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Don Bosco e la voglia di servire

Don Bosco non vede altro che questo: dare la vita per servire la vita. E inventa di tutto, e fa di tutto, e si consuma giorno dopo giorno, per restare fedele a questo compito; non perché qualcuno glielo comanda come dall'esterno (‚Äòchi te lo fa fare?' sarà la domanda che tanti gli rivolgono), ma perché gli è nato dentro e se lo porta dentro...


Don Bosco e la voglia di servire

da Don Bosco

del 01 gennaio 2002

Don Bosco ha fatto un sogno, ha ricevuto una missione, si porta dentro una passione. Quale?

Quella di servire la vita, la vita che cresce, che si afferma, che si espande; la vita che incontra ostacoli, difficoltà, resistenze (non sempre è facile crescere!); la vita che può godere di opportunità ma anche di povertà, carenze, vuoti terribili.

Don Bosco non vede altro che questo: dare la vita per servire la vita. E inventa di tutto, e fa di tutto, e si consuma giorno dopo giorno, per restare fedele a questo compito; non perché qualcuno glielo comanda come dall’esterno (‘chi te lo fa fare?’ sarà la domanda che tanti gli rivolgono), ma perché gli è nato dentro e se lo porta dentro, e non può fare a meno di sentirlo e di coltivarlo e di difenderlo; non sarebbe più lui se rinunciasse a questo impegno; non può esistere don Bosco senza i ragazzi di don Bosco!

E questo lo fa fin da piccolo, donando tutto ciò che trova in sé di ricchezza come la amicizia, la compagnia, la parola buona, il consiglio, l’aiuto materiale (il pane bianco che scambia col pane nero quando va a pascolare e trova un ragazzo più povero di lui!), la allegria, la difesa dei più deboli, l’aiuto nello studio, il buon esempio a tutti...

Da grande dirà ai suoi ragazzi: “Tutto quello che ho: salute, intelligenza, capacità, abilità, risorse varie, tempo, tutto io metto a disposizione dei miei giovani fino alla morte”. E’ un patto di fedeltà che don Bosco non smentirà mai.

E, alla fine della vita, quando chiederanno ai medici di quale malattia sta morendo don Bosco, si sentiranno rispondere: di consunzione, muore consumato dal lavoro e dalle fatiche.

Ma è qui che don Bosco trova la felicità, quella che affascinava i giovani che lo incontravano e stupiva la gente che andava a trovarlo provenendo da tutto il mondo.

Ed è la passione che don Bosco trasmette ai suoi ragazzi; li vuole allegri servitori della vita: la propria e la altrui; con particolare attenzione per quegli altri che, meno fortunati, sentono la vita come un peso, talora come una maledizione.

E’ per questo che raduna i suoi primi ragazzi in bande. ‘Società dell’allegria’ sarà il primo nome, quasi a dire che è proprio servendo la vita che si incontra la gioia.

Aiutare chi si sente solo, chi non ce la fa a scuola, chi trova difficoltà nel lavoro, chi vorrebbe migliorare e non riesce, chi è già prigioniero delle cattive abitudini e vorrebbe uscirne, chi ha sbagliato di grosso e vorrebbe rimediare; è l’aiuto semplice, quotidiano, fatto di attenzione, generosità, pazienza.

A volte è anche una impresa rischiosa come quando a Torino scoppia il colera e don Bosco manda i suoi ragazzi nei quartieri poveri, nelle soffitte o nei sottoscala dei grandi palazzi a curare quei malati dei quali nessuno si interessa (assicurando peraltro i volontari che nessuno di loro sarebbe stato contagiato dal male; cosa che puntualmente si verificò).

E don Bosco estende questa passione per la vita anche agli adulti; non dà tregua a nessuno: ai ricchi perché mettano a disposizione le loro ricchezze dei giovani poveri (quando parte per andare ad elemosinare mette alcuni ragazzi in chiesa a pregare e dice: ‘Se voi pregate don Bosco certamente troverà il necessario’), ai politici perché non intralcino il lavoro di chi vuole fare qualcosa e facciano leggi giuste a favore della povera gente, ai datori di lavoro perché non approfittino del lavoro minorile (è il primo che in Italia fa stendere un contratto di lavoro per rispettare i minori), alla gente di cultura perché si prodighi a favorire la istruzione dei ragazzi ( e lui stesso dà il buon esempio compilando testi scolastici adatti ai ragazzi).

E serve la vita non genericamente come se la vita fosse una idea astratta, ma la serve  concretamente (a partire dai bisogni) e individualmente.

Per don Bosco la educazione è mettersi a servizio dei valori che ciascuno porta dentro di sé, perché ciascuno è originale, è un mondo a sé, è un bene unico.

Per questo don Bosco cura la relazione personale, conosce i suoi ragazzi uno ad uno, li tiene d’occhio tutti, li raggiunge nei momenti di difficoltà con una parola, un ricordo, un richiamo; tant’è che ciascuno pensa di essere il più ben voluto da don Bosco e se ne vanta.

Dirà un Ex-allievo dei primi tempi: ‘All’Oratorio di Valdocco ciascuno sentiva che don Bosco era tutto per lui’. Con tutto quello che aveva da pensare e da fare! Aiuta ciascuno a trovare la sua strada e a realizzarla.

In questo don Bosco imita Dio che si cura di noi uno ad uno... Dio non guarda mai le statistiche, Dio guarda i volti! E ogni volto, per Dio, è il tutto!

Ami la vita? Servi la vita? La tua e quella degli altri? Come la servi? La tua vita...

La persona non viene mica su come una pianta; la vita uno se la deve prendere in mano e chiedersi cosa ne sta facendo, cosa ne vuole fare, cosa ne può fare; e deve, di conseguenza, scegliere i mezzi idonei per sviluppare la vita.

E’ questo che stai facendo? E quella degli altri...

Sta facendo qualcosa per qualcuno? Stai dando una mano ad un compagno, un amico, o magari uno che non né compagno né amico ma che incocci per caso e manifesta un bisogno di vita, una invocazione di vita?

don Giannantonio Bonato

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