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4. I consigli evangelici della disponibilità

L'“abbandonare tutto” degli Apostoli, archetipo ed eseguito alla lettera, di cui si parla in Matteo, viene esigito in Luca dalle “grandi folle”


4. I consigli evangelici della disponibilità

da L'autore

del 01 gennaio 2002

Se questo dono totale della persona alla funzione che Dio deve determinare è il fondamento indispensabile e comune di tutte le vocazioni, allora rispetto a ciò tutte le differenze - anche rilevanti - nel modo e nella determinazione della vocazione sono secondarie.

Ripetiamo ancora una volta la cosa principale: l'ambito delle vocazioni fontali e fondamentali é un ambito originario, che sta alla radice, dal quale soltanto deriva la Chiesa come comunione e come istituzione (così come è soltanto da Abramo e Israele che deriva il popolo di Israele, così come è soltanto da Gesù, Maria e gli Apostoli che deriva la Chiesa).

E se Paolo fin dall'inizio si rivolge a tutti i credenti parlando della loro vocazione (klêsis), egli tuttavia da una parte non dimentica mai la sua propria posizione di chiamato senza mediazione di fronte alla comunità, e dall'altra tratteggia il senso sacramentale del battesimo secondo lo schema della rinuncia totale e personale insieme con Cristo da parte del chiamato. (Rom. 6,3-11).

I Sinottici rispecchiano il medesimo stato di cose quando fanno si che le parole del Signore sull'atteggiamento fondamentale di disponibilità dei primi chiamati trovino il loro prolungamento in un atteggiamento che deve essere di tutti i credenti in genere

L'“abbandonare tutto” degli Apostoli, archetipo ed eseguito alla lettera, di cui si parla in Matteo (19, 27), viene esigito in Luca dalle “grandi folle”, e così pure il fatto che ogni discepolo deve “odiare il padre, la madre, la moglie, il figlio, il fratello, la sorella e anche se stesso”, nel senso che l'amore per il Signore diviene la misura decisiva per tutti questi rapporti d'amore naturali (Lc. 14, 25s).

A partire da questo punto si dovrà dire che i cosiddetti “consigli evangelici” sono i modi seteriologici concreti della disponibilità alla sequela da parte dei primi chiamati, e che l’ampliamento di questi modi ad una modalità ecclesiale-generale, come l'intraprende Paolo in I Cor 7 (parallelamente a Lc. 14), rispecchia chiaramente la continuità tra l'ambito delle vocazioni fontali e fondamentali e l'ambito ecclesiale nato da quello.

La parola “consiglio” è in qualche modo ambigua poiché viene pronunciata alla comunità da uno che è stato chiamato all'origine. A dire il vero già l'esistenza di Israele, in quanto popolo di Dio, si edifica su di una stretta sequela-obbedienza al Dio che guida secondo la sua libertà e il suo volere: in Abramo, nella marcia attraverso il deserto, nelle direttive dei profeti per un agire religioso-storico; si edifica ugualmente su di una povertà che emerge in maniera sempre più chiara quale segno distintivo della vera fede e della vera appartenenza al Dio vivente.

A queste due esigenze si riallaccia il discorso della montagna di Gesù. Il fatto che Israele deve essere, secondo la carne, un popolo di generazioni che vanno verso il Messia, esclude la verginità, ma il segno distintivo della circoncisione ha questo significato teologico (l'origine etnologica è indifferente): che la sfera sessuale è messa da Dio sotto sequestro in vista della salvezza futura (nel segno di un piacere egoista mitigato in vista di una funzione di servizio), e che con l'arrivo del Messia questa sfera non ha più alcuna importanza teologica poiché ora al posto della procreazione terrena in famiglie limitate è subentrato “il secondo Adamo dal cielo” con l'effusione eucaristica di sé per tutta l'umanità.

Nel Nuovo Testamento perciò la Vergine Sposa Sion o Gerusalemme (per la mediazione della Vergine-Madre-Maria) viene tramutata nella Chiesa vergine-feconda, in quanto fidanzata (II Cor. 11, 2) ed escatologicamente sposa dell'Agnello; ed il matrimonio ha ancora un significato teologico solo in quanto, nel vecchio rapporto dei sessi, rispecchia questo mistero in verità carnale, ma verginale tra Cristo e la Chiesa (Ef. 5, 32).

Tutto questo mostra chiaramente che le modalità dell'amore cristiano disposto alla rinuncia, che si è soliti riassumere con il termine “consigli evangelici”, non rappresentano per così dire uno statuto d'eccezione per sporadiche anime elevate all'interno della Chiesa ma la realtà fondamentale di Gesù Cristo stesso - profondamente preparata nella realtà fondamentale di Israele - la quale si comunica a quei “chiamati” che insieme a Lui fondano la realtà della Chiesa.

Non ha più bisogno di menzione il fatto che i tre aspetti della “vita secondo i consigli” sono fondamentali per questo: perché non sono altro che la pura espressione della piena disponibilità alla chiamata di Dio e di Cristo e non, per esempio, come Lutero rimprovera a questo tipo di vita, una religione dell'auto-redenzione grazie ad opere meritorie.

Questa disponibilità ad ogni uso che Dio vuole fare di me è di nuovo nient'altro che la condizione della fecondità soteriologica di una vita di vocazione, in qualsiasi “stato” ecclesiale e in qualsiasi forma concreta di realizzazione venga, secondariamente, a manifestarsi.

Si tratta in ogni caso del dono di sé a Dio per i fratelli, per il mondo, visto “venire versato in libagione per voi” (Fil. 2, 17) si verifichi nella contemplazione di un carmelo, o di un Padre de Foucauld oppure nell'azione della vita di un prete o di un religioso, oppure nella presenza silenziosa al mondo di un istituto secolare.

Hans Urs von Balthasar

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