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Il "peso" del perdono

Non si tratta di una scelta, ma di una conseguenza naturale del nostro modo di essere, in quanto amati e “condonati” dal Signore. Essere perdonati da Dio significa essere ricreati a nuova vita...


Il "peso" del perdono

del 25 settembre 2017

Non si tratta di una scelta, ma di una conseguenza naturale del nostro modo di essere, in quanto amati e “condonati” dal Signore. Essere perdonati da Dio significa essere ricreati a nuova vita...

 

La nostra società è molto attiva nell’organizzare momenti di incontro e di confronto su temi importanti per l’equilibrio personale e comunitario, come ad esempio il perdono. Tutti ne parlano, pochi lo rendono visibile nelle relazioni che accompagnano le innumerevoli articolazioni sociali, private o pubbliche che siano. Il perdono non è però da considerare, come una certa tendenza attuale vorrebbe, un fatto etico o filosofico. Non è una regola fine a sé stessa, né una conseguenza comportamentale in rapporto ad un moralismo di maniera che di solito lascia il tempo che trova.

Finita infatti la sua stagione, di pensiero in voga, esaurisce o rallenta il valore stesso di un atto che al contrario rappresenta un pilastro fondamentale della misericordia.  Diverse letture dei testi sacri consentono ad ognuno di riflettere su questa condizione particolare dell’animo. Perdonare è infatti trovarsi di fronte ad una condotta interiore profonda che salva se stessi, ma nel contempo dona all’altro una via di riparo da ogni eventuale malinteso verso il prossimo.

Papa Francesco in poche parole svela la qualità soprannaturale del perdono e la sua dovuta applicabilità terrena, indicando la strada migliore per incamminarsi in direzione di un traguardo protetto: “Nessuno di noi, nella sua vita, non ha avuto bisogno del perdono di Dio. E perché noi siamo stati perdonati, dobbiamo perdonare”. 

Non si tratta di una scelta, ma di una conseguenza naturale del nostro modo di essere, in quanto amati e “condonati” dal Signore. Essere perdonati da Dio significa essere ricreati a nuova vita. Il re Davide peccatore di adulterio e omicidio, “assolto” dal Signore si incammina per una nuova strada, altrimenti impossibile. Anche lui ora saprà perdonare chi lo insulterà ferocemente.

Non a caso la sua preghiera chiarisce come il solo perdono possa aprire ad un cuore rinnovato, lavando in profondità le ragnatele di ogni oltraggio commesso: “Pietà di me, o Dio, pietà secondo la tua infinita tenerezza, per quanto le viscere hai ricolme d’amore cancella le mie infedeltà, lavami e raschia via la mia colpa, fammi mondo dal mio peccato” (Dal Salmo 50). Il perdono divino mette l’uomo in condizione di riprendere un cammino purificato da ogni colpa, rendendolo capace di perdonare a sua volta “settanta volte sette” il suo offensore e contribuendo così all’edificazione di quel “tempo nuovo” avviato dalla venuta e dall’insegnamento di Cristo Gesù.  

Dio espia le nostre colpe con il perdono evitandoci una condanna eterna. Sulla croce con Lui si compie il miracolo dei miracoli. Talmente è l’amore per l’uomo da prendersi su di sé i peccati del mondo. Atto pesante fino all’inverosimile, ma necessario per la creazione di una umanità redenta. Ecco dunque cosa è il perdono di Dio: “È un perdono che crea; un perdono che espia; un perdono che eleva. Col battesimo Dio ci assume; ci rende suoi figli; ci rende partecipi della sua natura divina. Ci fa parte di sé, ci perdona!”. Si è stolti a non prendere in credito una verità così grande.

Intorno all’uomo ogni realtà oggettiva va in altra direzione e anche l’universalità di un rito, che drizza la strada di chiunque si affacci alla vita, rischia di perdersi spesso tra le formalità e la tradizione ordinaria. Il danno che ne deriva è preoccupante, ma l’uomo pur credente non se ne accorge, imbevuto com’è da un relativismo dominante che rende tutto facile e scusabile. Ne consegue una non obbedienza alla Parola, cornice universale dentro la quale il perdono va al di là dell’atto umano di comprensione dell’altro. Qui assume il significato di atto di fede permanente nel Signore e nelle sue leggi che non limitano la vita, ma la tutelano da ogni male. Questa è la verità!

La vendetta, in più occasioni portata alla gloria degli “altari” umani, non potrà mai essere il rimedio per sanare i torti subiti o il male ricevuto. L’ombra di Lamec sul mondo (Gen 4,23-24), discendente di Caino e autore della vendetta senza limiti per un nulla ricevuto, ha solo saputo alimentare rovine e sventure di ogni grado. Il Signore interviene (Es. 21,1-27) con la sua legge per porre un limite alla bramosia umana di vendicarsi da qualsiasi ingiustizia subita. È Cristo poi che non permette alcuna forma di ritorsione per sedare i dispiaceri subiti (Mt 5,38-42). Il Figlio dell’uomo va infatti oltre.

“Non solo Gesù abolisce la legge antica della vendetta, ne scrive anche una per il perdono. Se vuoi essere perdonato dal Padre, devi sempre perdonare. Ricevi un torto? Perdona sempre e sempre sarai perdonato. Non perdoni, non sarai perdonato”. Ci troviamo dinnanzi ad una universale questione di fede e non quindi di ragione, altrimenti diventerebbe difficile comprendere l’essenza stessa del perdono. Potremmo dire più in specifico che si tratti di “una questione di accoglienza di una volontà divina nella quale è tutta la nostra vita”. La ragione invece trova sempre una scappatoia, nobile o meno, per giustificare e portare a termine un’azione di rappresaglia personale o di gruppo.

Il cristiano ha un pensiero che non dovrebbe fermarsi all’antropologia terrena, ma congiungersi con la verità universale che tutto precede e che trova stabile continuità nella Parola. L’uomo preferisce partire da sé; occupare i piani bassi della vita per essere al centro di ogni forma di potere terreno. È questo il limite maggiore che lo spinge a non valutare l’opportunità di elevarsi e di rendere migliore la storia che gli passa innanzi. Urge una inversione di rotta e il perdono, elevato a questione di fede, è strumento indispensabile per poter tracciare la giusta direzione di un progresso umano sostenibile

 

Egidio Chiarella

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