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4. Al Padre

Sulle orme di Cristo Teresa Benedetta è arrivata al Padre. Nelle sue opere tratta poco della persona del Padre. La parola “Padre”, cioè, non si incontra con frequenza. Più usata è la parola “Dio” o “Signore”, in riferimento al Padre.


4. Al Padre

Capitolo 4. AL PADRE

So di essere conservato e per questo sono tranquillo e sicuro:

è la dolce, beata sicurezza del bambino sorretto da un braccio robusto.

Sulle orme di Cristo Teresa Benedetta è arrivata al Padre. Nelle sue opere tratta poco della persona del Padre. La parola “Padre”, cioè, non si incontra con frequenza. Più usata è la parola “Dio” o “Signore”, in riferimento al Padre.

Qualche volta non si trova né il termine “Padre” né il termine “Dio”, ma dal contesto si comprende che tratta del Padre. Quando, per esempio, ci parla della sicurezza del bambino “tranquillo e sicuro perché sostenuto dal braccio robusto”, o quando, scrivendo ad una suora, la invita “a vivere camminando tenuta per mano dal Signore”, come il bambino che stringe la mano del padre per non cadere; o quando, in una conferenza sulla donna, afferma che “Dio ci educa ad avanzare con la mano nella sua mano”: sono tutte allusioni al Padre.

E se pure ha scritto poco direttamente del Padre, tuttavia quello che ci ha lasciato basta a farci capire il suo rapporto filiale, intessuto di tenero amore, verso la prima persona della Santissima Trinità.

[nota: Assieme all’amore si trova pure nella nostra Santa il timor di Dio, così vivo presso gli ebrei credenti. Lo notiamo nella madre di Edith. Ma qui, ovviamente, si tratta del dono dello Spirito Santo, il santo timore di far dispiacere alla persona amata. Fine nota.]

Alla luce di Dio, Teresa Benedetta ha conosciuto se stessa. E, conoscendosi, ha scoperto la propria grandezza, derivata dalla figliolanza divina. Tale scoperta la lancia, quale profeta, nella corsa per annunciare ai suoi fratelli la verità. Verità che sa trasformare i cuori degli uomini da cuori di pietra in cuori di carne e sa recuperare il perduto senso della filialità. Questa sola, ritrovata, è capace di mutare il corso della storia personale, forse smarrita, in storia sacra.

Essere finito e Essere eterno

Il mio essere, per quanto riguarda il modo in cui lo trovo dato e per come vi ritrovo me stesso, è un essere inconsistente; io non sono da me, da me sono nulla, in ogni attimo mi trovo di fronte al nulla e devo ricevere in dono attimo per attimo nuovamente l’essere.

Di fronte all’innegabile realtà per cui il mio essere è fugace, prorogato, per così dire, di momento in momento e sempre esposto alla possibilità del nulla, sta l’altra realtà, altrettanto inconfutabile, che, nonostante questa fugacità, io sono, e d’istante in istante sono conservato nell’essere e che io in questo mio essere fugace colgo alcunché di duraturo. So di essere conservato e per questo sono tranquillo e sicuro: non è la sicurezza dell’uomo che sta su un terreno solido per virtù propria, ma è la dolce, beata sicurezza del bambino sorretto da un braccio robusto, sicurezza, oggettivamente considerata, non meno ragionevole. O sarebbe “ragionevole” il bambino che vivesse con il timore continuo che la madre lo lasciasse cadere? Nel mio essere dunque mi incontro con un altro essere, che non è il mio, ma che è il sostegno e il fondamento del mio essere, di per sé senza sostegno e senza fondamento. Per due strade posso giungere a riconoscere l’essere eterno in questo fondamento del mio essere in cui mi incontro in me stesso; l’una è la via della fede quando Dio si rivela come l’Essente, il Creatore e il Conservatore e quando il Redentore ci dice: “Chi crede nel Figlio ha la vita eterna”; queste sono risposte chiare all’interrogativo concernente l’enigma del mio proprio essere. E quando Dio, per bocca dei Profeti, mi dice che mi è più fedele del padre e della madre, che egli è lo stesso amore, allora riconosco quanto sia “ragionevole” la mia fiducia nel braccio che mi sostiene e quanto sia stolto ogni timore di cadere nel nulla, a meno che non mi stacchi io stesso dal braccio che mi sorregge. La via della fede non è la strada della conoscenza filosofica: è la risposta data all’interrogativo posto da essa, ma proveniente da un altro mondo.

La filosofia ha pure essa una strada propria, cioè la via del pensiero argomentativo, della dimostrazione dell’esistenza di Dio. Fondamento e autore del mio essere, come di tutto l’insieme dell’essere finito, può essere in ultima analisi solo un essere che non è ricevuto, come l’essere dell’uomo, un essere che deve esistere da sé: un essere che non può, come tutti quelli che hanno inizio, anche non essere, ma che è necessario.

Questo Essere, che è per sé necessario, senza inizio e causa di tutto ciò che ha un inizio, deve essere uno.

la sicurezza di essere che sento nel mio essere fuggevole è segno di un ancoraggio immediato al sostegno e fondamento ultimo del mio essere.

crediamo di capire che l’origine dell’uomo da genitori umani lo rende uguale ad essi riguardo al corpo e all’anima e che ciò nonostante l’uomo si può gloriare di essere immediatamente figlio di Dio e di portare nella sua anima un sigillo divino irripetibile.

[nota: Qui Teresa Benedetta parla dell’anima animale, non dello spirito, che, trattandone precedentemente, aveva detto proveniente da Dio. Fine nota.]

Scientia crucis

In quest’ora tragica [la morte di croce], oppresso da inenarrabili tormenti nell’anima e nel corpo, soprattutto durante la terribile notte dell’abbandono da parte di Dio, Egli paga alla Giustizia divina il prezzo dell’ammasso di peccati accumulati da tutti i tempi. Apre così le chiuse di deflusso alla misericordia del Padre in favore di tutti coloro che hanno il coraggio di abbracciare la Croce e la Vittima su di essa immolata.

La donna

Donarsi a Dio, perdutamente dimentichi di sé, non far conto della propria vita individuale per lasciare pieno spazio alla vita di Dio. Quanto più perfettamente questo si attua, tanto più ricca è la vita divina che riempie l’anima. Ma questa vita divina è l’amore: amore straripante, che non ha limiti e che si dona liberamente; amore che si piega misericordioso verso ogni bisogno; amore che risana il malato e risveglia alla vita ciò che era morto; amore che protegge, difende, nutre, insegna e forma; amore che è afflitto con gli afflitti e lieto con chi è nella gioia; che è pronto al servizio verso ciascuno per compiere il disegno voluto dal Padre.

Dio stesso ci educa ad avanzare con la mano nella sua mano.

la sequela di Cristo porta a sviluppare in pieno l’originaria vocazione umana: essere vera immagine di Dio; immagine del Signore del creato, conservando, proteggendo e incrementando ogni creatura che si trova nel proprio ambito; immagine del Padre, generando e educando per paternità e maternità spirituale figli per il regno di Dio. L’elevazione al di sopra dei limiti della natura, che è l’opera più eccelsa della grazia, non può certo venir raggiunta con una lotta individuale contro la natura o con la negazione dei suoi confini, ma solo mediante l’umile soggezione al nuovo ordine donato da Dio.

In Cristo è lo stesso Signore Dio che ci si presenta. Come il Verbo eterno è l’immagine del Padre, nella quale il Padre contempla se stesso, così nel Verbo incarnato questa immagine del Padre si rende visibile a noi uomini: “Chi vede me, vede il Padre”.

Il mistero del Natale

Cristo è venuto per riportare al Padre la perduta umanità e chi ama con l’amore del Padre vuole che gli uomini siano di Dio e non suoi. Figlio di Dio significa mettersi nelle mani di Dio, fare la volontà di Dio e non la propria, deporre nella mano di Dio tutte le preoccupazioni e le speranze, non stare più in pena per il proprio avvenire. Qui è il fondamento della libertà e della gioia dei figli di Dio, posseduta da ben pochi.

Se incontrate un uomo che non ha patrimonio, né pensione, né assicurazione e ciò nonostante non si dà pensiero del suo avvenire, voi scuotete la testa come trovandovi davanti a qualcosa di straordinario. Certamente sbaglierebbe molto chi si aspettasse che il Padre celeste provveda sempre a lui con le entrate e le condizioni di vita ritenute desiderabili. La fiducia in Dio non vacilla solamente quando implica la disposizione ad accettare ogni e qualsiasi cosa dalla mano di Dio: lui solo sa ciò che è bene per noi. E se talvolta bisogno e rinuncia fossero più opportuni di una vita tranquilla e comoda, se umiliazioni e insuccessi fossero migliori di onori e fama, anche allora occorre esser pronti e disponibili. Agendo così si può vivere del presente, senza il peso dell’avvenire.

Dalla soddisfazione di sé del “buon cattolico” che “compie i suoi doveri”, legge “un buon giornale”, “vota bene” ecc., ma che per il resto fa ciò che gli aggrada, vi è un lungo cammino per arrivare a una vita che sia nelle mani e venga dalle mani di Dio, con la semplicità del bambino e l’umiltà del pubblicano. Ma chi ha percorso una volta quel cammino, non tornerà più indietro. Essere figli di Dio vuol dire appunto diventare piccoli e grandi nello stesso tempo.

Le lettere

Se io non dovessi parlare di questo [del soprannaturale], non salirei affatto sulla cattedra del conferenziere. In fondo, ciò che ho da dire è sempre una piccola, semplice verità: come fare a vivere camminando tenuta per mano dal Signore.

È nella natura delle cose che, prima di un passo decisivo, uno ripensi a quello che lascia e a quello che sta per affrontare.

Deve essere proprio così: un porsi nelle mani di Dio, senza alcuna sicurezza umana, per gustare una sicurezza più profonda e più bella.

Dio fa tutto al momento giusto. Qualunque cosa faccia, non è mai un momento sbagliato, bensì proprio nell’attimo favorevole, che capita per me nel momento giusto (commento al Salmo 118).

Edith Stein

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