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Divorziati risposati: criteri per discernere

Il cardinale Schönborn, moderatore del circolo tedesco del Sinodo, spiega...


Divorziati risposati: criteri per discernere

 

Che cosa «partorirà» il Sinodo dei vescovi sulla famiglia, quali questioni aperte, quali domande e quali indicazioni affiderà nelle mani di Papa Francesco, sarà noto la sera di sabato 24 ottobre. Di certo la notizia più rilevante degli ultimi giorni è rappresentata dall'unanimità del circolo Germanicus, l'unico dei tredici «circuli minores» nel quale si parlava tedesco. Tanti avrebbero desiderato che ci fosse una telecamera a inquadrare teologi come Walter Kasper, Christoph Shönborn e Gerhard Ludwig Müller mentre discutevano tra di loro citando questo o quel testo di san Tommaso e la sua interpretazione. Nel documento del circolo tedesco relativo si legge: «L’assioma "ogni contratto matrimoniale tra cristiani è di per sé un sacramento" deve essere rivisto. In società cristiane non più omogenee o in Paesi con impronte culturali e religiose differenti, non si può presupporre una comprensione cristiana del matrimonio nemmeno tra i cattolici».

 

E quanto alla possibilità di riammettere i divorziati risposati, i padri sinodali di lingua tedesca hanno tutti convenuto che non esistono soluzioni generali e generalizzate ma bisogna approfondire la via del discernimento indicata da Giovanni Paolo II, valutando, sulla base di alcuni criteri oggettivi, le situazioni dell'unione sacramentale e della nuova unione, ma anche dando spazio al «foro interno», che riguarda la vita più intima della quale si parla con il confessore o il direttore spirituale. Vatican Insider ha intervistato il cardinale Shönborn, moderatore del circolo Germanicus.

 

 

 

 

Ha sorpreso molti questa unità dei cardinali, in particolare dei cardinali teologi tedeschi, da Kasper a Müller. Che cosa è accaduto?

 

Tutti gli articoli e le modifiche al testo finale che abbiamo proposti sono state votate all'unanimità. Un elemento importante è rappresentato dal tempo di discutere tra noi che abbiamo avuto a disposizione. Si è trattato di un grande guadagno dovuto alla nuova metodologia dei lavori sinodali: 40 ore di discussioni nei 13 circoli minori permette veramente di approfondire. Abbiamo avuto il tempo di andare in profondità su certi punti. Per esempio, il testo su fede e patto matrimoniale è a mio avviso una bella sintesi teologica, che è stata possibile perché c'erano buoni teologi tra i cardinali. Anche il testo sull'accompagnamento ai divorziati risposati è stato davvero il frutto di una riflessione comune. Abbiamo preso come punto di partenza il testo dell'enciclica «Familiaris consortio» citato anche nel Catechismo della Chiesa cattolica, che è stato la base di tutte le discussioni sul tema negli ultimi trent'anni. In quel testo san Giovanni Paolo dice esplicitamente che i pastori hanno l'obbligo, per amore della verità, di discernere e di distinguere le situazioni.

 

La vostra proposta si presenta dunque come un approfondimento di «Familiaris consortio»?

 

È voluto ed esplicitamente proposto come un approfondimento e una continuazione di «Familiarsi consortio» perché Giovanni Paolo II aveva detto che c'è l'obbligo di discernere, di distinguere, ma non ha aveva detto tutto ciò che segue dal discernimento. Abbiamo cercato di indicare alcuni criteri per questo discernimento da parte dei pastori. Criteri molto concreti. Per esempio, valutare come i divorziati risposati si sono comportati con i figli avuti nella prima unione, come sono rimasti con il coniuge abbandonato, qual è l'effetto del loro cammino sull'insieme delle famiglie e quale testimonianza o forse quale scandalo ci sia per la comunità cristiana. E poi abbiamo parlato del criterio forse più profondo, quello del discernimento della coscienza di ciascuno. Tutto questo guardando alla situazione oggettiva e con l'attenzione al discernimento della situazione concreta. In questo modo si può procedere in un cammino di conversione, di penitenza - perché ci vuole spesso un aspetto di penitenza - per finalmente arrivare a questa parola di san Paolo indirizzata a tutti, non solo ai divorziati risposati: ognuno si esamina prima di accedere alla mensa del Signore.

 

In «Familiaris consortio» la unica via indicata per l'accesso ai sacramenti era quella del vivere come «fratello e sorella», cioè di astenersi dai rapporti sessuali in caso di seconda unione. Questo aspetto è da ritenersi superato nella vostra proposta?  

 

Nel nostro testo non è accennato né detto. Non riteniamo che sia l'unica via. «Familiaris consortio» parla dell'esigenza di un discernimento. Forse l'accenno nuovo del nostro documento è quello al «foro interno», che peraltro appartiene alla tradizione classica. Nel secondo dei tre documenti che il circolo di lingua tedesca ha redatto discutendo le tre parti dell'«Instrumentum laboris» del Sinodo abbiamo citato i testi di san Tommaso che sono il nucleo del passaggio dalla «ratio» speculativa dottrinale alla «ratio» pratica tramite l'esercizio della virtù della prudenza: quanto più si scende nel particolare, tanto più è necessario il discernimento prudenziale.

 

Questo significa che pur, essendo di fronte a una situazione «disordinata» di una seconda unione che non può essere sacramentale, questa non è di per sé una condizione di peccato?

 

È interessante notare come l'insegnamento della Chiesa abbia già rinunciato a parlare genericamente di peccato grave in questi casi. All'inizio c'è il peccato grave dell'adulterio e spesso questo è il caso, se c'è un vincolo matrimoniale sacramentalmente valido. Ma se con il passare del tempo si crea una situazione che comporta anche delle esigenze oggettive, ad esempio verso i figli nati nella nuova unione? Sono semplicemente figli illegittimi pur avendo papà e mamma? Certo, rimane il conflitto tra l'obbligo sacramentale - se il matrimonio era valido - e la nuova unione. Ma non si può affermare semplicemente tutta la situazione sia di peccato grave, perché onorare la nuova realtà e le nuove situazioni oggettive e anche un'esigenza di giustizia. Per questo ci vuole questo discernimento che sappia guardare alle diverse realtà delle persone.

 

Già «Familiaris consortio» citava il caso del coniuge abbandonato...

 

Il caso classico della donna con figli piccoli abbandonata dal marito. Lei deve sopravvivere se trova un uomo disposto ad accogliere lei e questi bambini: non si può parlare semplicemente di adulterio a motivo della seconda unione. C'è anche un'altra realtà di generosità e di virtù in questa nuova realtà che pure non è sacramentale. E qui è importante affidarsi alle parole di san Tommaso, perché abbiamo vissuto nel sinodo un piccolo conflitto tra un agostinismo radicale e il tomismo classico. Agostino nella «Civitas Dei» presenta l'idea che ogni atto dei pagani sia vizioso, che non ci sia virtù in loro. Ma san Tommaso ha rifiutato con forza questa posizione e anche i Padri della Chiesa come Clemente di Alessandria e san Massimo il Confessore hanno parlato delle virtù dei pagani. La Bibbia stessa lo fa con Giobbe, un pagano... San Tommaso spiega: anche se il paganesimo è idolatria, nonostante questo, i pagani possono compiere atti veramente virtuosi.

 

Insomma, la via del discernimento da parte del confessore e dei vescovi tiene conto delle differenze delle storie personali. È così?  

 

Gesù si commuoveva davanti alle sofferenze umane, lo leggiamo nei Vangeli. E oggi Gesù abbraccia e in questo abbraccio di misericordia la persona si sente amata e riconosce il suo peccato. Con le sue catechesi dell'anno scorso Papa Francesco ci ha dato una grande lezione, sono così belle da far venire le lacrime, perché si tutta la vicinanza con la vita, ma con lo sguardo del pastore che non osserva freddamente la realtà come uno scienziato o ideologo: è veramente la scuola del pastore.

 

Questo approccio secondo lei è maggioritario nel Sinodo?

 

Vedremo il documento finale e come sarà recepito dall'assemblea. Ma mi ha colpito ciò che ha detto il cardinale Fox Napier, il quale in un'intervista ha raccontato come lui avverte questo Sinodo come un vero camminare insieme. Abbiamo avuto il tempo di riflettere, di conoscerci, di scambiare i nostri punti di vista. Il Sinodo è diventato un'esperienza molto più di vita, più attenta gli uni agli altri. I confronti sono stati meno acerbi, è emerso piuttosto l'ascolto, lo sforzo di sentire anche il cuore dell'altro.

 

 

Andrea Tornielli

http://vaticaninsider.lastampa.it

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