valore all'esistenza. È amore di apprezzamento, perché quello che conta nell'amicizia è il piacere di una presenza, è camminare insieme, scoprendo che l'amico supera con noi tutte le difficoltà che incontriamo, e questo approfondisce la nostra fiducia: con l'amico viene alla luce il nostro lato migliore. È questa l'amicizia che spiace ai potenti: i quali non vogliono amici, ma compagni, persone prive di una loro sfera privata, invase dal rumore, spinte a socializzare (cioè a fare cose insieme, ma non a pensare sulle medesime cose). Se accadesse, vivremmo in un mondo apparentemente privo di pericoli, ma completamente asservito, un mondo apparentemente magico, ma senza magia, senza gioia, senza felicità, tanto diverso e lontano da quel mondo che Dante sogna per sé e i suoi amici e che chiede di poter trovare al buono incantatore. Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io, fossimo presi per incantamento, e messi in un vasel ch'ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio, sì che fortuna od altro tempo rio non ci potesse dare impedimento, anzi, vivendo sempre in un talento, di stare insieme crescesse 'l disio . E monna Vanna e monna Lagia poi con quella ch'è sul numer delle trenta con noi ponesse il buono incantatore: e quivi a ragionar sempre d'amore, e ciascuna di lor fosse contenta, sì come i' credo che saremmo noi.

Incanto, desiderio, contentezza: in una parola apprezzamento. Apprezzamento condiviso di ciò che è essenziale ed invisibile, come insegna il Piccolo principe: quinto ingrediente.

Claudio Mereghetti

http://www.culturacattolica.it

 

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